"Dopo il bene comune, non dimenticare il male comune - ci scrive l'autore di Razza Partigiana (sito e reading) - la condizione lavorativa attuale (ché, a chiamarlo lavoro, uno pensa a contributi, tfr, pensione, ferie pagate, etc etc). Attuale, e non generazionale, perché coinvolge tutti: dal migrante al giovane, dal’intellettuale precario al piccolo imprenditore, dall’operaio all’insegnante". "Che dire? Come la disputa fra Leibniz e Newton sul calcolo differenziale e' sempre bello quando si pensano le stesse cose. Vorrei scrivere ancora sul Giorgione, e' proprio il Pittore a Partita Iva per antonomasia".
1. White riot
Nati sotto il segno della Pantera, morti a Piazza Alimonda il 20 luglio 2001 ci troviamo oggi a vedere i nostri fratelli minori impiegati in un white (?) riot senza precedenti. Gli eventi del 14 dicembre sono stati solo la classica punta d’iceberg di un malessere sacrosanto; anzi, visto la prevalenza delle metafore climatiche, una tempesta largamente prevista. E nell’occhio del ciclone sono finiti quanti, per anni, hanno detto essere finito il conflitto.
2. La Tempesta
La prevalenza delle metafore climatiche nasce dal fatto che il cambio climatico è oramai nell’agire politico. Il termine stesso “clima” è, inoltre, legato al concetto di “clinamen” della fisica atomica di Epicureo/Lucrezio e, alla base della scienza del clima, vi è la dialettica cambiamento/persistenza tanto utile politicamente.
C’è un proverbio, in uso fra gli scienziati del clima, per cui “il tempo di oggi è come quello di ieri”. Tale proverbio prende il nome di “legge del meteorologo pigro”. Nasce, dalla banale osservazione, che, in sé, la persistenza accade con maggiore frequenza. Come in politica, è più facile una politica conservatrice rispetto a una innovatrice: sia essa riformista o, a maggior ragione, rivoluzionaria. La tempesta è, dunque, tema che investe, metaforicamente e no, tutti: da Shakespeare all’Angelus novus di Benjamin, all’osservatore odierno così attento ad evitare mari perigliosi.
Su La Tempesta di Giorgione si è detto tutto e il contrario di tutto. Per quello potremmo dire che lì è la prefigurazione dell’Umanità Precaria. C’è il pastorello (quello dell’Asia Minore di leopardiana memoria) che guarda la madre e il bambino; c’è la nube che incombe sull’urbe e sul mondo.
Il pastorello, alias il precario, guarda la famiglia con apprensione: sempre in bilico fra la famiglia d’origine (senza la quale, spesso, non si vive: il walfare familiar-mafioso) e quella che sta formando. Il pastorello, da buon nomade, sa che ogni posto è buono o cattivo, che occorre, a sera, portare il pane a casa. Casa? Spesso in affitto o data dalla famiglia d’origine o chissà ai bordi della città, sotto un albero, dove i tram non vanno avanti più.
3. Il Precario
Un precario è un precario: così tanto precario da non poterne più di essere definito tale. E poi tanti film da sentire, tanti libri da ascoltare, tanti dischi da vedere che non sa più che farne del vocabolo: tutti dicono “precario” e tutti pensano “sfigato”.
Eppure i precari mandano avanti il mondo.
In Italia, cifre alla mano, mandano avanti, almeno, l’INPS. Il glorioso Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale voluto, come ricorda wikipedia (un precario usa wikipedia, of course), dal Cavalier Benito. Perfino Facebook, perfino il Corriere della Sera se ne sono accorti: i “precari” rappresentano il tesoro dell’INPS tramite la famigerata “Gestione Separata”.
La Rivoluzione Russa è fuori moda, quella Cinese l’hanno amata solo i sessantottini, quella Francese è troppo illuminista.
Lasciateci, dunque, quella americana: urliamo anche noi “No taxation without representation”.
Non abbiamo rappresentanza né a livello sindacale, né partitico. Da loro (sindacato e partito) abbiamo solo squallido pietismo. La rappresentazione mediatica poi è sempre quella del povero sfigato del call center (uno per tutti il Lucio2 in Tutta la vita davanti), ma anche quella è penoso moralismo e pessima morale.
Urliamo “No taxation without representation” per dire che mandiamo avanti il mondo, che siamo indispensabili, che, senza di noi, il fantomatico Sistema si inceppa. Lui, il Sistema, ha bisogno di noi. Se capiamo questo, stiamo a metà dell’opera.
L’altro pezzo è organizzarci per “non pagare le tasse” e abbandonare la madre terra inglese al suo destino.
E se proprio l’INPS non è il mondo, è la pensione di tutti. In un paese per vecchi, come l’Italia, noi siamo la fortuna di tutti: belli e brutti e sessantottini. Tali loschi figuri hanno abbandonato l’eskimo, ma non, certo, la lauta pensione che gli paghiamo…E se oggi pontificano sulla nostra pelle noi dobbiamo gridargli che, senza di noi, non c’è manco la loro pensione.
Facile, no?
Il sessantotto - per carità! - ha molto da insegnarci. Non certo il conflitto generazionale: sulle barricate avremmo i nostri nonni e i nostri figli. Convinti, come siamo, che la lotta per il Bene Comune è un ottimo punto di ri-partenza per definire la sinistra, ma che non bisogna dimenticare la lotta contro il Male Comune: la condizione lavorativa attuale (ché, a chiamarlo lavoro, uno pensa a contributi, tfr, pensione, ferie pagate, etc etc). Attuale, e non generazionale, perché coinvolge tutti: dal migrante al giovane, dal’intellettuale precario al piccolo imprenditore, dall’operaio all’insegnante. E i pastorelli si sono visti, il 14 dicembre, a piazza del Popolo.
Il giorno prima le gazzette riportavano...
PARIGI - A ottobre la disoccupazione in Italia è salita all’8,6%, con un aumento dello 0,3% rispetto a settembre e dello 0,4% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Lo annuncia l’Ocse, che registra lo stesso tasso medio di disoccupati (8,6%, +0,1% su settembre). Ma la situazione è difficile in tutti i Paesi dell’area Ocse dove il livello di disoccupazione resta vicino ai massimi del dopoguerra, con 45,7 milioni di senza lavoro, con un calo di 800 mila unità rispetto all’ottobre 2009, ma con un aumento di 15,5 milioni rispetto allo stesso mese del 2007. I primi dati di novembre, inoltre, evidenziano un aumento dello 0,2% di disoccupati negli Usa (9,8%) mentre in Canada si registra un calo dello 0,3% (7,6%). Situazione stabile in Germania (6,7%) mentre i tassi più alti si registrano ancora in Spagna (20.7%), Slovacchia (14.7%) e Irlanda (14.1%).
Era mercoledì, 15 dicembre 2010
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