mercoledì 17 gennaio 2018

LAVORETTI




Pur evocato come un miracolo, una dannazione, una redenzione, oggi il “lavoro” non indica un referente chiaro.

Anche chi dice - imbrogliando - che i gig workers non lavorano, ma giocano - fanno, appunto, un lavoretto - nei fatti riconosce l’esistenza di un lavoro.

Nell’espressione onnipresente gig economy il concetto di work - lavoro - non c’è.

Esiste un suo quasi sinonimo – in inglese gig significa lavoretto, ingaggio, prestazione e spettacolo - estraneo alla semantica che deriva da labor, ponos, e i moderni work, arbeit o travail.

La contraddizione è insuperabile nella lingua latina.

La plurisignificazione inglese allude al campo del lavoro, della retribuzione, del contratto, ma lo sposta verso la prestazione soggettiva, un'attività che si fa gioco, divertimento, hobby.

Se il lavoro è un hobby, allora non è un lavoro, si dice.

Anche se è un hobby, e non lo è, la sua attività produce un valore, produce relazioni, è il presupposto per creare servizi e beni, noi rispondiamo.


La forza lavoro è sempre all'opera in quanto è una facoltà che produce una merce e il suo valore, ma non è una merce e non è né dello Stato, né del mercato.

È di coloro che possiedono la forza lavoro, e la vendono per necessità, ma possono affermare un diritto all’esistenza, sia nel tempo produttivo sia in quello improduttivo.

Lo strumento di remunerazione di questa attività è il reddito di base. Questa prospettiva non esclude, evidentemente, la remunerazione di una prestazione nel rapporto di lavoro regolata da un contratto di lavoro.

***Roberto Ciccarelli. Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale (DeriveApprodi). Dal 25 gennaio in libreria. Prenotabile e acquistabile su http://www.deriveapprodi.org/2018/01/forza-lavoro/

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