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mercoledì 6 maggio 2020

OGGI E' UN DESIDERIO


Il nostro sostegno alla libreria Stendhal, la libreria francese di Roma. Il nostro sostegno a tutte le librerie indipendenti in Italia, in difficoltà per la crisi da Covid 19, l'impero di Amazon, le norme confuse incomplete e insufficienti. La libreria Stendhal ha lanciato una campagna partecipativa: 

Invitiamo a sostenerla >>> qui <<<

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Nel centro chiuso, deserto e cancellato di Roma, queste strade sono piene della paura per un virus che si trasmette con il respiro e il contatto. Queste strade sono una prigione interiore.

Sono ancora un clandestino tra queste pareti mentali dove ho associato, come in un’allucinazione, i turisti con i politici che lavorano al Senato che si trova a Palazzo Madama, vicino alla libreria Stendhal. I politici sono fisicamente diversi dai turisti. Aspirano a una presenza ontologicamente distante. Ma i due, insieme, vanno e vengono. I politici camminano a mezzo metro da terra, con i tacchi alti, o con un cappotto da mille euro. Si muovono in piccoli gruppi. Parlano al telefono. A volte sono inseguiti dagli operai del circo dei media, quelli con le telecamere, costretti a cercare una dichiarazione inutile per riempire cinque secondi di telegiornale e guadagnarsi il cottimo giornaliero.

Da questo sentimento di oppressione, ho trovato rifugio nella libreria Stendhal. Da quando ho perso il Teatro Valle occupato, una vera e propria fortezza dell'immaginario politico a trecento metri dal Senato, la libreria Stendhal è diventata il mio Fuori dove conduco la lotta contro questa società di spettri. In questo Fuori, trovo una lingua che non mi è più estranea.

lunedì 20 aprile 2020

CITTADINANZA VIRALE


Roberto Ciccarelli

La cittadinanza virale. Questa condizione non risponde a un potere assoluto che decide su un’«eccezione permanente», né a un «grande fratello» digitale, ma alla necessità di includere e non respingere l’assolutamente estraneo, confliggendo sulle prassi del governo di sé e degli altri. E' una dimensione etico-politicaincomprensibile nei discorsi del soluzionismo tecnologico, delle teosofie della fine del mondo o nelle teorie sull’eccezione. E' qui che si afferma l’alternativa in cui vivremo: da un lato, possiamo essere incastrati in un potere autoritario; dall’altro lato, possiamo praticare una solidarietà potente

venerdì 27 marzo 2020

GUERRA?




Roberto Ciccarelli

"Nuove alleanze" e freni d'emergenza. Memoir di idee e politiche dopo il primo mese di emergenza da coronavirus. 

“Guerra”, metafora e realtà. Usata in maniera universale: guerra economica, guerra contro il virus, guerra sanitaria. Mi colpisce il ricorso all’idea della “mobilitazione generale”, o “totale”, evocata mentre 3 miliardi di persone in tutto il mondo sono costrette a restare a casa, dunque impossibilitate a “mobilitarsi”.

Mobilitazione. Ci si mobilita stando fermi, si agisce rinchiudendosi ed evitandosi a tempo finora indeterminato. A differenza della seconda guerra mondiale, l’orizzonte simbolico evocato in maniera impropria da tutti, non si tratta di mobilitare il pubblico e il privato verso la produzione di armi, in un’economia del sostentamento.

È proprio il contrario: "si tratta di come gestire la realtà della smobilitazione nazionale per fermare la diffusione del virus"dice Duncan Weldon, storico dell’economia in un’intervista sul Financial Times del 27 marzo a Jonathan Ford.

Nel libro del 1940, How to Pay for the War, l'economista John Maynard Keynes spiegava l’imperativo della mobilitazione in questo modo: "la produzione bellica della Gran Bretagna [dovrebbe essere] grande quanto sappiamo organizzare", lasciando solo un "residuo definitivo disponibile per il consumo civile". Ciò significava che lo Stato doveva fare la parte del leone nella produzione bellica e prendere misure come l'aumento delle tasse per ridurre la domanda dei consumatori. Questi passi erano necessari a causa del forte aumento dei redditi delle famiglie - il prodotto della piena occupazione in tempo di guerra. Questo, si temeva, potrebbe indurre i produttori a deviare la capacità di produrre beni di consumo: "Non possiamo permettere che una semplice questione di denaro nelle tasche del pubblico abbia un'influenza significativa sulla quantità che ci è permesso di consumare", ha osservato Keynes.



Oggi ci troviamo nella situazione opposta.

I governi chiudono, più o meno, le attività “inessenziali” che in una vera guerra sarebbero attive, o riconvertite alla produzione di armi, oppure garantite per sostenere la popolazione. La maggior parte delle attività di vendita al dettaglio, se non ha chiuso, si troverà a chiudere, così come accade a molte aziende che rallentano volontariamente la produzione a causa della diminuzione della domanda dei loro prodotti o del desiderio di prevenire l'infezione. Al di fuori di alcuni settori, come quello alimentare, la domanda dei consumatori è in calo.

mercoledì 11 dicembre 2019

LAVORO, E ANCORA LAVORO. MA PARLIAMO PRIMA DI LIBERTA' E AUTONOMIA



Giuseppe Allegri

Che ci sia, o non ci sia, cambia la stagione, il discorso è: lavoro, lavoro, lavoro. Si interviene sempre con scarsissima efficacia e lungimiranza sul rompicapo. E alla fine ci si ritrova al punto di partenza. La rivista Luoghi Comuni n. 3-4/2019, diretta da Andrea Ranieri, edita da Castevelcchi, propone un passo in avanti: per parlare di "lavoro" è necessario partire dall'autonomia e la libertà della forza lavoro. Se un lavoro non la garantisce, e non è nemmeno pensato a partire da questo, parliamo di una cultura politica che mira alla gestione del governo in nome del potere esistente e non all'esercizio del potere dei senza potere. Un'indicazione che viene dalle ultime opere di Bruno Trentin. E non solo. Ne parla Giuseppe Allegri nel saggio pubblicato sulla rivista con il titolo "Cooperazione sociale, garanzie di base e innovazione istituzionale, finalmente?"

sabato 20 luglio 2019

LOTTA DI CLASSE CONTRO POPULISMO 2.0



Populismo, lotta di classe, una nuova idea di internazionalismo, la piattaforma come pratica politica non solo come interfaccia tecnologica, la critica delle teorie del capitale umano e la filosofia della forza lavoro. Sono alcuni dei temi di una conversazione sulle alternative, e le contraddizioni, della politica nel 2019 in un'intervista  pubblicata nel numero 166 di giugno 2019 della rivista di Engramma, dedicato a Adriano Olivetti: il disegno della vita e comunità dell'intelligenza. Con i contributi, tra gli altri, di Giuseppe Allegri (qui il suo testo), Marco Assennato, Sergio Bologna Aldo Bonomi, Ilaria Bussoni e Nicolas Martino, Alberto Magnaghi, Michela Maguolo, Nicolas Martino, Michele Pacifico, Emilio Renzi, Alberto Saibene. (Roberto Ciccarelli)

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Engramma: Come va interpretata l’idea di “comunità” olivettiana rispetto al dibattito attorno al conflitto tra società e comunità che costituiva sino a poco tempo fa il fronte tra politiche di sinistra e politiche di destra?

Roberto Ciccarelli: L’idea che non si possa parlare più di “politiche di sinistra” e “di destra” è ispirata a una rappresentazione populista della politica. Il populismo è la parodia della lotta di classe di cui è stata sancita la fine dopo gli anni Settanta del XX secolo. Com’è stato abbondantemente dimostrato da eventi storici ed economici di prim’ordine negli ultimi 40 anni, questo è falso. La lotta di classe non è finita, la stanno facendo solo i padroni e i loro servi. Gli sfruttati, i vulnerabili, i poveri, i deboli, i confusi hanno smesso di farla perché hanno creduto che non esiste più lotta di classe. Il populismo è l’illusione di avere recuperato una parvenza di conflitto, ma di segno completamente diverso dall’antagonismo di classe, di sesso o di razza. 

Esistono complicate filosofie trascendentali  sulla “ragione populista”, alla Ernesto Laclau, che abbondano anche in una sinistra sensibile al canto della metafisica. Il “popolo” sarebbe il risultato di un conflitto discorsivo mediato dall’istanza autoritaria di un leader in una campagna elettorale permanente. La politica “oltre la destra e la sinistra” coincide con le strategie di marketing che strumentalizzano ogni istanza e definiscono la politica in un paradosso permanente di una democrazia che coincide con istanze paternalistiche e autoritarie. 

La “comunità”, intesa come “sociale”, viene smaterializzata in uno spazio discorsivo-elettorale, la politica diventa una questione di simboli e slogan. Chi ritiene che la politica oggi coincida con il populismo 2.0 - da destra, come da sinistra - non fa altro che aggiornare la teoria della società dello spettacolo. L’astrazione vertiginosa del “popolo” - un soggetto definito in base alla misteriosa idea della “pienezza assente” - è simile a quella del capitale: un processo il cui soggetto è la propria astrazione. Il populismo è la forma iperpolitica di questa astrazione. 

Queste teorie legittimano quello che in Italia è stato sdoganato in politica dal Movimento Cinque Stelle: l’idea che il populismo sia “oltre la destra e la sinistra”. In realtà la ragione populista cancella la classe a favore della totalità fittizia di “popolo” e, così facendo, legittima la rimozione della centralità della forza lavoro, intesa sia come facoltà di produrre il valore d’uso che come capacità di lavoro, antagonista al capitale. Il conflitto di classe è sostituito da quello tra l’appartenenza ad una comunità originaria nazionale contrapposta a un potere anonimo globale. 

Il conflitto molecolare tra forza lavoro e capitale è stato così ribaltato nella polarizzazione molare tra soggetti autosufficienti che confluiscono misteriosamente in un’unità linguistica definita “popolo”. Si dà così per scontato che all’interno del popolo regni l’amicizia, e non esista un’ostilità politica ed economica. Il conflitto viene proiettato fuori dalla “comunità” degli autoctoni, contro i migranti e gli allogeni. 

Nella “comunità” i diversi dovrebbero riconoscersi in un accordo garantito da un capitalismo benefattore, capace di riconoscere i meriti di ciascuno, mentre all’esterno vige uno stato di natura in cui si scatena l’ostilità contro gli altri popoli in una competizione tra mercati e sovranità contrapposte, contro masse di migranti che insidiano la presupposta autenticità naturale di un popolo - il mito del nativismo protetto dagli eserciti e dalle polizie sulle frontiere dello Stato. Si afferma così l’idea di una comunità fondata sulla proprietà e sulla protezione dei confini psichici, fisici, patrimoniali. È questa idea che si trova, tanto a sinistra quanto a destra, oggi. 

Rispetto a questi problemi, l’idea di comunità di Olivetti ci permette perlomeno di ragionare in contrappunto. Se intendiamo la sua “comunità” come la costituzione civile fondata sull’auto-governo dei territori, il buon governo delle città, le reti delle istituzioni di prossimità, un ripensamento dei “corpi intermedi”, allora possiamo istruire un discorso diverso dal “populismo” forgiato nei concetti di sovranità, nazione e proprietà. Credo tuttavia che questo discorso sia ancora molto preliminare rispetto a un ripensamento di una politica anti-capitalistica e costituente. Considerata la situazione attuale sarebbe comunque uno scarto rispetto alla miseria in cui ci troviamo. 

martedì 13 febbraio 2018

IL REDDITO DI BASE E' UN DIRITTO

Giuseppe Bronzini

I due anni tra il 2015 ed il 2017 hanno conosciuto una vera e propria “esplosione” del tema del diritto (universale) ad un reddito di base, cioè della garanzia di una vita libera e dignitosa per tutti, per dirla in estrema sintesi.

Sulla querelle terminologica torneremo più avanti più analiticamente ma ci interessa in questa sede riassuntiva delle linee di sviluppo del Volume indagare il perché, nel volgere di un solo biennio, una proposta che suonava ai più come scandalosa ed irritante, lontana dalle dinamiche sociali e dai processi economici, in sostanza come una provocazione di ambienti accademici radicali o di movimenti sociali destinati al minoritarismo ed incapaci di trovare credibili alleanze, sia diventata il fulcro di un così intenso ed appassionante dibattito.

Come è stato osservato il reddito di base sembra diventare, in tendenza, un principio di organizzazione sociale (di rilevanza costituzionale ) intuitivo e irrinunciabile così come lo sono diventati, in altre epoche storiche, l’abolizione della schiavitù o il voto alle donne: il fondatore della rete internazionale ( diffusa in trenta paesi) del BIEN ( Basic income network) Philippe Van Parjis ha azzardato, in relazione a questo mutamento di clima (che sfortunatamente coinvolge l’Italia solo marginalmente) la battuta “ un giorno di domanderemo come abbiamo potuto vivere senza un reddito di base universale”.

E’ la centralità che il discorso sulla garanzia di un “ reddito di base” ha assunto nel confronto internazionale, che coinvolge non solo gli Autori che cercano una dimensione “emancipativa” nella trasformazione tecnologica in corso o ne denunciano i pericoli e le minacce, ma persino i “signori della rete” ed il World Economic Forum, così come importanti Istituzioni come il Parlamento europeo, Stati del vecchio continente o Paesi emergenti, che deve essere spiegata prima ancora di esaminare l’accettabilità di questa prospettiva, la sua concreta fattibilità ed il rapporto con la diversa misura , ma secondo la tesi di questo Volume, vicina per finalità ed ispirazione, del “ reddito minimo garantito”( d’ora in poi RMG) come protezione di chi versa concretamente in una situazione di bisogno.

giovedì 25 gennaio 2018

COSA PUO' UNA FORZA LAVORO



La forza lavoro è la facoltà regina: la facoltà delle facoltà. E' il risultato dell'attività congiunta, e contraddittoria, del giudizio e dell'immaginazione, della capacità e dell'intuizione. La sua base è: "Perseverare nel nostro essere" scrive Spinoza. 

La forza lavoro è la facoltà di produrre valori d'uso, non è solo una capacità di lavorare. E non è uno stato, una situazione acquisita e interamente realizzata nei fatti. E' un'attività in corso di effettuazione, sempre  alla prova, esposta di conseguenza all'incompletezza, allo sbrogliarsela e all'imbrogliarsi. 

C'è una potenza del produrre e del pensare nella forza lavoro. E' incarnata nei corpi, agita dalle menti, continuamente rimossa nel lavoro, incastrata nelle cose, fissata nella merce, sequestrata dall'algoritmo.  È quella potenza che chiama dall'interno e riappare in un mondo in pezzi sotto forma di istanti, affetti concentrati, possibilità date e non date.

Nell'errore, nell'alienazione, nell'intuizione, nel frammento o una anomalia, c'è un modo per uscire dal ristagno della vita.

Anche con la potenza, vera o immaginata, perduta o tradita, l'apertura della facoltà continua a percepirsi. Si rilancia, di ripresa in ripresa, di ripetizione in ripetizione di un atto meccanico e impersonale. In esso la potenza non si esaurisce mai. E' suscettibile di essere programmato in partenza fino a quando la vita inciampa in un ostacolo e inizia a interrogarsi su se stessa.

Il problema non è che cos'è il lavoro, ma cosa può questa forza lavoro. Come può il suo potere farsi forza?


*Roberto Ciccarelli, Forza Lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi, in libreria dal 25 gennaio 2018. Su http://www.deriveapprodi.org/2018/01/forza-lavoro/

mercoledì 17 gennaio 2018

LAVORETTI




Pur evocato come un miracolo, una dannazione, una redenzione, oggi il “lavoro” non indica un referente chiaro.

Anche chi dice - imbrogliando - che i gig workers non lavorano, ma giocano - fanno, appunto, un lavoretto - nei fatti riconosce l’esistenza di un lavoro.

Nell’espressione onnipresente gig economy il concetto di work - lavoro - non c’è.

Esiste un suo quasi sinonimo – in inglese gig significa lavoretto, ingaggio, prestazione e spettacolo - estraneo alla semantica che deriva da labor, ponos, e i moderni work, arbeit o travail.

La contraddizione è insuperabile nella lingua latina.

La plurisignificazione inglese allude al campo del lavoro, della retribuzione, del contratto, ma lo sposta verso la prestazione soggettiva, un'attività che si fa gioco, divertimento, hobby.

Se il lavoro è un hobby, allora non è un lavoro, si dice.

Anche se è un hobby, e non lo è, la sua attività produce un valore, produce relazioni, è il presupposto per creare servizi e beni, noi rispondiamo.

mercoledì 10 gennaio 2018

FORZA LAVORO. IL LATO OSCURO DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE



Siamo noi il cuore dell’algoritmo, ma restiamo nel lato oscuro. Ora si tratta di aprire questo scrigno. La domanda non è che cos’è il lavoro, ma la più concreta, e potente: cosa può oggi una forza lavoro?

***Roberto Ciccarelli. Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi Editore. Dal 25 gennaio in libreria. Prenotabile e acquistabile qui

giovedì 14 dicembre 2017

14/12/2010: LA MATTINA ANDAVAMO A PIAZZA DEL POPOLO


Roberto Ciccarelli 

Ricapito su una mia piccola cronaca emozionale del 14 dicembre 2010: piazza del popolo, Roma. Il movimento contro la riforma universitaria Gelmini, il culmine di due anni di mobilitazione potente, iniziata nella scuola, un movimento sul quale si sono innestati molti altri movimenti. C'è una vibrazione profonda, non dovuta allo scrivente ma a quanto aveva sentito di potente quel giorno, al termine di due anni in cui avevo seguito, coltivato, spinto quel movimento che si addensò tra il 2010 e il 2011. Il giorno dopo ricordo che mi chiamò mio padre in una telefonata sconvolgente: "L'ho letto mi hai fatto piangere. E' la tua storia, è la storia di tutti voi ragazzi". Non ero io, papà, che poi ragazzo non lo ero già più allora. Eravamo noi, tutti insieme. Lo scrissi sanguinante per una manganellata ricevuta perché, in sospensione e quasi in sogno, camminavo in quella piazza prendendo assurdamente appunti. Ogni tanto mi stringe il cuore perché da allora poche volte ho sentito, e scritto, quella potenza. Ma quella potenza è qui e piango ogni volta che sfugge.

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È stato un singulto. Un urlo strozzato che ha tradito lo sconcerto, e la sorpresa, di vedere il blindato della Finanza prendere fuoco, insieme all'Alfa abbandonata sul marciapiede di via del Babbuino. Veniva dalle retrovie dei ragazzi incordonati dietro le balaustre che separano la fontana dell'obelisco dall'arena lastricata in piazza del Popolo, oppure da quelli assiepati in alto sulle rampe che portano al Pincio. La voce era quella di almeno diecimila ragazze (in maggioranza) e poi ragazzi, tutti giovanissimi vestiti con tinte scure, molti caschi al braccio, foulard al collo grondanti acqua e limone, occhi lucidi per le decine di lacrimogeni esplosi per ore nel Tridente.

Hanno osservato per più di un'ora la scena tumultuosa di inedita durezza per la storia recente della Capitale. In questo esatto momento è accaduto qualcosa che non si era ancora visto, e nemmeno immaginato fino ad oggi. La scena delle fiamme che mangiano le carcasse d'acciaio, il lancio di segnali stradali, assi di legno, sanpietrini, poi la prima carica della polizia respinta in un corpo a corpo con 500 rioters bardati e coperti ha spinto la folla pacifica dei ventenni, o poco più, ad una risposta corale. In quel suono c'era indignazione, rabbia, orrore. E ci sono stati molti applausi.
Un gesto che dovrà essere compreso a fondo nei prossimi mesi. La sensazione circolata in pochi istanti, tra un andare e venire delle cariche, prima dell'ultima violentissima lanciata dalle gimcane dei blindati dei carabinieri e della finanza, è che si è rotto il velo di una finzione. Nella sospensione di un attimo, nell'emissione di questo suono lungo e gutturale, è emersa la radicale separazione, l'intima estraneità, di una generazione in piazza, quella nata tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta dal resto di una società che dolorosamente ignora cosa sta incubando la sua crisi. Per questo la scena degli scontri bisognava osservarla con le spalle girate rispetto al palcoscenico. In questi momenti bisogna allungare lo sguardo, e andare oltre l'estetica, pur grave, dello scontro. È possibile così ricongiungere discorsi, e comportamenti, che vediamo circolare da molti mesi in Italia. Nelle università, ad esempio, che lottano sempre più intensamente contro l'approvazione del disegno di legge Gelmini, che si presume sia ormai prossimo. E nelle scuole, già rimodulate dalla riforma, che rappresentano in questo momento la mappa in tempo reale di una generazione privata di futuro.

mercoledì 13 dicembre 2017

IT'S STILL DAY ONE/ E' ANCORA IL PRIMO GIORNO (DI UNA VITA)


IT'S STILL DAY ONE/ E' ANCORA IL PRIMO GIORNO (DI UNA VITA). "E ci ritroviamo oggi esausti, ma non disperati né impotenti, a pensare che per trasformare la nostra condizione di forzati del lavoro su di sé sia necessario ascoltare le voci di quei lavoratori indipendenti francesi italiani inglesi tedeschi americani che già nel XIX secolo si sono organizzati in cooperative e società di mutuo soccorso per sottrarre la loro vita alla presa del lavoro come vocazione, prestazione, morale. Sono loro, insieme ai tanti altri che hanno spezzato la continuità della storia del lavoro nel XX secolo - e non Jeff Bezos di Amazon - che sembrano sussurrarci in un orecchio: EHI, SI', IT'S STILL DAY ONE"

(It's still day one. Dall'imprenditore di sé alla start up esistenziale. Massimiliano Nicoli e Luca Paltrinieri su Aut Aut, 376/2017: Fantasmi Neoliberali)

lunedì 11 dicembre 2017

LAPO BERTI, COMPAGNO E MAESTRO






Giuseppe Allegri

Ricordo di Lapo Berti, compagno e maestro.

Abbiamo conosciuto personalmente Lapo Berti negli anni Zero della crisi globale. Poi, dalla tarda primavera del 2011, il nostro comune “quartier generale”, dove incontrarci e progettare mille e uno piani di nuova immaginazione sociale, era il Teatro Valle Occupato e i baretti delle vie adiacenti. Ma Lapo lo avevamo letto nei tempi precedenti, come uno tra i nostri fratelli maggiori. Maestro nel trasmetterci la consapevolezza di poter tenere insieme l'intransigente analisi critica del reale con la possibilità di trasformarlo quotidianamente questo reale.

Per questo seguimmo da vicino e collaborammo al progetto Lib 21 per la qualità della vita. Perché anche lì si provavano a sperimentare le coordinate di un mondo a venire, partendo da uno stretto legame con il lascito delle migliori sperimentazioni tentate nel segno dell'emancipazione individuale e collettiva. Così ci ritrovammo con Lapo in particolare sull'urgenza di pensare i luoghi sociali, cittadini, politici, culturali del Quinto stato che andavamo mappando tra coworking che nascevano, spazi pubblici abbandonati e restituiti a nuova vita insieme con quelle rovine nelle metropoli e nelle piccole e grandi città del “bel Paese” rigenerate da collettività che già affermavano una nuova idea di cittadinanza sociale.

sabato 9 dicembre 2017

LIEVE, LA FELICITA', POTENTE

Milano, gli anni della grande speranza. (Attilio Mina, 1970)
Il diritto di esistenza va reso effettivo, il reddito di base, la libertà di parola e espressione, la libertà dal bisogno e dalla paura, l’amore verso di sé, degli altri e per la futura umanità.

Lieve, la felicità, potente.

*** Roberto Ciccarelli, Forza Lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi, 25 gennaio 2018

giovedì 7 dicembre 2017

IL LAVORO NON E' LA FONTE DI OGNI RICCHEZZA

INDIGNADOS, foto Reuters



L’antagonista del capitale non è il lavoro, ma la forza lavoro. La differenza è spiegata dalla polemica contro il partito socialdemocratico tedesco nel 1875. Alla prima riga del suo programma sosteneva che “il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni cultura”:

“Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza - rispondeva Marx - La natura è la fonte dei valori d’uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il valore che, a sua volta, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza lavoro umana. Quella frase si trova in tutti i sillabari, e in tanto è giusta, in quanto è sottinteso che il lavoro si esplica con i mezzi che si convengono. Ma un programma socialista non può permettere a tali espressioni borghesi di sottacere le condizioni che sole danno loro un senso. I borghesi hanno buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale”.

*** Roberto Ciccarelli, Forza Lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi, in libreria il 25 gennaio 2018.

martedì 22 novembre 2016

NAPOLI, UNA CITTA' ANCHE PER LAVORATORI AUTONOMI, FREELANCE, PRECARI

Peppe Allegri

La Coalizione 27 Febbraio – C27F composta da associazioni e movimenti che si occupano di lavoro autonomo, intermittente, precario e sottopagato – incontra il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e l'assessore al diritto alla città, alle politiche urbane, al paesaggio e ai beni comuni Carmine Piscopo. L'incontro si terrà giovedì 24 novembre, ore 18, a Napoli, presso l'ex Asilo Filangieri, in vico Giuseppe Maffei 4.

Le Carte del quinto stato

L'occasione è la presentazione della Carta dei diritti e dei principi del lavoro autonomo e indipendente, un testo scritto collettivamente dai molti soggetti della C27F che unisce le lotte per garantire dignità e diritti a figure del lavoro eterogenee: liberi professionisti, lavoratori autonomi iscritti alle Casse di previdenza degli Ordini o alla Gestione Separata INPS, parasubordinati, precari-e e intermittenti, soprattutto della retribuzione, ricercatori sempre più flessibili e temporanei, studenti al lavoro con i voucher, partite IVA con sempre meno commesse e fatture, etc.

Tutte e tutti accomunati dall’essere sostanzialmente privi di diritti sociali e previdenziali, spesso oggetto di iniquità fiscali, sempre più ricattati dal lavoro povero, con scarsa retribuzione, poche certezze nei pagamenti e praticamente nessun accesso ai servizi di Welfare. È il quinto stato, come lo abbiamo più volte raccontato e descritto in questi anni.

lunedì 14 novembre 2016

TWITTER E' IN CRISI, COMPRIAMOLO NOI!


Roberto Ciccarelli

Twitter chiude anche la sede italiana a Milano. A spasso sedici dipendenti compreso il country manager Salvatore Ippolito. Continua la campagna #WeAreTwitter: il social network può essere comprato dai suoi stessi utenti. Un'idea suggestiva, forse rischiosa, forse irrealizzabile, che potrebbe trasformarsi nel più incredibile esperimento di proprietà collettiva del XXI secolo. Pubblicato su PrismoMag


Twitter potrebbe dare un nuovo taglio al personale, e a Wall Street non lo vuole comprare nessuno. Lo scrittore e studioso Nathan Schneider ha allora avuto un’idea: noi siamo Twitter e come utenti possiamo comprarlo. Costruiamo la cooperativa di piattaforma digitale più grande al mondo. Certo, la proposta #WeAreTwitter potrebbe essere uno spottone per rilanciare le sorti, non rosee, dell’azienda co-fondata e diretta oggi da Jack Dorsey. Ma potrebbe anche essere l’esperimento più incredibile di proprietà collettiva del XXI secolo.

Comprare Twitter è un affare?
Aderirò a questo esperimento, quando partirà. Ma voglio fare un buon investimento, anche con pochi euro/dollari. E per questo ho studiato le carte economiche dell’azienda. Twitter, si diceva, ha dato una sforbiciata all’8 per cento della forza lavoro, 300 persone circa. Diciassette hanno perso il lavoro in Italia dov'è stata chiusa la filiale milanese. Altrettante ne sono state licenziate quando Dorsey ha ricominciato a fare l’amministratore delegato l’anno scorso. La compagnia ha nel frattempo assunto i banchieri di Goldman Sachs e Allen & Co per valutare l’opzione della vendita, ma le aziende che avevano espresso un interessamento all’acquisto – Salesforce, Walt Disney o Alphabet – si sono ritirate. Twitter ha perso il 40 per cento del suo valore nell’ultimo anno. Le perdite hanno reso più difficile pagare i suoi ingegneri con le stock option. Un problema per un’azienda della Silicon Valley, fondata sul pagamento in base al rendimento dell’innovazione su un mercato ipercompetitivo con i giganti Google o Facebook.

sabato 24 settembre 2016

CHOOSY, VIZIATELLI, NARCISISTI: GENITORI CREATIVI NEL #FERTILITYDAY


Roberto Ciccarelli

Le due campagne del Ministero della salute sul fertily day hanno rivelato l'orientamento della biopolitica di stato: la donna è considerata la "proprietaria di un corpo-sepolcro vuoto, improduttivo, non messo a valore, l’essere in debito con la società per non riuscire a contribuire all’esistenza di nuova forza lavoro per il mercato. Il governo ritiene che si tratti di un "errore di comunicazione", mentre è chiaro che si tratta di un problema politico: il  "mancato rispetto delle donne e stigmatizzazione nei confronti di chi non può avere o non vuole avere figli". La campagna: "Genitori giovani per essere creativi". Oggi in Italia nonsifanno figli perché i possibili genitori sarebbero impegnati a essere "creativi". Pubblicato su OperaViva 


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"Genitori giovani per essere creativi". Nella sua banalità imbarazzante uno degli slogan della campagna sul Fertility Day accredita la mentalità della classe creativa, soggetto pseudo-sociologico inventato da Richard Florida nel 2002 e obiettivo dell’operazione del ministero della Salute: oggi in Italia non si fanno figli perché i possibili genitori sono impegnati a essere "creativi".

“Classe creativa”

Il ministero, e i suoi “creativi”, alludono al profilo di un lavoratore elastico, sempre disponibile alle richieste dei suoi committenti, un soggetto che vive per lavorare e affermarsi nella carriera professionale intesa come un’attività creativa, appagante, auto-centrata. La «classe creativa» non include solo manager cosmopoliti, artisti, freelance o professionisti dell’immateriale, appartenenti a un ceto medio ricco e poliglotta nelle industrie dell’high tech o dell’intrattenimento. È un modello morale: per molti anni è stato usato per reinterpretare la condizione della precarietà. La precarietà è un’opportunità, va intesa come flessibilità, una condizione anche estetica, performativa. Mai intenderla come una questione giuridica o, peggio, sindacale. Che noia, che barba, che noia.

Lo slogan ha preso molto sul serio una delle fandonie che nutre la rappresentazione del lavoro indipendente, tra start up e auto-impresa: il creativo sa usare la precarietà, esistenziale e professionale, in maniera imprenditoriale, appartiene a uno strato culturale vasto che contiene diverse posizioni sociali economicamente disomogenee, in una società integrata senza classi. Salvo poi scoprire che tale «creatività» oggi è solo un’altra faccia dell’auto-sfruttamento, del lavoro gratuito o sottopagato, oltre che dell’alienazione del lavoro autonomo contemporaneo.


giovedì 25 febbraio 2016

MDLSX SILVIA CALDERONI/MOTUS: COSA PUO' UN CORPO

Il Console

«Secondo me, le emozioni non possono essere descritte da singole parole».
Così Calliope/Cal protagonista di Middlesex, di Jeffrey Eugenides.

E si rimane letteralmente emozionati e senza parole dinanzi alla splendente visione di MDLSX, fino al 27 febbraio al prezioso Angelo Mai di Roma (Via Terme di Caracalla 55), con Silvia Calderoni, regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, drammaturgia Daniela Nicolò e la stessa Silvia Calderoni: una produzione dell'instancabile collettivo teatrale Motus che da oltre vent'anni esalta gli appassionati di teatro di tutte le età. Senza sbagliare mai un colpo.

Divenire permanente
E allora solo poche battute, per non perdere l'occasione di andare all'Angelo Mai nelle prossime serate. Ed immergerci completamente in emozioni, passioni, illuminazioni. Difficili anche da raccontare. Perché bisogna essere lì, vedere e rivedere MDLSX. C'è chi, oltre un secolo fa, assistette a venti repliche della Carmen di Bizet, nella sua personale, folle e irriducibile ricerca dell'oltre-uomo. E a noi piacerebbe assistere altrettante volte, magari con i nostri figli, genitori, sorelle e scolaresche, alla performance al contempo dolce, poetica, furiosa, lirica, ironica e intimista di Silvia Calderoni, anima, corpo, testa, cuore pulsante di questo diario intimo in pubblico che è MDLSX.

giovedì 11 febbraio 2016

UN FREELANCE MODELLO OLIVETTI



Roberto Ciccarelli

«Il vento di Adriano» di Revelli, Bonomi e Magnaghi, per DeriveApprodi. I co-workers e l’imprenditore visionario: secondo gli autori del libro, sono loro oggi gli attori della costituzione civile fondata sull’auto-governo. Un'altra idea di "società di mezzo" nel nome dell'industriale visionario

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Adriano Olivetti ha creato la via per il fordismo dolce, scrive Marco Revelli in un libro curioso e sperimentale con Aldo Bonomi e Alberto Magnaghi Il vento di Adriano (DeriveApprodi) dedicato all’«attualità inattuale» dell’industriale visionario.

Imprenditore di successo, lontano dal capitalismo della Fiat che incarnava il modello hard del fordismo: militaresco, onnivoro, imperialistico, Olivetti ha promosso l’idea di un’impresa che vive in osmosi con il territorio grazie a un patto politico e civile. Queste caratteristiche lo rendono oggi il testimone di una sensibilità che gli autori del libro proiettano sulle figure del lavoro autonomo (i freelance); dell’«economia della condivisione» (i makers o i coworkers); sui costruttori di comunità sociali e ecosistemi civili; sulle lotte per i beni comuni o per la rigenerazione urbana e territoriale; sui giovani precari che ritornano nelle aree interne abbandonate dove avviano esperienze di «welfare di comunità».