Il Console
Berlino 1989-1990. Mille lingue da confondere, una sola condivisa voglia di stare dentro la rivoluzione europea che ci sembrava inevitabile nel dopo-1989; senza nostalgie, forse con troppa faciloneria tardo-punk e un'improvvisazione assai caotica.
GAME OVER: PRESS START. Questo troviamo scritto sul sito del fu Tacheles. Due anni fa, dopo ventidue di occupazione, il più grande centro sociale artistico mai inventato è stato sgomberato definitivamente: è la fine dei giochi e l'inizio di una diaspora, che non sappiamo dove porterà quello spirito di indomabile sperimentazione e creazione quotidiana.
In realtà, già da diversi mesi non si poteva più accedere agli oltre 20mila metri quadri di questo incredibile palazzo di inizio Novecento, dove erano rimasti solo alcuni degli oltre 80 artisti residenti.
Erano i primi mesi del 1990, poco dopo la caduta del Muro, quando un gruppo di giovanissimi artisti, visionari, indipendenti e provocatori occupò questo immenso palazzo oramai fatiscente a OranienburgerStraße, a Mitte, nel cuore di Berlino Est.
Per molti di noi, provinciali anarcoidi, persi nei trip dell'underground musicale e ancora infervorati dall'attivismo con la Pantera, i mesi passati a Berlino nell'estate del '90 sono stati la nostra formazione esistenziale. Mille lingue da confondere, una sola condivisa voglia di stare dentro la rivoluzione europea che ci sembrava inevitabile nel dopo-1989; senza nostalgie, forse con troppa faciloneria tardo-punk e un'improvvisazione assai caotica.
Eravamo pur sempre quelli rimasti piacevolmente interdetti dalla visione naïf de "I ragazzi di Torino sognano Tokyo e vanno a Berlino”, formidabile film di Renzo Badolisani, del quale ricordiamo il contesto musicale new-wave, una certa autoironia, i capelli sfumati ai lati, gli occhiali da sole e un'insopprimibile voglia inventarsi la vita e andare via:
E le nottate passate nei sottoscala, seminterrati e stanzone di palazzoni di Berlino Est in quell'estate del '90, incrociando scultori di carta straccia, pittrici scintillanti, manipolatori di suoni, chitarriste in distorsione perenne, cantanti melanconiche e rabbiose ci diedero la sensazione che la nostra vita poteva essere quella.
A Tacheles, per oltre vent'anni, una comunità aperta di centinaia di artisti ha reso possibile l'utopia concreta di un'artistica esistenza collettiva: indipendenza, autorganizzazione, invenzione e condivisione di buona vita.
Negli anni tornare lì, passeggiare nel cortile affollato di sogni fatti realtà, salire e scendere le scale tra mille graffiti, attraversare atelier, mischiare sonorità, visioni, colori, anche se in una sempre maggiore standardizzazione, ci trasmetteva la sensazione che ancora qualcosa, insieme, si potesse fare.
Negli anni tornare lì, passeggiare nel cortile affollato di sogni fatti realtà, salire e scendere le scale tra mille graffiti, attraversare atelier, mischiare sonorità, visioni, colori, anche se in una sempre maggiore standardizzazione, ci trasmetteva la sensazione che ancora qualcosa, insieme, si potesse fare.
Berlino, in vent'anni, è cambiata molto. Abbiamo sempre più amici fraterni che vanno a vivere lì. Molti che sono tornati, invece. E la stessa amministrazione comunale di Berlino, nel 1998, aveva venduto il palazzo di Tacheles al Fundus Grouppe, che non ha rinnovato la locazione decennale agli occupanti. Il 4 settembre 2012, alle ore 8 di mattina è arriva la forza pubblica a sgomberare tutti.
La rendita fondiaria saccheggia l'invenzione collettiva, con il beneplacito dell'amministrazione pubblica: è il capitalismo, bellezza, attaccato alla terra, anche nel XXI secolo!
La diaspora è iniziata da tempo.
Avremo un posto in meno dove andare.
Avremo un posto in meno dove andare.
Molti altri spazi sono stati presi e aperti dall'intelligenza collettiva, a Berlino, come a Palermo, Catania, Napoli, Venezia, Roma. Alcuni hanno chiuso, altri se ne inventeranno.
Noi, per fortuna, miriamo in alto, al cielo, anche se troppe forze ci vogliono sempre più in basso.
Reloading...
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