giovedì 16 gennaio 2014

UNA LARGA INTESA SUL REDDITO MINIMO GARANTITO


Nella Cgil è in atto una battaglia decisiva in vista del congresso che si terrà a maggio. Nei congressi territoriali iniziati da pochi giorni si discuteranno sette emendamenti al documento unico proposto dalle componenti della confederazione. Quella che viene indicata come la sinistra interna del sindacato di Corso Italia, la Fiom di Maurizio Landini, la Flc (scuola, università e ricerca) di Domenico Pantaleo e l'area “lLavoro e società” ne hanno proposti due insieme.

Il primo è sulla riforma Fornero: si chiede di ripristinare i 40 anni di contributi per andare in pensione a 60 anni e riduzione dell'età pensionabile per i lavori usuranti. Nel testo viene denunciata “l'irrilevanza della protesta” contro la riforma approvata nel 2012. Il secondo è ancora più importante: si chiede alla confederazione di battersi a favore dell'istituzione di un reddito minimo garantito in Italia, unico paese europeo insieme alla Grecia a non prevederlo “per chi si trova in uno stato di disoccupazione, inoccupazione”, utile anche a “integrare il reddito di chi ha un lavoro povero e una pensione molto bassa”.


Quest'ultima è una precisazione importante, utile a sganciare questa misura universalistica a favore delle persone dallo strumento ricattatorio ai danni dei giovani o dei precari che sembra emergere nel confuso dibattito agitato dal segretario Pd Matteo Renzi nel “Jobs Act” per quanto riguarda il “sussidio universale” biennale da erogare a tutti “a condizione di accettare una proposta di lavoro”. La sinistra sindacale propone invece qualcosa di innovativo, anche rispetto a quanto accade nei paesi europei dove esiste un reddito minimo sempre legato al cosiddetto ricatto “workfarista”: o accetti una su due proposte di lavoro, oppure perdi il sussidio.

La proposta di lavoro dev'essere invece congrua rispetto alla formazione e alle aspirazioni dell'individuo; il reddito erogato deve continuare a esserlo fino al definitivo miglioramento delle condizioni materiali di esistenza (cioè al di sopra del livello di povertà); non dev'essere alternativo al riconoscimento dei diritti alla formazione professionale o allo studio, ma essere integrativo; deve infine sostenere i redditi delle persone che sono in pensione, oppure sono disoccupate ad un'età che non permette un immediato ritorno sul mercato del lavoro (45-50 anni, ad esempio).

Nel caso, non certo scontato, di un voto favorevole nel congresso di maggio, sarebbe una rivoluzione culturale dentro Corso Italia. Mai prima di oggi, infatti, in un sindacato solidamente ancorato nella cultura lavorista che teorizza la prevalenza dello strumento del contratto e la garanzia dei diritti del lavoro dipendente si è cercato di affermare una visione che mette al centro gli interessi e la persona indipendentemente dal contratto, dalla tipologia del lavoro e dal reddito posseduto. È un'eresia, anche da un altro punto di vista. Per finanziare una simile iniziativa, infatti, c'è bisogno di una riforma globale degli ammortizzatori sociali.

Non solo, come chiedeRenzi, della cassa integrazione guadagni (Cig) in deroga, cioè quella misura straordinaria avviata dal governo Berlusconi per finanziare la disoccupazione dei lavoratori la cui azienda è stata colpita dalla crisi (almeno 3 miliardi di euro all'anno, e siamo arrivati al 4 anno consecutivo). Per creare le premesse di un Welfare universale in Italia, questo è l'obiettivo dell'emendamento sindacale, è necessaria una riforma della fiscalità generale, della contrattazione nell'ambito del lavoro indipendente (dove praticamente non esiste, e se esiste riguarda alcune categorie sindacalizzate); dell'Inps; una drastica riduzione dei contratti precari (46).

Domani nell'Aula 1 della facoltà di Lettere della Sapienza di Roma, a partire dalle 15, questa proposta dei sindacati verrà discussa insieme alle associazioni, ai movimenti, agli studenti che hanno promosso dibattiti, raccolte di firme, leggi popolari e proposte di leggi parlamentari sul reddito minimo. L'emendamento sul reddito minimo al documento sindacale può essere considerato uno dei risultati di una campagna instancabile, condotta da centinaia di associazioni e movimenti che dal 2011 hanno raccolto più di 50 mila firme confluite nella legge di proposta popolare per l'istituzione di un reddito minimo in Italia. Il risultato è stato poi raccolto nella proposta di legge presentata dal Sinistra Ecologia e Libertà alla camera, dove sono presenti altre due proposte del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. I tre partiti parteciperanno all'assemblea.

Uno degli esiti possibili, anche questo non scontato, della coincidenza tra il dibattito sindacale e quello parlamentare potrebbe essere una “larga intesa” tra Pd, Sel e 5 stelle che potrebbero convergere su un'unica proposta, facendola approvare dal parlamento. È lo scenario proposto da un appello diffuso dal Basic Income Network-Italia (Bin), lo snodo associativo attraverso il quale sono passati negli ultimi anni i principali dibattiti sul reddito garantito e le iniziative di legge. I sindacati lo hanno fatto proprio e lo rilanciano. Anche per queste forze politiche potrebbe essere uno scenario preferibile alle “ristrette intese” tra Letta e Alfano che governano il paese.

Roberto Ciccarelli

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