mercoledì 9 gennaio 2013

UNA REPUBBLICA FONDATA SUL RICATTO DEI MCJOB



641mila giovani senza un posto, è il record assoluto tra i 15 e i 24enni Per l'Istat uno su tre non lavora, ma nessuno parla di reddito minimo. Questa è la cronaca di un'ordinaria disinformazione a partire dai dati mensili dell'Istat sulla disoccupazione giovanile. Un piccolo, grande, classico nell'Italia sepolta dal gelo dell'austerità, e del precariato che sconfina nell'inoccupazione. 

Alle dieci di ieri mattina gli uffici dell'Istituto nazionale di statistica comunicano i dati sull'occupazione a novembre 2012. Il numero dei disoccupati, pari a 2 milioni 870 mila, registra un lieve calo (-2 mila) rispetto a ottobre. La diminuzione della disoccupazione riguarda la sola componente femminile. Bene, finalmente una notizia positiva, anche perchè l'occupazione femminile tra i 15 e i 29 anni è sceso al minimo astorico tra aprile e giugno dell'anno scorso: meno di una donna su due (il 16,9%) lavora in Italia. Segno negativo sul tasso d'occupazione maschile che a novembre è sceso al 66,3%, il livello più basso dal quarto trimestre del 1992. Tra il 2007 e il 2012 gli uomini al lavoro sono diminuiti di 746.000 unità. 



L'Istat conferma che il tasso di disoccupazione si attesta all'11,1%, invariato rispetto a ottobre. Più che una notizia, quella comunicata è una certezza: la produzione di nuovi posti di lavoro è ferma al palo da almeno un anno, lo conferma il numero di ore di cassa integrazione bruciate nel frattempo: per l'Inps nel 2012 sono 1.090,6 milioni di ore, contro i 973,2 milioni del 2011 (+12,1%). 

E veniamo alla questione delle questioni che nell'ultimo anno di governo Monti ha appassionato tutti, a partire dal Presidente della Repubblica Napolitano che ha invitato i giovani a «indignarsi» nel discorso di Capodanno. Il bollettino mensile dell'Istat sostiene tra i 15 e i 24 anni i ragazzi in cerca di lavoro sono 641 mila e rappresentano il 10,6% della popolazione in questa fascia d'età. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 37,1%, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto al mese precedente e di cinque punti nel confronto tendenziale. 

In una manciata di minuti questo dato ha scatenato l'allarme generale. I cacciambombardieri di destra e sinistra hanno spiccato il volo, celebrando così il rito quotidiano della campagna elettorale. Sul banco degli imputati è finito, non senza ragioni, il governo Monti. Le prime e ultime file del centrodestra hanno aperto il fuoco. Dall'ex ministro del Lavoro Sacconi a Deborah Bergamini, nota per i suoi interessi sulle politiche del lavoro, fino al neo-fondatore di «Fratelli d'Italia» Larussa, tutti hanno bombardato il quartier generale filo-tedesco di Palazzo Chigi.

Da quando ha deciso di non sostenere la «strana maggioranza» del governo Monti, il centro-destra guarda il dito, ma non la luna: la responsabilità della disoccupazione di massa è di Monti, troppo filo-Merkel, non delle politiche del lavoro dall'approvazione del «pacchetto Treu» nel 1997 all'ultima stagione berlusconiana. La soluzione proposta da Sacconi resta la stessa, estremista e cieca nel furore ideologico anti-sindacale e anti-precario: l'articolo 8? va bene e bisogna proteggerlo contro il referendum indetto dalla Fiom e dalla sinistra. Anzi, bisogna sciogliere i lacci e i lacciuoli che impediscono alle imprese di assumere i giovani «competenti», smantellare lo Statuto dei lavoratori riducendolo a «un semplice Statuto dei lavori». 

Anche il neo-arancione Di Pietro picchia duro. Qualche ragione l'ex magistrato ce l'ha, visto che era all'opposizione di Berlusconi ed è rimasto della stessa idea con Monti: «Monti è un bugiardo o un'incapace, la disoccupazione cresce, il lavoro no». Spinto dalla marea dei social media, delle agenzie e dei siti dei maggiori quotidiani, Di Pietro interpreta il sentimento popolare: è il 37,1% di tutti i giovani tra i 15 e i 24 anni a essere disoccupato. Una tesi inverosimile al punto da spingere l'Istat ad una precisazione nel pomeriggio: «non è corretto affermare che più di un giovane su tre è disoccupato, bensì più di 1 giovane su 10 è disoccupato, oppure più di uno su tre dei giovani attivi è disoccupato». 

Si scopre così che gli adolescenti disoccupati sono «solo» il 10,6% dei 641 mila attivi tra i 15 e i 24 anni censiti dall'Istat. La vera «disoccupazione» inizia dopo e dura a lungo, forse tutta la vita, ma di questo nessuno si preoccupa. Si passa così dalla catastrofe di una massa di 173 mila giovani disperati a 64 mila. Anche perché si presume che fino ai 19 anni i ragazzi vadano a scuola e infatti le statistiche li considerano «inattivi». La Cgil va al sodo: «Le politiche del rigore hanno fallito e i giovani vedono un sostanziale blocco del mercato del lavoro». Cesare Damiano del Pd sostiene che l'«agenda Bersani» rilancerà la politica industriale e l'«equità sociale». Ad avere esulcerato gli animi elettorali è stata la riforma Fornero, da tutti considerata responsabile della disoccupazione giovanile. Non è propriamente così, visto che la sua completa applicazione è fortunatamente ancora lontana, anche se s'intravvedono all'orizzonte tristi presagi. 

Ciò che più conta, oggi, è la mentalità con la quale le classi dominanti continuano a rapportarsi all'oceano del Quinto Stato (giovani e meno giovani), soprattutto della nuova realtà del lavoro indipendente. Il ministro del Welfare, che rivendica la schiettezza nelle sue uscite pubbliche, sostiene che il suo giudizio sui ragazzi italiani non è stato compreso. Erano "choosy", schizzinosi, e oggi devono cambiare atteggiamento. Sostiene di non essere stata compresa. Ma poi rincara la dose a proposito del luogo simbolo del Mcjob: McDonald's, appunto:


"Mi piacciono tutti gli imprenditori che cercano fattivamente di creare posti di lavoro. Tutti preferiscono un lavoro a tempo indeterminato ma le circostanze sono difficili ed è difficile che gli imprenditori, in una situazione di grande incertezza, assumano con questa forma. Anche un lavoro a tempo determinato è meglio dell'assenza di lavoro".


Al di là delle polemiche elettorali, questa è la mentalità con la quale ci si avvicina ad una realtà che ormai non può più essere considerata un'"eccezione" rispetto alla norma, bensì la regola in una vita che riserva solo poche eccezioni. In un'intervista a Radio Capital, Fornero non ha potuto nascondere la crescita della disoccupazione giovanile dal 9,4% all'11,1% avvenuto durante il suo governo. Presa tra due fuochi, e senza la contraerea di un governo che lavora per le elezioni di febbraio, Fornero ha negato il suo «fallimento», rovesciato l'accusa su Berlusconi e Sacconi, negato di avere definito «choosy» i ragazzi italiani e, infine, ha ribadito l'utilità della sua riforma dell'apprendistato ispirata, inutile dirlo, al Vangelo tedesco secondo Hertz (autore di una contestatissima riforma voluta dall'Agenda 2010 di Schroeder, non certo uno di «destra»). 

Così non sarà, visto che dal 2009 al 2011 (dati Isfol) l'apprendistato è crollato del 17%. Ma questo le forze politiche non lo dicono, forse perchè sono convinte davvero che l'apprendistato, con un pizzico di equità, sconfiggerà la precarietà di massa. Falsità, travisamenti ad arte, tutto per non dire ai «giovani» 15-34enni che non gli verranno riconosciute le tutele universali e il reddito. L'Italia è una repubblica costruita sul ricatto di un McJob qualsiasi.

Roberto Ciccarelli

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