Daniela Fregosi ha rotto il silenzio. Sostenuta da Acta, l'associazione dei freelance, questa consulente e formatrice toscana di 46 anni ha iniziato una protesta a nome delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi colpiti da una grave malattia. Un tumore al seno, ad esempio, quello che l'ha colpita l'anno scorso facendo esplodere la vita insieme al suo lavoro. Dopo una lunga ricerca, raccontata sul blog Afrodite K (tumoreseno.blogspot.it), Daniela ha scoperto di avere diritto ad un'indennità di malattia pari a 13 euro netti al giorno, per 61 giorni, 794,46 euro in totale. Poi più nulla, perchè per lo stato non può durare più di 61 giorni.
Un lavoratore dipendente mantiene il suo stipendio e le spese della sua malattia vengono coperte dallo stato. Per un autonomo, invece, il risarcimento è irrisorio, non è prevista alcuna copertura pensionistica. In più dovrebbe versare l'anticipo sui contributi Inps, quelli previsti dalla gestione separata alla quale sono iscritti i freelance.
Daniela ha deciso di fare disobbedienza fiscale. Per sostenerla Acta ha lanciato una campagna di crowdfunding «per un'equa tutela della malattia» sul sito buonacausa.org. In poco meno di una settimana, mille persone hanno aderito versando quasi 1500 euro. L’obiettivo è raggiungere 5 mila euro per coprire le more e le eventuali spese legali. A sostegno di questa lotta per estendere il welfare universale agli autonomi c'è una petizione che ha raggiunto 50 mila firme. Ma all’orizzonte non si muove ancora niente. La politica impegnata tra riforme costituzionali e l’idea del centro-destra di abolire l’articolo 18 nella legge delega sul «Jobs Act».
«Con questa raccolta fondi Acta si sta sostituendo allo stato – afferma Daniela - È come il meccanismo delle società di mutuo soccorso dell'Ottocento, ma certo non dovremmo arrivare a questo. L'aliquota della gestione separata che dobbiamo versare è altissima rispetto al nostro reddito. Arrivare al mutualismo diventa una necessità perché quello che paghiamo è fuori dal mondo».
Il welfare degli autonomi potrebbe essere riformabile a costo zero. Ci vogliono poche mosse, semplicissime: ampliare il periodo di tutela oltre gli attuali 61 giorni; coprire tali periodi con i versamenti di contributi pensionistici figurativi; ridefinire l'indennità su valori sostitutivi del reddito usando come parametro il reddito percepito prima della malattia; equiparare la degenza ospedaliera a quella ospedalizzata quando si è sottoposti ad esempio alla chemioterapia. Infine, sospendere il pagamento delle tasse, o la loro rateizzazione, senza dovere pagare le more, nel caso di una grave malattia che impedisce ad una partita Iva di lavorare.
«Tutto questo non costa nulla- sostiene Daniela – Gli iscritti alla gestione separata, una delle poche gestioni Inps in attivo, versano lo 0,72% per l'indennità di malattia. Acta ha dimostrato che lo tato spende meno della metà di questo fondo. Vuol dire che ci sono già oggi i margini economici per dare più servizi a chi si ammala. Dipende solo dalla volontà politica di farle. Non ci sono scuse».
Questa battaglia non è solitaria, ma può essere molto dura. E Daniela lo sa. Equitalia è molto più di uno spettro. «Mi sono informata - continua - Ho capito che il punto di non ritorno non è quando arrivano le cartelle esattoriali con le more e gli interessi aggiuntivi, il famigerato aggio. Se non paghi da lì sei in pericolo perché ti possono anche pignorare verso terzi. Equitalia può andare dai miei fornitori e impedirgli di pagarmi. O può bloccare il conto corrente senza passare dal giudice».
In attesa di un cambiamento, Daniela conferma il suo «no»: «La mia disobbedienza fiscale è un gesto simbolico e vorrei che fosse uno stimolo per il governo». Il pensiero va alle centinaia di persone che l’hanno contattata sul blog: «Se non c’è Acta, una persona normale che non ha questo coraggio cosa può fare? Se non hanno un lavoro, o un parente, vendono la casa o l’attività per curarsi. Si rovinano per vivere. È orribile, non è giusto».
Roberto Ciccarelli