Il
Console
È
una magistrale prova di teatro nel teatro
quella di Franco Branciaroli alle prese uno degli ultimi (1984-85)
testi teatrali dell'antico maestro
Thomas Bernhard. Una visione imperdibile, ancora per pochi giorni,fino al 23 febbraio, in un Teatro Quirino insolitamente semi-deserto.
Almeno quando siamo capitati noi: venerdì scorso, 14 febbraio. A
mala pena mezza platea. Perché la “Grande Depressione” ha forse
falcidiato quel ceto medio che poteva concedersi un abbonamento
teatrale. O perché il teatro è definitivamente cambiato, perdendo
il suo pubblico, qui a Roma. E lo stesso Teatro Quirino è da tempo
anche accogliente bar, ristorante, biblioteca e discoteca aperta
dalla mattina alla sera, nella storica sede a un passo da Fontana di
Trevi. E ora dietro l'ennesimo McDondald's in centro.
“Perché il teatro è una galera. E io mi sono consegnato all'ergastolo!”
Come proclama Il Teatrante
Bruscon (Franco Branciaroli), quasi al termine di uno dei migliori
testi teatrali di Thomas Bernhard. E ne abbiamo visti parecchi, anche
di ottimi (forse su tutti un Claus Peymann
di Carlo Cecchi, anni fa).
Qui
non si smette mai di sogghignare, ridere sguaiatamente, sghignazzare,
sorridere amaramente: dal principio alla fine, delle proprie miserie!
Anche se la platea è colpevolmente scarna e un po' intimidita.
Perché Bruscon è il capo di una compagnia teatrale familiare, in
tournèe nell'odiata
(mai abbastanza, da Thomas Bernhard), ottusa provincia austriaca. Con
una moglie incapace (Melania Giglio, perfetta) alle prese con una
recitazione fatta solo di colpi di tosse e sbadigli. Due figli (la
“stonata” Valentina Violo e il durissimo di comprendonio
Tommaso Cardarelli) che sono
“l'anti-talento”, appreso dalla loro madre. “Si sente che non
avete letto Spinoza”! L'oste (un Daniele Griggio a metà tra Renato
Carpentieri e Carlo Monni) che li osserva quasi incredulo e al
contempo del tutto distaccato.
Quindi
il capocomico Bruscon, logorroico autore di un'improbabile opera
teatrale dal titolo La ruota della storia.
Dove Giulio Cesare incontra Napoleone, Churchill si fa caricare sulle
spalle da Stalin. E l'autore si paragona a Shakespeare, Voltaire,
Goethe e Schopenauer. E poi un affetto particolare per il sangue
italiano che gli scorre nelle vene. E il Pirandello citato, come un
gioco di specchi di ulteriore teatro nel teatro.
In
mezzo un'invettiva permanente che non risparmia nessuno: a partire da
se stessi. È il Bernhard più scintillante, al solito ripetitivo e
cadenzato. Imbevuto di
odio contro la grettezza della provincia austriaca, culla di chiese
ottuse e nazismi, di piccole esistenze inutili. Un disprezzo assoluto
nei confronti della massa provinciale. Scorgendo la folla che si
avvicinerebbe alla locanda per la visione dello spettacolo, Bruscon
sogghigna: “strana gente deforme. Degli storpi interessantissimi”.
Soprattutto un odio sconfinato contro le istituzioni più
conservatrici: “ci preserviamo dall'orrore dei teatri di Stato”!
E poi una lenta, inesorabile discesa nell'impossibilità della
ricerca della perfezione. “Se saremo pessimi allievi, allora saremo
eccellenti maestri”. L'ossessione della perfezione, votata al
fallimento più totale. Non c'è salvezza. Se non nell'avere la
massima cura di preparare uno spettacolo che sin dall'inizio si sa di
non portare a compimento. E fare questo con i propri cari,
detestabilissimi e odiati, eppure amorevolmente.
E Franco Branciaroli sfoggia tutto il suo talento. Certo quello
“sopra le righe” e “imitatore” del suo celebre (e a volte
troppo criticato) Don Chichotte/Sancho Panza, Vittorio
Gassman/Carmelo Bene. Ma soprattutto una recitazione che siamo sicuri
sarebbe piaciuta a Thomas Bernhard in persona. Sarcasmo, melanconia,
nichilismo, rabbia. Grottesco pessimismo e amara ironia. Un abisso di
ingiurie. Poesia della fine, senza che ci sia stato neanche un
inizio. “Non c'è che da prendercela con noi stessi”.
Per
non incolparci ulteriormente, torneremo a vederlo di nuovo. Il
Teatrante odioso e amorevole di
Bernhard e Branciaroli. Ancora al Teatro Quirino, ma solo per pochi
giorni. La fine è già iniziata. La si intuisce da quei vuoti in
platea.
“Lo
avevo presagito”.
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