martedì 18 febbraio 2014

BERNHARD TEATRANTE: "PERCHE' IL TEATRO E' UNA GALERA"



Il Console


È una magistrale prova di teatro nel teatro quella di Franco Branciaroli alle prese uno degli ultimi (1984-85) testi teatrali dell'antico maestro Thomas Bernhard. Una visione imperdibile, ancora per pochi giorni,fino al 23 febbraio, in un Teatro Quirino insolitamente semi-deserto. Almeno quando siamo capitati noi: venerdì scorso, 14 febbraio. A mala pena mezza platea. Perché la “Grande Depressione” ha forse falcidiato quel ceto medio che poteva concedersi un abbonamento teatrale. O perché il teatro è definitivamente cambiato, perdendo il suo pubblico, qui a Roma. E lo stesso Teatro Quirino è da tempo anche accogliente bar, ristorante, biblioteca e discoteca aperta dalla mattina alla sera, nella storica sede a un passo da Fontana di Trevi. E ora dietro l'ennesimo McDondald's in centro.


“Perché il teatro è una galera. E io mi sono consegnato all'ergastolo!” 

Come proclama Il Teatrante Bruscon (Franco Branciaroli), quasi al termine di uno dei migliori testi teatrali di Thomas Bernhard. E ne abbiamo visti parecchi, anche di ottimi (forse su tutti un Claus Peymann di Carlo Cecchi, anni fa).

Qui non si smette mai di sogghignare, ridere sguaiatamente, sghignazzare, sorridere amaramente: dal principio alla fine, delle proprie miserie! Anche se la platea è colpevolmente scarna e un po' intimidita. Perché Bruscon è il capo di una compagnia teatrale familiare, in tournèe nell'odiata (mai abbastanza, da Thomas Bernhard), ottusa provincia austriaca. Con una moglie incapace (Melania Giglio, perfetta) alle prese con una recitazione fatta solo di colpi di tosse e sbadigli. Due figli (la “stonata” Valentina Violo e il durissimo di comprendonio Tommaso Cardarelli) che sono “l'anti-talento”, appreso dalla loro madre. “Si sente che non avete letto Spinoza”! L'oste (un Daniele Griggio a metà tra Renato Carpentieri e Carlo Monni) che li osserva quasi incredulo e al contempo del tutto distaccato.

Quindi il capocomico Bruscon, logorroico autore di un'improbabile opera teatrale dal titolo La ruota della storia. Dove Giulio Cesare incontra Napoleone, Churchill si fa caricare sulle spalle da Stalin. E l'autore si paragona a Shakespeare, Voltaire, Goethe e Schopenauer. E poi un affetto particolare per il sangue italiano che gli scorre nelle vene. E il Pirandello citato, come un gioco di specchi di ulteriore teatro nel teatro.

In mezzo un'invettiva permanente che non risparmia nessuno: a partire da se stessi. È il Bernhard più scintillante, al solito ripetitivo e cadenzato. Imbevuto di odio contro la grettezza della provincia austriaca, culla di chiese ottuse e nazismi, di piccole esistenze inutili. Un disprezzo assoluto nei confronti della massa provinciale. Scorgendo la folla che si avvicinerebbe alla locanda per la visione dello spettacolo, Bruscon sogghigna: “strana gente deforme. Degli storpi interessantissimi”. Soprattutto un odio sconfinato contro le istituzioni più conservatrici: “ci preserviamo dall'orrore dei teatri di Stato”!

E poi una lenta, inesorabile discesa nell'impossibilità della ricerca della perfezione. “Se saremo pessimi allievi, allora saremo eccellenti maestri”. L'ossessione della perfezione, votata al fallimento più totale. Non c'è salvezza. Se non nell'avere la massima cura di preparare uno spettacolo che sin dall'inizio si sa di non portare a compimento. E fare questo con i propri cari, detestabilissimi e odiati, eppure amorevolmente.

E Franco Branciaroli sfoggia tutto il suo talento. Certo quello “sopra le righe” e “imitatore” del suo celebre (e a volte troppo criticato) Don Chichotte/Sancho Panza, Vittorio Gassman/Carmelo Bene. Ma soprattutto una recitazione che siamo sicuri sarebbe piaciuta a Thomas Bernhard in persona. Sarcasmo, melanconia, nichilismo, rabbia. Grottesco pessimismo e amara ironia. Un abisso di ingiurie. Poesia della fine, senza che ci sia stato neanche un inizio. “Non c'è che da prendercela con noi stessi”.

Per non incolparci ulteriormente, torneremo a vederlo di nuovo. Il Teatrante odioso e amorevole di Bernhard e Branciaroli. Ancora al Teatro Quirino, ma solo per pochi giorni. La fine è già iniziata. La si intuisce da quei vuoti in platea.

“Lo avevo presagito”.


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