sabato 13 dicembre 2014

E NOI CI SIAMO RIMASTI, IN TUTTI I SENSI, MAMMA ROMA

Er Console


Adesso è tutto un discettare sulla Roma fascio-mafiosa. Sulla mafia-Capitale. Sulla Roma nera, ma anche rossa, e non solo di vergogna. Sul blocco di potere che da trent'anni spadroneggia: dentro il connubio burocratico-clericale, ecco il connubio fascio-comunista, ma anche laziale-romanista, nordista-sudista che tiene in scacco la capitale. 

Dalla (Banda della) Magliana di Roma Sud a(lle bande di) Ponte Milvio di Roma Nord. Dalle spiagge di Ostia e Fregene, fino a Sacrofano: la città metropolitana fascio-romana. È questo il nuovo Partito della nazione (à la romanesca). Per il quale è meglio assicurarsi di chiudere Teatri (Valle, Eliseo) e Cinema (America) che preoccuparsi dei vertici politici e amministrativi che guidano questa città. Tanto ne ha viste talmente tanti, in un millennio e mezzo, figurarsi.  


E adesso praticamente tutti, a Roma, stanno leggendo le oltre mille pagine dell'ordinanza sul Mondo di mezzo. Splendida città Roma, dove è difficile che qualcuno abbia qualcosa da fare per più di un quarto d'ora continuativo. Al Ministero, come all'Università. In Regione, come al Municipio. Alle poste, come in banca. In trattoria, come al bar. La Roma oziosa e dissipatrice, dalla quale è impossibile fuggire. La Roma de: “e che cazzo c'avrai mai da fa'!?”

Quanto la amiamo, 'sta Roma, che mette tutti d'accordo?







Ma non il suo portato di Smart e macchinette, balsfemia e smadonnamenti, svastiche e parcheggi in terza fila, accessi ai privé e strisce bianche, il tutto sempre equamente diviso tra Roma Nord e Roma Sud: qui e ora.


E qualcuno casca dal pero, scoprendo il business sulla marginalità. O ancora più candidamente si pente delle maledizioni mandate al (sotto-)Marino, solitario, ma non certo al comando. Con tutto il corpaccio burocratico, rosso-nero e vetero-papalino che gli rema contro. Dai dirigenti delle controllate e partecipate, in giù. E quando si diceva che era il momento di stare con quel “mattarello” di Marino: niente!  


Ma certo che una qualche forma di odio, che non sarà mai abbastanza, deve andare contro questi “imprenditori” che mettono al lavoro, spesso sottopagato, sempre in ritardo, praticamente quasi-gratuito, le vite degli altri, per sfruttare sulle altre vite, ridotte a miseria, delle diverse “emergenze”: immigrazione, rom, zingari, servizi stradali, assistenza al disagio sociale e via declinando in quella cooperazione capitalistica pronta a speculare sulle disgrazie altrui. 

Pagando quasi zero il lavoro altrui, prendendo appalti ultramilionari e spartendosi le ampie fette di finanziamenti erogati per queste benedette “emergenze”: umanitarie, terroristiche, naturali o “civili” che siano. Sono le pratiche del capitalismo globale applicate al quadro locale. Mafiosi o meno che siano i “dirigenti cooperanti” e i loro addentellati amministrativi, o della manovalanza ultra-nazi-fascia.


Perché riguardo a questo profilo sarebbe preferibile andare con i piedi di piombo, come fa Lanfranco Caminiti, il quale ci ricorda che il 416 bis manco alla Banda della Magliana, lo diedero. Sicuri poi che per capodanno ci sarà la festa a tema, co Er Ciecato o Er Guercio, Er Buzzicone, Er Maialone o Er Cinghialone che sia, fino agli eredi di Kapplerino o de Er Caccola.

Festa al tempo di Batman Fiorito, a Roma Nord


In quel gorgo di dimenticanza e assimilazione che è Roma.


Ma che cos'è diventata Roma, al giorno d'oggi? Meglio domandarlo alla letteratura e alla poesia. Anche di ieri.


A un Raffaele La Capria del 13 febbraio 1975, con il suo celebre Lamento su Roma:  


Cos'è oggi Roma, allora! Cos'è diventata? Da Caput Mundi a Kaputt Mundi, del Mondo Occidentale, dell'Europa. Sempre più appartenente ad un Mediterraneo inquinato da raffinerie e attraversato da correnti clerico fasciste. Punto di confluenza dei risentimenti di un Sud mafioso malato e sottosviluppato. Centro di oppressione Buro-Ministeriale, Aeroporto di Fiumicino di programmi e governi, Torre di Babele dei linguaggi pseudo-politici. Gran Teatro degli ammicchi e delle allusioni, Capitale dell'inciucio dove sfilano sulla passerella, con sorrisi da padrino e accessi di “moraloneria”, come ossessivi incubi trentennali, troppi Mostri Sacri della Gran Cosca al potere e troppe Sibille Romane...


E in sottofondo le note di Recycle, con l'eterna poesia di Remo Remotti,






A Roma salutavo gli amici. Dove vai? Vado in Perù. Ma che sei matto?

E me ne andavo da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del “volemose bene e annamo avanti”, da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei “Sali e Tabacchi”, degli “Erbaggi e Frutta”, quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle…

Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli uffici postali e dell'Anagrafe, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione…

Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, della Circolare Destra, della Circolare Sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti…

Me ne andavo da quella Roma degli attici con la vista, la Roma di piazza Bologna, dei Parioli, di via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell'orchestrina a piazza Esedra, la Roma fascista di Piacentini…

Me ne andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Romacaput mundi, del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell'Altare della Patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre con il sole “estate e inverno” quella Roma che è meglio di Milano…

Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, dei Ianetti, dei Ventrella, dei Bulgari, dei Schostal, delle Sorelle Adamoli, di Carmignani, di Avenia, quella Roma dove non c'è lavoro, dove non c'è una lira, quella Roma del “core de Roma”…

Me ne andavo da quella Roma del Monte di Pietà, della Banca Commerciale Italiana, di Campo de' Fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei “che c'hai una sigaretta?”, “imprestame cento lire”, quella Roma del Coni, del Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini.

Me ne andavo da quella Roma dimmerda!


Mamma Roma: Addio!


…e poi ce so’ tornato!

E noi ce semo rimasti, in tutti i sensi, mamma Roma!

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