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sabato 22 giugno 2019

IL "REDDITO DI CITTADINANZA" DEI CINQUE STELLE E' "DI SINISTRA"? UNA DISASTROSA AMBIGUITA'





Roberto Ciccarelli

Mentre ero alla Fiera di Roma, per raccontare il concorsone per i "navigator", è rimbalzata sui media ancora una volta l'idea che il "reddito di cittadinanza" voluto dai cinque stelle, e adottato dal governo con la Lega, sia una "cosa di sinistra". Avrete sentito in Tv affermazioni del tipo: "Questo governo ha fatto cose buone, come il reddito, e cose cattive", probabilmente tutte le altre. Affermazioni che pretendono di identificare le cose "buone" nella "sinistra". Purtroppo non è così semplice, sia perché la sinistra non è necessariamente "buona", sia perché la stessa definizione di "sinistra" produce oggi disastrose ambiguità, proprio come lo sono i Cinque Stelle. Mi sono allora chiesto da dove nasca la convinzione per cui un workfare - che non è un "reddito di cittadinanza" - sia "di sinistra" e il motivo per cui, nonostante il fuoco di sbarramento dei dominanti, questa idea sia stata accreditata. E' una storia interessante, spiega molte cose nel discorso politico oggi. Ed è scandalosa. 

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domenica 3 dicembre 2017

ELVIO FACHINELLI: IL DESIDERIO E' DISSIDENTE


Elvio Fachinelli, uno dei più grandi psicoanalisti italiani, nel febbraio del 1968 scriveva su Quaderni Piacentini un articolo rivelatorio: Il desiderio dissidente. Un testo fondativo, da leggere oggi come un antidoto al decimo anno di crisi, dove a "sinistra" si fondano "partiti del Lavoro" e a destra torna l'Imprenditore Eterno. Nel mezzo: populismi e sovranismi, alternati o sovrapposti. Di base: l'alternativa, non escludente, tra l'essere imprenditori di se stessi o l'essere "popolo".

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"Ciò che conta non è la meta, non è la proposta in sé, più o meno "reale": il gruppo impara sempre meglio che essenziale per la sua sopravvivenza non è l'oggetto del desiderio, ma lo stato di desiderio. E perché questo permanga bisogna perdere l'illusione di un'incarnazione definitiva del desiderio: il desiderio appagato è morto come desiderio, e alla sua morte da seguito la morte del gruppo. Infatti, il modo meglio codificato di appagare il desiderio del gruppo è quello di incarnarlo nella figura del leader. Qui non importa se si tratti di una persona o di un valore. Nel momento in cui il leader tende a esaurire in sé il desiderio collettivo, il gruppo cambia carattere. Da gruppo di desiderio, esso tende a farsi gruppo di bisogno. E questo richiama allora all'interno del gruppo tutti i problemi che la sua costituzione intende risolvere. A una società che offre la soddisfazione del bisogno, il gruppo oppone un perenne NON BASTA. Diventa così una cerniera di passaggio, trasforma quelli che entrano a farne parte e li restituisce all'esterno come germi vitalmente pericolosi. Il desiderio è sempre dissidente"

domenica 21 dicembre 2014

PODEMOS: UNIRE LA SINISTRA? NON CE NE IMPORTA NIENTE

>>> Podemos: Unire la sinistra? Non ce ne importa niente, su Alfabeta Due <<<

Roberto Ciccarelli


“Riunire la sinistra? Non me ne importa niente” ha detto Pablo Iglesias, il leader carismatico di Podemos a Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena in un libro su quello che oggi è il primo partito spagnolo: Podemos. La sinistra spagnola oltre la sinistra (Alegre).

“Sinistra” è una parola impresentabile in società. Per gli spagnoli indica la vergogna della corruzione del Psoe; per i francesi significa l’ignobile social-liberismo dei socialisti di Hollande: per gli italiani l’opportunismo cinico, infantile e autoritario del partito democratico di Renzi. Per tutti la sinistra è il sinonimo del disgusto per chi si sente di sinistra.


Per capire la spettacolare ascesa di Podemos dalle europee di maggio a oggi (avrebbe il 27% dei consensi in Spagna, come Syriza in Grecia) chi in Italia si definisce “di sinistra” - ma lo stesso vale per chi si riconosce nei “movimenti” - dovrebbe fare uno sforzo apparentemente proibitivo.

“Sinistra” non è il risultato della somma di identità o reti, incarichi o cadreghe, individualità egoiste e concorrenti, ma è un processo di auto-trasformazione delle identità così come del campo politico in cui esse si riconoscono. Il movimento è complicato, e si chiama immanenza. In questo movimento tra l’essere contro e dentro uno spazio di “sinistra”, c’è la politica oggi.

>>> Podemos: Unire la sinistra? Non ce ne importa niente, su Alfabeta Due <<<

martedì 23 settembre 2014

CLASSI POPOLARI: LA "SINISTRA" PREPARA LA VITTORIA DI MARINE LE PEN

Giuseppe Allegri

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Il grande dibattito scatenato in Francia dal libro di Christophe Guilluy, La France périphérique. Comment on a sacrifié les classes populaires, un cowboy solitario percorre le lande desolate della sinistra che porterà al potere la destra reazionaria e sovranista del Front National.

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Classes populaires. Le livre qui accuse la gaucheQuesto il titolo a tutta pagina di Libération del 17 settembre (qui il resto del dibattito).

Mentre così apostrofa il celebre settimanale Marianne della stessa settimana: Le vere fratture francesi: un'opera esplosiva che spiega l'avanzata di Marine Le Pen”. Aggiungendo che c'è un solo libro che devono leggere Hollande, ma anche Valls, Mélenchon, Bayrou, Juppé, Sarkozy. Cioè tutta la classe dirigente repubblicana francese, dai socialisti moderati e al governo (Valls e Hollande) a quelli pseudo-radicali (Mélenchon), fino alla destra gollista ancora in apnea dopo la sconfitta presidenziale (Juppé e Sarkozy).

Qui l'intero dibattito del settimanale Marianne.

martedì 22 luglio 2014

COSA HO IMPARATO ANDANDO ALLE ASSEMBLEE DELLA "SINISTRA"

Roberto Ciccarelli

Giochino in 13 punti, da leggere dall'alto verso il basso, o viceversa, per tornare alla casella di partenza

0) La politica si fa convocando riunioni e assemblee dove si parla di ciò che si deve fare, non di come fare le cose

1) Organizzare assemblee  in cui si parla TANTO e le parole non corrispondono mai ad un'azione, ma alludono a un futuro, svuotato, remoto, depresso, intangibile e senza slanci

2) Nessuno deve parlare veramente e quello che si dice bisogna che nessuno se lo ricordi, anche perché ripete sempre le stesse cose nel linguaggio della mancanza e della rimozione.

3) Chi parla di solito ribadisce la legge del dovere: SI DEVE ma non si può fare; Noi FAREMMO SE, ma non lo possiamo fare. Si allude alla possibilità di esistere, anche se non si esiste. E' la legge sulla quale è costruito il nostro paese: ci sono dei diritti, ma non si possono avere; c'è molta ricchezza, ma non la puoi avere; si può lavorare, ma non ora. Si può sognare, ma meglio farlo dopo. E così via. Un paese conservatore che conserva il suo stesso ricordo.

lunedì 27 gennaio 2014

RIVOLUZIONE, NON SINISTRA





La sinistra dice: le rivoluzioni falliscono sempre. Noi diciamo: ciò non impedisce il divenire rivoluzionario.

1. L’avvenire della sinistra non è il nostro avvenire. Così come quello del Pd, di Vendola, di Matteo Renzi, di Berlusconi, di Tsipras o di Grillo non è il nostro. C’è una confusione che fa soffrire, tra chi parla dell’avvenire di riforme o di rivoluzioni, come fa la politica, e il divenire di ciascuno. Non sono mai stati la stessa cosa e tuttavia – ieri e come oggi – la politica si fonda sulla confusione tra questi piani. Da un lato, c’è chi sempre parla di un futuro generico che riguarda tutti. Dall’altro lato, c’è sempre chi cerca in questo racconto di trovare uno spazio per sé. Mai che si parli di un divenire a partire da sé, si parla solo di quale spazio trovare all’interno di una casa già arredata. Il singolo deve trovare la forma per adattarsi ai concetti esistenti.

2. La sinistra è un concetto che rimanda ad un’idea di futuro e di giustizia sociale per tutti. Questa è tuttavia solo l’origine del concetto. Poi c’è la realtà storica. Quando oggi si parla di sinistra, si parla di una storia di fallimenti. Chi tiene a questa idea, “sinistra”, rileva il punto di vista dello storico malinconico: tutte le rivoluzioni sono destinate a fallire. Quella americana, francese, sovietica, e poi i movimenti. C’è un aspetto autoconsolatorio nel parlare di “sinistra”, nell’appartenere a questo campo dello spirito, nemmeno più elettorale: tutte le rivoluzioni sono destinate a fallire. Sinistra è la strada che mostra il cinismo dell’“uomo” del Dopo storia. Lì dove finiscono le potenzialità del presente, ecco nascere un discorso sulla sinistra che evoca un “mondo nuovo”, una discontinuità, un’alternativa oltre la gabbia del presente.

Roberto Ciccarelli

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1. L’avvenire della sinistra non è il nostro avvenire. Così come quello del Pd, di Vendola, di Matteo Renzi, di Berlusconi, di Tsipras o di Grillo non è il nostro. C’è una confusione che fa soffrire, tra chi parla dell’avvenire di riforme o di rivoluzioni, come fa la politica, e il divenire di ciascuno. Non sono mai stati la stessa cosa e tuttavia – ieri e come oggi – la politica si fonda sulla confusione tra questi piani. Da un lato, c’è chi sempre parla di un futuro generico che riguarda tutti. Dall’altro lato, c’è sempre chi cerca in questo racconto di trovare uno spazio per sé. Mai che si parli di un divenire a partire da sé, si parla solo di quale spazio trovare all’interno di una casa già arredata. Il singolo deve trovare la forma per adattarsi ai concetti esistenti.
2. La sinistra è un concetto che rimanda ad un’idea di futuro e di giustizia sociale per tutti. Questa è tuttavia solo l’origine del concetto. Poi c’è la realtà storica. Quando oggi si parla di sinistra, si parla di una storia di fallimenti. Chi tiene a questa idea, “sinistra”, rileva il punto di vista dello storico malinconico: tutte le rivoluzioni sono destinate a fallire. Quella americana, francese, sovietica, e poi i movimenti. C’è un aspetto autoconsolatorio nel parlare di “sinistra”, nell’appartenere a questo campo dello spirito, nemmeno più elettorale: tutte le rivoluzioni sono destinate a fallire. Sinistra è la strada che mostra il cinismo dell’“uomo” del Dopo storia. Lì dove finiscono le potenzialità del presente, ecco nascere un discorso sulla sinistra che evoca un “mondo nuovo”, una discontinuità, un’alternativa oltre la gabbia del presente.
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L’avvenire della sinistra non è il nostro avvenire. Così come quello del Pd, di Vendola, di Matteo Renzi, di Berlusconi, di Tsipras o di Grillo non è il nostro. C’è una confusione che fa soffrire, tra chi parla dell’avvenire di riforme o di rivoluzioni, come fa la politica, e il divenire di ciascuno. Non sono mai stati la stessa cosa e tuttavia – ieri e come oggi – la politica si fonda sulla confusione tra questi piani. Da un lato, c’è chi sempre parla di un futuro generico che riguarda tutti. Dall’altro lato, c’è sempre chi cerca in questo racconto di trovare uno spazio per sé. Mai che si parli di un divenire a partire da sé, si parla solo di quale spazio trovare all’interno di una casa già arredata. Il singolo deve trovare la forma per adattarsi ai concetti esistenti.
2. La sinistra è un concetto che rimanda ad un’idea di futuro e di giustizia sociale per tutti. Questa è tuttavia solo l’origine del concetto. Poi c’è la realtà storica. Quando oggi si parla di sinistra, si parla di una storia di fallimenti. Chi tiene a questa idea, “sinistra”, rileva il punto di vista dello storico malinconico: tutte le rivoluzioni sono destinate a fallire. Quella americana, francese, sovietica, e poi i movimenti. C’è un aspetto autoconsolatorio nel parlare di “sinistra”, nell’appartenere a questo campo dello spirito, nemmeno più elettorale: tutte le rivoluzioni sono destinate a fallire. Sinistra è la strada che mostra il cinismo dell’“uomo” del Dopo storia. Lì dove finiscono le potenzialità del presente, ecco nascere un discorso sulla sinistra che evoca un “mondo nuovo”, una discontinuità, un’alternativa oltre la gabbia del presente.
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domenica 29 dicembre 2013

FIOM-PD, LA STRANA COPPIA

Giuseppe Allegri

Ad una prima lettura appare strano il rapporto tra Matteo Renzi e Maurizio Landini: un continuo rincorrersi tra dichiarazioni a mezzo stampa, sul vuoto di slogan poco concreti. «Contratto unico a tempo indeterminato per tutti» proclama il neo-segretario del Pd.

«Penso che Renzi voglia aprire una fase nuova», ribatte il segretario della Fiom-Cgil. Nella realtà abbiamo milioni di disoccupati e un terzo della popolazione a rischio povertà ed esclusione sociale. Con il lavoro che diviene incubo e ossessione: per chi ce l’ha, in cambio di una miseria di stipendio, spesso pagato dopo mesi. Per chi non ce l’ha e non vede prospettive di possibile miglioramento per sé e per la propria famiglia.

lunedì 7 ottobre 2013

IL QUINTO STATO OLTRE I BASTIONI DELLA SINISTRA (E DELLA CRISI)

Roberto Esposito 

Se il primo problema che affligge la sinistra italiana, impedendole di vincere i confronti elettorali anche nelle circostanze più favorevoli, è la mancanza di coraggio, il secondo è una forte carenza culturale. L’incapacità di abbandonare vecchie categorie interpretative, di rinnovare il proprio linguaggio concettuale, di cogliere le mutazioni sociali che connotano il nostro tempo. 

Una di queste è sicuramente l’emergenza di quello che Giuseppe Allegri e Roberto Ciccarelli denominano Il quinto statoin un libro omonimo appena edito da Ponte alle Grazie. In verità non si tratta di un termine nuovo. Già usato negli anni Sessanta come titolo di un volume da Wolfgang Kraus, nel 1970 lo scrittore Ferdinando Camon aveva così intitolato un romanzo, comparso con la prefazione di Pasolini.

mercoledì 6 marzo 2013

A QUESTA NOSTRA, MALEDETTA GENERAZIONE: LA SINISTRA ITALIAN THEORY


Giuseppe Allegri

Premetto che sono di parte. Il libro di Dario Gentili, Italian Theory. Dall'operaismo alla biopolitica (Il Mulino, 2012, pp. 246, € 20) è “il” libro che avrei voluto leggere durante la mia prima “formazione”, sotto i banchi nella aule decrepite del mio ginnasio di provincia, in alcune, infinite ore di ozio e immobilismo al quale ci assoggettavano, per fortuna rari e rare, professori e professoresse persi nella loro immobile nevrastenia da compromesso storico.

Perciò, per me, il libro di Gentili è probabilmente il più godibile e formidabile repertorio di libri ed autori del pensiero filosofico-politico italiano di questo ultimo trentennio-quarantennio. Lo confesso: è il libro che avrei voluto scrivere, ad avere una qualche capacità!

Si parte dal “ritorno a Marx”, contro Hegel e tutte le dialettiche totalitarie, dell'eretico Galvano Della Volpe, emarginato a Messina dal PCI del Migliore togliattismo e dei suoi fedelissimi eredi. Si passa quindi al primo e secondo “operaismo”: il soggetto antagonista nel Mario Tronti del seminale Operai e capitale (1966) e il Marx oltre Marx di Antonio Negri, dopo esser passato per la critica luddista dello “Stato dei partiti” (1964: quando la Prima Repubblica era ai suoi, compromissori, albori) e per il celebre Frammento sulle macchine dei Grundrisse marxiani. Quindi Massimo Cacciari e il pensiero negativo, con Pier Aldo Rovatti e Gianni Vattimo che insieme aprono sulla crisi dei marxismi e ci conducono al “pensiero debole”. Giacomo Marramao che tenta la deleuziana “sintesi disgiuntiva” dell'universalismo della differenza, soprattutto la centralità del pensiero della differenza sessuale, dallo Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi, in poi. Per chiudere con Roberto Esposito e Giorgio Agamben sospesi tra biopotere e biopolitica, oltre l'impolitico.

giovedì 28 febbraio 2013

LA SINISTRA E' MORTA, SOLO UN GRILLO LA POTRA' SALVARE?

L’affermazione del Movimento 5 Stelle annuncia la scomparsa della sinistra in Italia. Non di quella “radicale”, già spazzata via dalla rivolta del 2008, quando all’incirca 2 milioni di persone si rifiutarono di votarla, azzoppando per sempre l’ala sinistra, un miscuglio di ingraismo, comunismo terzinternazionalista, nostalgici del PCI, sindacalismo di base: quella che non ha voluto aderire alla “cosa” degli Occhetto-D’Alema-Veltroni-Bersani.

E’ stato colpito duramente il blocco sociale maggioritario dell’ex partito comunista, e la sua rappresentanza politica, quella trascolorata nelle varie sigle. Nel prossimo biennio la parte residuale del “comunismo” all’italiana – tosco-emiliano – cioè il blocco della moderazione politica che gestisce l’economia delle banche e delle cooperative e le istituzioni di tre regioni, o poco più, non solo dimezzerà i suoi voti, ma rischia di perdere il diritto a rappresentare come partito quella parte residuale della società sindacalizzata, garantita, ridotta a poco più della rappresentanza di un’élite.

mercoledì 27 febbraio 2013

MARCO ROVELLI: "LA SINISTRA CLASSICA E' TRAPASSATA, OCCORRE UN DIALOGO CON IL MOVIMENTO 5 STELLE"


Marco Rovelli, scrittore, è stato uno dei promotori di «Cambiare si può», l'appello alla costruzione di una sinistra autonoma, basata su pratiche reticolari e dal basso, che è stata soppiantata dalla pratica leaderistica e verticistica che ha portato alla formazione della lista Ingroia. «Avrebbe dato un segnale forte, ovvero che la sinistra aveva compreso il salto epocale che stiamo vivendo. Ma i dirigenti della sinistra classica non sono all'altezza di questo trapasso. E infatti loro sono trapassati».

Credi che la vittoria di Grillo imponga un ripensamento della sinistra?
Questa esigenza c'era indipendentemente da Grillo. E credo che anche il movimento5stelle si trasformerà nel prossimo futuro.

domenica 17 febbraio 2013

QUALE, MALEDETTA, SINISTRA?


Intorno a Essere di sinistra oggi. Guida politica al tempo presente, di Alex Foti, il Saggiatore, 2013, pp. 130, € 14.


È sempre divertente ed entusiasmante leggere Alex Foti, “bocconiano no global”, come si autodefinisce, ma, soprattutto, irregolare ed eretico attivista dei nuovi movimenti sociali nel passaggio di secolo e millennio: da Seattle, a Genova; dalla MayDay di San Precario alla MilanoX dopo quella “da bere”, fino all'Anarchy in EU contro la Grande Recessione e la triste austerity, “un cane che si morde la coda”! C'è una “S” di “sinistra” che sembra una scheda elettorale, in copertina, con quattro ali alzate, come se fossero ipotesi di aeroplanini di carta; e queste quattro, piccole ali hanno i colori della sinistra, oggi, per Alex Foti: black, red, green, pink.

Il black libertario, da V for Vendetta, indignados e Occupy, della rivolta di strada al tempo della Grande Recessione, come ci insegna Machiavelli, da oltre cinquecento anni: “li buoni esempi nascono dalla buona educazione, la buona educazione dalle buone leggi, e le buone leggi da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano”.

sabato 10 novembre 2012

SOLO UN COMICO CI SALVERA' DAL MONTI-BIS?


C'è un'ampia letteratura che si interroga da tempo sul progressivo slittamento dalla (più o meno reale) porosità dei meccanismi di governance al ritorno verso le rigidità del comando sovrano, come osserva con l'arguzia che lo contraddistingue Marco Bascetta su il manifesto del 27 ottobre. Infatti uno degli effetti prodotti dall'incancrenirsi delle condizioni di crisi della zona-euro è l'immediato e apparentemente inesorabile de profundis suonato per le forme di governance multilivello praticate nell'ultimo trentennio nel vecchio Continente. Eppure le classi dirigenti statali e continentali sono rimaste le stesse, gelose dei propri egoismi nazionali, disinteressate dal portare a compimento l'integrazione politica europea, rinchiuse nelle secche di politiche monetariste e di un funzionalismo che non fa funzionare nessuna dinamica di trasformazione sociale ed economica. Così l'algida tecnocrazia di una parte delle élites europee diviene l'unico verbo politico pronunciabile, istituendo quel «governo tecnico», “che altro non è se non il governo pienamente politico delle oligarchie” (sempre per riprendere Bascetta), in grado di utilizzare tutte le gradazioni possibili degli strumenti di amministrazione e governo; dall'applicazione postuma della celebre “lettera” della BCE dell'estate 2011, al decreto-legge sulla spending review, il “montismo” sembra la personificazione del compromesso storico nell'epoca della finanziarizzazione delle forme di governo.

giovedì 24 novembre 2011

Requiem per l'encefalogramma piatto di sinistra

Giuseppe Allegri

Applaude il bonapartismo tardomoderno 
della Bce e del finanzcapitalismo. 
Difende il  commissariamento bancario 
fondato sull'unità nazionale interclassista. 
Applaude Saviano a Zuccotti Park. 
Si prepara a scomparire per altri vent'anni. 


Possibile che nella sinistra sociale, politica, sindacale e culturale non si riesca a ragionare lucidamente di quale sia la reale uscita dal ventennio berlusconiano? Siamo vittime di un immenso macigno psichico che ci impone di ingoiare tutti i rospi possibili, senza neanche più limitarci a baciarli: la necessità di salvare il Paese assorbe tutto e tutti. Eppure qualche domanda ad alta voce conviene provare a farsela, per evitare di restare afoni per un altro ventennio.   

Con Ida Dominijanni (il manifesto del 19 movembre) condividiamo il dato di fatto incontrovertibile che siamo dinanzi a un governo deciso da Napolitano nello stato di eccezione decretato dal capitalismo finanziario delle speculazioni bancarie, del monetarismo BCE e del suicida duopolio europeo Merkozy. Con più calma ragioneremo delle possibili ricostruzioni: poteri straordinari del Presidente della Repubblica, inteso come “reggitore dello Stato nelle fasi di crisi”? Tendenza decisionista schmittiana post-costituzionale? Applicazione alla lettera dello spirito della Costituzione? Semipresidenzialismo occulto? Nomina presidenziale di una “dittatura commissaria”? 

Per ora aggiungiamo solo che questo è un “governo costituente” del Presidente. Non solo formalmente costituente nel senso della modifica materiale del testo costituzionale, come sarà per l’art. 81 Cost., ma soprattutto “costituente dall’alto”, in nome della salvezza del Paese e delle riforme strutturali che ci permetteranno di rimanere in un’Unione europea vittima del debito sovrano e dello spread. (E forse la cosa più inaccettabile è vedere come questi banchieri e professori senza scrupoli si possano fare beffe dell’indubbio europeismo post-nazionale del Presidente Napolitano. Se i movimenti sociali italiani ed europei avessero un po’ di lucidità in più, quello sarebbe lo spazio di contraddizione da riempire: Europa come possibilità dell’autorganizzazione regionale contro il finanz-capitalismo).

E invece sembra di essere dinanzi a un bonapartismo tardo-moderno: un commissariamento bancario fondato sull’unità nazionale interclassista, che neutralizza il conflitto sociale, dinanzi all’austera sobrietà dei banchieri di professione. La tecnocrazia elitaria globale chiamata a salvare la Patria dall’unico uomo politico in grado di mantenere vivo un legame con la nobile storia dei padri costituenti repubblicani. Il cortocircuito è completo: si mima una fuoriuscita dal berlusconismo del godimento senza padre, per approdare al paternalistico e serioso rigore dei sacrifici, che solo sinistra partitica e sindacale possono imporre. Così nessuno si meraviglia che la diaspora parlamentare berlusconiana sia stata guidata da ex-ministri degli Interni berlusconiani di matrice democristiana – Scajola e Pisanu – fedeli nei secoli all’immobilismo opportunistico delle nostre classi dirigenti. 

Siamo di botto precipitati dai pirotecnici fallimenti della seconda Repubblica, al grigiore in bianco e nero di una prima Repubblica fuori tempo massimo. Non meraviglia che Walter Veltroni accosti il nome di Susanna Camusso a quello di Luciano Lama (In mezz’ora, su Rai3). Mentre Ugo Magri ci svela come il nostro Presidente, nelle chiacchiere private, evochi «quelle riunioni di 33 anni fa, quando si preparava il governo di unità nazionale e per discutere il programma ci vedevamo io per il Pci, Ferrari Aggradi per la DC, mentre per i socialisti si presentava a Palazzo Chigi Signorile accompagnato da Cicchitto» (La Stampa, 21/11/2011).

Ai più agée sembra di rivedere un film montato male: dallo “Stato dei partiti”, del monopartitismo/bipartitismo imperfetto della I Repubblica, si attraversa il sedicente “bipolarismo” parassitario, di una seconda Repubblica abortita, per giungere al definitivo monopartitismo monopolista, “dei Letta e di sotto-governo”, come verrebbe normale definirlo.

C’è dietro un’antica coazione a ripetere della sinistra istituzionale: quella dell’essere più realisti del re, responsabili, credibili, fautori di sacrifici, perbenisti, rigorosi nell’austerità – cioè obbedienti alla moderazione, falsamente primi della classe, conservatori nell’animo – pur di dimostrare a se stessi di essere capaci di governare, quando la subordinazione ai poteri è totale.

Eppure quelle forze sociali del 99% sono disposte a urlare che proprio nelle fasi di crisi del capitalismo è massimamente urgente imporre nuove politiche pubbliche, estendere i diritti e le garanzie, rimettere in discussione i modelli di sviluppo, immaginare una nuova idea di società. Queste singolarità cooperanti che “occupano tutto” si stanno organizzando per fare da sole: sperimentare coalizioni sociali per creare le loro istituzioni, imporre una radicale redistribuzione del reddito, riappropriarsi di una degna e felice vita in comune, essere costituenti dentro la trasformazione.

Sembra assurdo che quel che rimane della sinistra italica si infervori per Saviano a Zuccotti Park e non riesca minimamente a comprendere quello che da mesi fanno gli occupanti del Teatro Valle di Roma, a pochi passi da un Senato frequentato da una sinistra a elettroencefalogramma piatto. Così quel 99% può entusiasticamente riprendere il vecchio slogan “noi saremo tutto”, mentre la nostra sinistra rischia di essere nulla e scomparire per altri vent’anni. 

il manifesto, 24 novembre 2011.