Giuseppe
Allegri
Una riforma nel segno del compromesso storico
tra Lega Coop e Compagnia delle opere. Per eliminare l' "apartheid" tra
garantiti e non garantiti si cancellano i diritti di tutti. Non si
tratta di dare lavoro, purché sia, ma di interrogarsi sul suo senso per
le persone e per l'intera società
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Torna
l'autunno e con esso l'eterno dibattito sul mercato del lavoro in
Italia. È il solito disco incantato, da trent'anni a questa
parte. Dai maestri giuslavoristi della prima Repubblica dei partiti,
come Gino Giugni, ai mesti epigoni, i piccoli tecnocrati di governo,
Fornero e Sacconi. Passando per gli utili riformisti di “sinistra”
Treu e Damiano.
Ecco l'intero arco costituzionale della seconda
Repubblica pronto a intonare lo stantio e odioso ritornello della
flessibilità che porta maggiore occupazione, in un Paese dove
flessibilità fa rima, da sempre, con precarietà, insicurezza,
sfruttamento e clientelismi.
E
finisce in questo tunnel temporale anche il rottamatore Presidente
del Consiglio Matteo Renzi, con la scusa: «ce lo chiede l'Europa».
Ma manda avanti il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, forte del
consenso conquistato come leader delle cooperative rosse e
sintetizzato nel Jobs Act. Un miscuglio della più ortodossa
ideologia paternalista del lavoro a tutti i costi, anche se precario,
senza garanzie e retribuzione (Expo
2015 docet).
Ecco l'ennesimo, insopportabile, «compromesso
storico» saldamente al governo del Belpaese: quello di Lega
Coop e Compagnia delle Opere. Con la stessa ottusa
convinzione che per eliminare la tanto evocata apartheid tra
garantiti (assunti a tempo indeterminato) e non garantiti (precari-e
e intermittenti, soprattutto della retribuzione) si debbano togliere
i diritti a tutti.
Come per un scherzo della storia il ritorno
dell'eguaglianza è nel segno dell'eguale assenza di tutele,
sicché precari-e e strutturati possano sanamente competere per
difendere, o ottenere, quel (posto di) lavoro sempre più
evanescente, squalificato, impoverito e senza dignità. Facendo finta
di non vedere che la precarietà di lungo corso è diventata,
negli anni della Grande Depressione, sottoccupazione,
disoccupazione, lavoro povero e gratuito: dai giovani
NEET, senza studio, lavoro, formazione, agli over-40 e 50 espulsi dal
“mercato del lavoro”.
Per
questo non si tratta di dare lavoro, purché
sia, ma di interrogarsi sul suo senso, contenuto, retribuzione e
“utilità”, per le persone e per l'intera società. Partendo da
una grande campagna di solidarietà, che preveda garanzie
universali e un reddito minimo garantito
per sfuggire ai ricatti dell’impoverimento e del lavoro gratuito, e
permetta quindi alle persone di riconoscersi in un progetto di
trasformazione sociale lontano dalle miserie delle prima e seconda
Repubblica, nelle quali rischiamo di affogare tutti, compreso il
giovane Renzi, con tutti i suoi turbamenti.
* pubblicato su Left – avvenimenti, 4 ottobre 2014, n. 38, p. 16, con il titolo Il lavoro a tutti i costi non paga.
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lEGGI: JOBS ACT: TRE EQUIVOCI, UN UNICO RICATTO (Giuseppe Allegri)
PER RENZI ARRIVA UN SUSSIDIO PER TUTTI. MA E' SOLO UN TWEET (Giuseppe Allegri)
Alla Compagnia Della Buona Morte,paga l'uguaglianza astratta sia nella sua variante democratica che in quella dispotica. Il laissez faire nel tempo dell'abbisogna è allora giusto nei bla bla blain attesa che il limite della sopportazione scardini ogni stagnante immobilismo. Bianca 2007
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