venerdì 5 settembre 2014

L'ASSALTO AL CETO MEDIO NELL'ITALIA DI RENZI

Giuseppe Allegri

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Renzi ostenta l'appartenenza alla società di mezzo. Con gli 80 euro l'ha prima sostenuta per poi annullarla con il blocco dei contratti, l'aumento delle tasse, i tagli. Il suo populismo è l'antidoto all'élite "montiana" che distrugge il ceto medio, i lavoratori, i precari? La recensione di "Dialogo sull'Italia" di Aldo Bonomi e Giuseppe De Rita

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Aldo Bonomi e Giuseppe De Rita portano avanti da tempo un prolungato confronto e lavoro di ricerca sulle trasformazioni sociali del Bel Paese. Dialogo sull'Italia. L'eclissi della società di mezzo (con premessa di Riccardo Bonacina) è stato scritto durante il Governo Monti. 

In questo libro si confrontano con il radicale disallineamento tra sociale e politico, che ha eliminato lo spazio orizzontale della «società di mezzo», artefice di relazioni sociali, economiche e istituzionali in grado di tenere insieme un intero Paese, pur attraversato da forti tensioni e differenze. È il tramonto ventennale dei corpi intermedi, associazioni, circoli, movimenti, comitati, sindacati e partiti radicati nei territori, che riarticolavano il conflitto tra capitale e lavoro, oltre l'incombenza dello Stato e non abbandonando l'individuo nelle maglie strette delle reti familiari.


Ceto medio impoverito e quinto stato

Sembra di essere al capolinea di una storia repubblicana forgiata dal basso di conflitti sociali, sperimentazioni economiche e invenzioni istituzionali indagate da Giuseppe De Rita, negli anni Cinquanta dello Svimez, poi con la fondazione del Censis e la successiva presidenza del Cnel, nel passaggio di secolo dell'infinita transizione italiana fuori dalla prima Repubblica e dentro l'avvento del capitalismo molecolare e del lavoro autonomo di seconda generazione, di freelance, creativi e cognitari, osservato in modo partecipato proprio da Aldo Bonomi (insieme con altri studiosi, come Sergio Bologna e Andrea Fumagalli). 

Così la prospettiva più tradizionalmente “meridionalista” di De Rita e quella più marcatamente da area metropolitana lombardo-veneta di Bonomi ci restituiscono un panorama frammentato, nel quale «la lotta di classe è quella espressa dall'alto dei flussi globali, ma non regge come strumento di interpretazione di ciò che accade nei territori» (Bonomi), finendo con il mettere in radicale tensione anche gli spazi conflittuali della moltitudine, che lo stesso Bonomi aveva scavato quasi venti anni fa, durante la sua collaborazione con la presidenza De Rita al Cnel (Il trionfo della moltitudine. Forme e conflitti della società che viene, Bollati Boringhieri, 1996 e 2002). Ma è lo stesso De Rita a veder tornare di attualità il ruolo della «classe», intesa però «come stile di vita e di appartenenza», verso cui protende quel che rimane di un ceto medio investito da radicali scossoni. Il lungo e tortuoso processo di «cetomedizzazione» delle classi subalterne italiane è in forte tensione, non certo perché ci sia una nuova coscienza di classe: tutt'altro. 

Da un lato si apre il pertugio, assai stretto, attraverso il quale si tenta la scalata all'élite dell'alto ceto medio: il «montismo» al governo nei mesi in cui Bonomi e De Rita tessono il loro dialogo. Dall'altro si amplia il baratro di un processo di precarizzazione e proletarizzazione che attraversa il ceto medio, facendolo sprofondare in condizioni di insicurezza sociale ed economica. 

È «il quinto stato» che abbiamo indagato con Roberto Ciccarelli (Ponte alle Grazie, 2013), di precarizzati del lavoro della conoscenza, di cura e servizi alla persona e ai territori, fatto di intermittenti soprattutto nelle retribuzioni, e che Bonomi e De Rita definiscono come «i sommersi del capitalismo liberista»: di quel capitalismo in-finito che compromette il presente e il futuro del quinto stato. Mentre nel mezzo «resiste quel grande lago del ceto medio» che prova a «mantenere in vita un sistema economico, sociale, istituzionale che se regge ci può traghettare oltre la crisi e se salta farà saltare tutto» (così De Rita).

Ancora l'antipolitica al governo?

Questi ultimi sembrano appunti destinati all'attuale Presidente del Consiglio: quel Matteo Renzi che con il provvedimento degli 80 euro ha tentato un primo, scarno, sostegno al ceto medio impoverito e che non perde occasione per  rivendicare la sua appartenenza alla «società di mezzo» intergenerazionale degli scout, aspirando a diventare il leader di un “partito della nazione” imbevuto di leaderismo e populismo. E qui veniamo al cuore della radicale critica di Bonomi e De Rita alla verticalizzazione della burocrazia politica, contro l'orizzontalità dei territori. Si potrebbe notare che è un processo inarrestabile nelle democrazie occidentali, da oltre cinquant'anni. 

Da Charles de Gaulle, eroe prima della radio e successivamente della televisione francese, al ventennio di Silvio Berlusconi, passando per Ronald Reagan protagonista minore a Hollywood, giungendo al “grillismo” e al “renzismo” ai tempi della rete e dell'antipolitica in messaggi da 140 caratteri, via Twitter. C'è da aggiungere che questa tendenza alla personalizzazione egotica della leadership statale, plebiscitaria e populistica, quasi dell'«antipolitica al governo» (per ricordare un bel lavoro di Donatella Campus, di qualche anno fa), nulla può contro lo strapotere trentennale delle oligarchie tecnocratiche globali.

Cercasi coalizioni sociali

Eppure Bonomi e De Rita ci esortano a cercare ancora, evitando sia la facile retorica della “buona” società civile, contro la conclamata inadeguatezza delle classi dirigenti politiche, che lo sterile gioco dell'indignazione virtuale e dell'immobilismo sociale, nell'attuale società dello spettacolo telematico. Con la consapevolezza che siamo dinanzi a un potere cieco alle domande di giustizia sociale, con «un avvitamento micidiale prodotto da un'idea sbagliata, moralistica e accademica di austerity» (così De Rita, in un altro suo recente saggio, scritto con Antonio Galdo: Il popolo e gli dei. Così la Grande Crisi ha separato gli italiani, Laterza).

E allora si deve avere la forza di rimettersi in cammino, perché gli indizi del cambiamento necessario si rintracciano nelle «resistenze sperimentate nei territori» e nelle possibilità di attivare «politiche di scopo» che tutelino gli interessi delle cittadinanze. È la «dialettica tra flussi e luoghi», a partire da «piattaforme territoriali» dove rendere operative quelle che abbiamo chiamato coalizioni sociali capaci di riempire il vuoto lasciato dalla società di mezzo, per disegnare un diritto alla città, fatto di autogoverno territoriale, connessioni orizzontali e nuove istituzioni. 

Una sfida dal basso, che riguarda tutti: cittadinanze e sommersi del capitalismo finanziario, come una nuova generazione di amministratori locali, qualora avesse l'accortezza di comprende il valore della posta in palio. 

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Una versione più breve di questa recensione è uscita su il manifesto del 3 settembre 2014, con il titolo Appunti da un mondo al capolinea.

2 commenti:

  1. ?..e in modo che la persona si realizzi nella sua universalità e non solo in una democrazia formale vuota di tutto ricca solo di fomule astratte di libertà astratte comode solo al potere occulto per manovre alienate in partenza e presentate da sfumati subdoli confini dove tutto s'innesta fuorchè la dignità dell'uomo,la sua intelligenza attiva trasferita all'esistenza concreta dell'economia di cui dovrebbe essere costituito l'insieme fatto dal protagonismo degli stessi uomini anzi che dirigerlo per sfruttarlo e poi buttarlo nella spazzatura. Bianca 2007

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  2. al di la di tutto l'interessante materiale di De Rita e Bonomi che ci avete offerto e che leggerò stampato su carta perché riesco ad essere più cognitivo (fa sorridere, lo so), ma voglio dire, cosa pensava che con quegli 80 euro ad 1\3 degli italiani avrebbe poi risolto tutti i suoi problemi? E' una proposta "instrutturale", non cambia nulla, i meccanismi che contano non li vede neanche con la lente d'ingrandimento, ed è un bel fesso chi accoglie una 30 denari dicendo pure grazie! Ma come si fa? Vado in Spagna!

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