lunedì 15 dicembre 2014

BENJAMIN FLâNEUR

Roberto Ciccarelli

Il quinto stato era in fasce quando il suo antenato arrivò alla ribalta politica di Parigi, capitale del XIX secolo. Un saggio sulla genealogia del quinto stato nel flâneur del filosofo tedesco Walter Benjamin.  Pubblicato in un libro prezioso: Il culto del capitale. Walter Benjamin: capitalismo e religione, a cura di Dario Gentili, Mauro Ponzi e Elettra Stimilli (Quodlibet). Il libro sarà tradotto in tedesco e in inglese. 

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Nella città assediata dall'austerità e dalla speculazione finanziaria è nato uno strano proletariato. “La maggior parte del suo lavoro è sempre stato temporaneo, insicuro, itinerante e precario – ha scritto David Harvey – Molto spesso sfonda il confine tra la produzione e la riproduzione. Nuove forme di organizzazione sono assolutamente necessarie per questa forza-lavoro che produce e, cosa ancora più importante, riproduce la città”.



Questo proletariato comprende lavoratori autonomi, dell'arte e della cultura. Gli addetti alla logistica e quelli ai servizi, i venditori di strada immigrati, gli artigiani, i lavoranti di giornata. Il precariato giovanile e non solo, unica forma di vita nella metropoli. Questa moltitudine non è riconducibile alla sfera ufficiale della politica, non rientra nei canoni del movimento operaio e difficilmente può essere ridotto a quello neoliberista della plebe dei consumatori. 

Il quinto stato è l'universale condizione di apolidia in patria in cui vivono milioni di donne e uomini ai quali non vengono riconosciuti i diritti sociali fondamentali. Il Quinto Stato è la condizione di milioni di stranieri che subiscono l'esclusione dai diritti di cittadinanza a causa della loro extra-territorialità in uno Stato.

Questo strano proletariato, di cui faccio parte, è il risultato della negazione della cittadinanza di chi desidera abitare in una città ed è la premessa per individuare una forma di vita differente nella città. Oggi migliaia di sfrattati, precari e poveri urbani, artisti o lavoratori indipendenti si fanno largo nei centri storici straziati dalla rendita fondiaria o nei deserti periferici delle terre perdute e occupano, autogestiscono strutture, relazioni e economie. Non hanno uno Stato, hanno perso un territorio, ma forti della loro apolidia vogliono ricostruire la città o fondarne una nuova. Pronti a riprendere la loro strada.

>>> Benjamin flâneur*. Per una genealogia del quinto stato (academia.edu)<<<

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