mercoledì 11 novembre 2015

COWORKING: CHE IMPRESA (COLLETTIVA)!


Giuseppe Allegri

Tre anni fa, il 24 e 25 novembre 2012, in un incontro al Teatro Valle Occupato di Roma su Co.Co.Work parlavamo coworking come spazi del lavoro vivo e ci domandavamo:

È forse possibile parlare di Coworking di nuova generazione come impresa rivoluzionaria degli ateliers del lavoro vivo? Per riappropriarsi dei processi di produzione, condivisione e trasmissione dei saperi, delle conoscenze e del fare impresa: l’auto-organizzazione sociale e la sua forza creativa, di nuove forme del vivere associato e del produrre ricchezze, oltre lo statalismo burocratizzato, parassitario e corrotto e l’individualismo proprietario e corporativo, fondato su inscalfibili rendite di posizione.

Era un ragionare condiviso con molti che teneva dentro l'urgenza di immaginare un nuovo modo di fare impresa territoriale, di ripensamento dei distretti produttivi del lavoro culturale e dell'economia della conoscenza, dentro la necessità di ridurre i costi individuali e collettivi, per ottenere reddito e innescare processi di nuovo mutualismo tra pari, cooperazione sociale e produzione di ricchezze, prospettando nuove forme di economia sociale, solidale e collaborativa.

Tre anni dopo quel riflettere in comune le sperimentazioni dei Coworking e FabLab cosa sono diventati? Forme associative e imprenditoriali del lavoro indipendente? Germinazioni continue di Start-up intese come piccole e medie imprese innovative? Nuova cooperazione sociale? Invenzione collettiva di un'economia della condivisione con grande valore simbolico e limitata capacità di redistribuzione delle ricchezze? Spazi attraversati da una moltitudine di imprenditori di se stessi?


Questioni aperte. Probabilmente tutti con un fondo di verità che sottende forse un'altra domanda inevasa. In questi spazi del lavoro vivo è possibile tenere insieme l'innovazione con l'inclusione sociale? Un interrogativo che poneva questa estate anche Aldo Bonomi in un intervento che è ora raccolto nell'appendice di un libretto che abbiamo recentemente scritto e ora in uscita per DeriveApprodi, Libertà e lavoro dopo il Jobs Act.

Partendo dalla consapevolezza che il quinto stato «ha provato sulla sua pelle l'innovazione del lavoro e la vita agra ad alto capitale simbolico e scarso potere d'acquisto spero sappia dare senso e significato all'inclusione sociale».

È forse questo lo sfondo comune nel quale si muovono le forme ibride delle nuove economie collaborative: ripensare in modo inedito l'impresa e i lavori come prodotti dell'innovazione e campi di inclusione sociale territoriale per i soggetti plurimi del quinto stato; per chi vive nei territori dove sorgono Coworking e FabLab; per chi si mette in rete con quelle sperimentazioni e per le politiche pubbliche che devono accompagnare questi processi di invenzione di nuove istituzioni sociali e produttive.

Sono possibili ecosistemi solidali che ridisegnano gli spazi urbani come le aree vaste rurali, con l'innovazione tecnologica al servizio di una nuova idea di società e di economia.

A partire dalle domande di inclusione dei nuovi soggetti di questa intrapresa collettiva che chiamiamo Coworking.

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