Come i freelance ricreano il mutualismo in Francia, Olanda, Stati Uniti. E in Italia.
Roberto Ciccarelli
Il 9 dicembre 2014 quattro società cooperative e partecipative (SmartFr, Coopaname, Oxalis, Grands Ensemble) e una società cooperativa di interesse collettivo (Vecteur Activités) si sono associate e hanno creato Bigre!, una società mutualistica di lavoro in Francia. È il primo esperimento transnazionale (tra Francia e Belgio), autogestito su base cooperativa da lavoratori autonomi, composto da una rete che intende garantire uno scambio mutualistico sulla gestione fiscale, protezione sociale, auto-finanziamento e tutela dei diritti dei lavoratori intermittenti o indipendenti.
Nate dai movimenti della cooperazione per l'attività e per l'impiego (Cae), una realtà politico-economica ispirata al socialismo auto-gestionario e critica rispetto alle politiche neoliberiste del lavoro ispirate all' “imprenditore di se stesso” negli anni Novanta del XX secolo, Coopaname, Oxalis, Grands Ensemble, Vecteur Activités si sono unite alla filiale francese di Smart, un gruppo mutualistico fondato in Belgio nel 1998 per tutelare gli interessi degli artisti, dei tecnici e dei lavoratori intermittenti dello spettacolo che oggi conta su 60 mila associati in tutta Europa (una sede esiste anche in Italia, a Milano).
L'obiettivo di Bigre! è realizzare un progetto politico per rifondare la solidarietà interprofessionale e la cooperazione produttiva, respingendo la mercificazione delle aspirazioni a lavorare e a organizzarsi in maniera diversa. Le categorie coinvolte in questa nuova forma della cooperazione e dell'auto-organizzazione del quinto stato sono: giardinieri, informatici, interpreti, giornalisti, prestatori d'opera, freelance, pastori, consulenti, carpentieri, artigiani, tecnici dello spettacolo, specialisti del commercio online, autori, stagionali. In altre parole: lavoratori non salariati, ma indipendenti, intermittenti, con o senza partita Iva (o forme di lavoro analoghe in Francia o in Belgio).
Bigre! e l’emancipazione del lavoro
Lo scopo è inequivocabile: “Bigre! è aperta a chi vuole superare l'alternativa tra il lavoro salariato subordinato e il lavoro indipendente precarizzato”. Questo consorzio intende rispondere alla crisi del lavoro fordista, al desiderio di emanciparsi dal lavoro (precario) senza sottostare all'alternativa imposta sin dalla fine degli anni Settanta: quella di “diventare imprenditori di se stessi”, moltiplicando i dispositivi capitalisti per la creazione di imprese. Citando le testimonianza di alcuni membri di Coopaname, sulla quale hanno condotto i primi studi Antonella Corsani e Marie-Christine Bureau, questa singolare e diffusa realtà dell'auto-organizzazione è “una risposta dell'economia sociale alla disintegrazione del rapporto salariale fordista. Le Cae reinterrogano il modello salariale e quello imprenditoriale. Riabilitano il lavoro nella sua dimensione emancipatrice”.
È interessante anche la storia di Oxalis, un altro snodo della rete Brigre! È stata fondata nel 1986 da una ventina di persone attive nei movimenti della scuola e dell'educazione popolare, una realtà diffusa in Francia, retaggio della cultura socialista del XIX secolo. Questa cooperativa è nata per “vivere e lavorare in modo diverso”. Un progetto diffuso nei movimenti post-68 che in questo caso ha cercato di vedere nella persona non la giustapposizione di tutte le componenti della vita sociale, familiare, professionale, ma “qualcuno che realizza un progetto in tutte queste dimensioni”.
Il lavoro della cooperativa ha cercato di sviluppare una polivalenza tra le attività intellettuali e attività manuali, distribuzione trasversale dei compiti per evitare le gerarchie interne, l'uguaglianza dei salari, ricerca del consenso per decidere in comune. Queste cooperative si sono evolute dall'iniziale percorso di auto-tutela dei progetti individuali ad uno di creazione di impresa condivisa e collettiva. La terza generazione delle Cae, quelle che hanno formato il consorzio Bigre!, mirano alla costituzione di cooperative in quanto mutue di lavoro. Un concetto che resta ancora da definire.
Queste mutue funzionano attraverso gruppi di lavoro. C’è il gruppo dei mestieri, quello degli spazi di coworking, i fablab o gli “hackerspaces”, chi si dedica alla cooperazione sui progetti, o alla consulenza fiscale o previdenziale. All'interno di queste cooperative i confini tra le competenze, i compiti e le professionalità non sono definiti apriori, ma cambiano costantemente in base agli obiettivi o ai progetti a cui si collabora. Ciò permette di aprire questi spazi all'esterno, nel caso in cui il progetto abbia bisogno di competenze che non sono presenti nella cooperativa. I principi di azione e i valori della cooperativa garantiscono “un processo orientato verso la possibilità di un divenire comune” (Corsani). Tale divenire consiste nel garantire un ruolo di formazione tecnica attraverso la “mutualizzazione” dei saperi, cercando di regolare le tariffe per i lavori dei singoli e dei gruppi. Insieme al ritardo dei pagamenti, quello delle tariffe è uno dei problemi del lavoro autonomo.
Alla frontiera tra il lavoro salariato e quello indipendente, questo movimento cooperativo del lavoro autonomo mette in discussione le istituzioni della società salariata e propone una forma contrattuale capace di regolare i rapporti tra i singoli lavoratori autonomi e la cooperativa nella quale lavorano. Già nel 2000 il grande giuslavorista francese Alain Supiot aveva avuto l'intuizione di un contratto da lavoro autonomo. Una fattispecie molto simile viene applicata nel caso francese per regolare il rapporto tra la cooperativa e il singolo lavoratore autonomo.
I gruppi di lavoro, come i singoli, rispettano questo contratto e rappresentano, a livello fiscale, un centro di produzione e, a livello sociale, un'unità di lavoro. Queste intese non hanno una personalità giuridica e i contraenti s’impegnano a rispettare i principi cooperativi e rispondono al consiglio di amministrazione delle cooperative. Per la cooperativa è importante sviluppare le attività interne delle unità di lavoro che nascono dalle relazioni tra i suoi soci. Per le unità di lavoro è importante restare nella cooperativa perché è uno spazio che garantisce i diritti dei singoli rispetto ai datori di lavoro esterni. E permette di realizzare economie comuni e una redistribuzione delle risorse impensabili per un singolo.
La crescita di questa nuova cooperazione in Francia o in Belgio è una risposta politica all'assenza dei sindacati, al loro corporativismo e alla loro incapacità di comprensione delle trasformazioni del lavoro che hanno portato una trasformazione significativa nel lavoro precario e autonomo. Essa è una risposta originale ai discorsi sull'auto-imprenditorialità, sul capitale umano e sulla competizione tra gli individui sul mercato, le tre forme che hanno assunto le politiche del lavoro nella cultura “social-liberista” dominante. L'originalità di questo nuovo mutualismo sta nel combinare una visione sull'imprenditorialità collettiva con quella individuale, cercando di assicurare la durata delle attività e dei redditi insieme all'inserimento economico delle persone in difficoltà lavorativa.
A questo si aggiunge l'aspetto forse più interessante, e innovativo, di queste esperienze: la possibilità di mettere in comune relazioni e competenze per sviluppare attività produttive e sociali su base solidale. “La cooperazione per l'attività e per l'impiego – conclude Antonella Corsani – è un attore della lotta per una nuova protezione sociale. Partendo dalle pratiche di lavoro e di impiego possono inventare modelli adattati alle forme di attività di lavoro irregolari, in termini di tempo e di reddito”.
Quello che keynesiani o liberisti non capiscono
La creazione delle Cae permette la reinvenzione dell'immaginario legato alla condizione di intermittenza e di precarietà. Negli anni della crisi, infatti, la capacità generativa di questi movimenti (gli intermittenti e le cooperative degli “imprenditori collettivi”) ha permesso di rovesciare la negatività in cui vive chi non ha un lavoro salariato. L'esperienza unica delle Cae dimostra che per un freelance l'alternativa non è tra l'essere imprenditore o l'essere disoccupato. C'è un'altra strada: l'auto-organizzazione di un'impresa collettiva su base mutualistica. Questa storia è emersa in un ambiente relativamente protetto: tanto in Belgio, quanto in Francia, gli intermittenti ricevono un'assicurazione contro la disoccupazione.
Questo “regime” è in crisi in Francia e nel 2014 gli intermittenti si sono battuti per un nuovo “statuto del lavoro” contro la riforma prospettata dal governo socialista. Molti hanno interpretato la loro lotta come una difesa corporativa di un “privilegio” corporativo, o dell'“eccezionalità culturale” francese. In un clima di generale allineamento verso il basso, e di guerra di tutti contro tutti, questa è un’ambivalenza che può avere pesato. La mobilitazione degli intermittenti ha avuto la capacità di rivendicare la creazione di un nuovo regime di protezione sociale per i freelance, a partire da coloro che svolgono un'attività nell'economia immateriale. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per tutte le forme non assimilabili al lavoro dipendente subordinato, ai non salariati nelle attività creative, come a quelle esecutive o di servizio che non sono sempre riconducibili alle maglie strette della contrattazione collettiva. Spesso la remunerazione del lavoro indipendente è molto difficile da quantificare secondo le regole del diritto del lavoro.
Questi soggetti praticano una pluri-attività, e ricoprono spesso una molteplicità di ruoli fiscali e previdenziali, che sono molto distanti dalla monocultura professionale del lavoro dipendente, come dalla linearità che ha ispirato lo stato sociale: dalla culla alla tomba sarai tutelato, a condizione di svolgere la stessa attività. A questo bisogna aggiungere che la nuova condizione dell'intermittenza non è mai stata compresa dalla sinistra, come dalla destra; dai keynesiani come dai liberisti. Gli uni credono nel mercato, e quindi la riducono a esclusiva proprietà dell'imprenditore; gli altri, pur ritrovandosi in questa visione, giudicano l’indipendenza come un'irregolarità, una “malattia” del mercato del lavoro, oppure l’equivalente della disoccupazione. Puntano a riportarla sotto l'ombrello del lavoro dipendente. Tuttavia, l'intermittenza non è né l'uno, né l'altra.
L'intermittenza viene vissuta come l'attitudine iper-individualistica, narcisista e competitiva di un soggetto autodefinitosi “creativo”. Il mondo dello spettacolo, e quello del “freelancing”, è un concentrato patologico di questa attitudine rispetto al sé e al mondo. Queste esperienza dimostra l'esistenza di altri principi. L'affermazione del mutualismo e della cooperazione, proprio dell'ambiente dello spettacolo, lo dimostra. Soggetti che scelgono, o che sono costretti all'incertezza e alla discontinuità del reddito e alla precarietà del lavoro, sono capaci di definire istituzioni capaci di valorizzare diversamente la propria esistenza. Tale capacità risponde a un movimento generale presente nel resto d'Europa e negli Stati Uniti. La costituzione delle cooperative di attività e impiego è una delle risposte ai buchi nei sistemi sociali e previdenziali creati dalla crisi fiscale dello Stato sociale e dalla crisi del lavoro salariato.
Joel Dullroy, curatore del libro Independents Unite! Inside the Freelancers’ Rights Movement, ha raccontato la diffusione dell’auto-organizzazione e del nuovo mutualismo tra i freelance in Olanda, ad esempio. Uno dei problemi più gravi a cui gli indipendenti devono rispondere è la malattia. Come in Italia, anche in Olanda i freelance non sono garantiti dal sistema sanitario. Alcuni studi dimostrano che gli autonomi (self-employed) si ammalano più spesso rispetto ai lavoratori tradizionali. Per questa ragione hanno creato “Broodfonds” che serve a sostenersi reciprocamente in caso di malattia. A questo sistema si accede versando una quota associativa che serve a creare un fondo comune mutualistico. Il primo gruppo è nato nel 2006 e fino a oggi ha fatto germogliare 123 piccoli gruppi, pari a 4200 soci. Ogni gruppo comprende tra i 20 e i 50 soci. Si tratta di comunità chiuse che, a parere degli organizzatori, permettono di evitare truffe o azioni da free rider.
I freelance che non possono permettersi una polizza assicurativa per malattia possono aderire a Broodfonds versando un importo fisso al mese (tra 33,75 e 67,50 euro), una quota di adesione una tantum da € 350 e una tassa mensile di 10 euro. Queste somme sono considerate dalla legge fiscale olandese come “donazioni” e quindi non vengono tassate. In caso di malattia, la cassa comune finanzia il socio bisognoso. I premi pagati continuano ad appartenere al socio che può essere rimborsato se annulla la sua partecipazione. L’assistenza del fondo dura fino a due anni. Questa forma di solidarietà ha creato una rete sociale a sostegno dei membri che hanno problemi finanziari.
Il principale problema di questo sistema è legato alla sostenibilità finanziaria nei primi anni di associazione. È un aspetto ricorrente nel nuovo mutualismo, troppo piccolo per reggere economie di scala, troppo costoso per essere universale. Lo si può affrontare moltiplicando i soci, o le associazioni messe in rete, oppure negoziando una riforma del Welfare, allargando le sue garanzie anche al lavoro indipendente. Per realizzare quest’ultima occorre accumulare una forza politica e di negoziazione che, al momento, non sembra essere uno dei punti di forza di questi movimenti allo stato nascente. Per loro, al momento, si prepara una lunga – e incerta – stagione di resistenza in cui cercare di coniugare gli aspetti della tutela e della mutua assistenza con quello della produzione e della co-progettazione.
La Freelancers Union negli Stati Uniti
La povertà del ceto medio, e la proletarizzazione del lavoro autonomo, precario e on-demand, è una realtà consolidata anche negli Stati Uniti. Questa prospettiva convinse l’avvocatessa del lavoro Sarah Horowitz (nipote di Israel Horowitz vice-presidente della International Ladies’ Garment Workers’ Union) a fondare nel 1995 la Freelancers Union (FU). Questa “Union”, in realtà, non è un sindacato, a causa delle ristrettezze imposte dalle leggi americane alla libertà di associazione sul lavoro. La FU è formalmente un’entità privata non-profit che rappresenta gli interessi sindacali e mutualistici degli oltre 200 mila freelance associati, assicurando prestazioni sanitarie su base solidale attraverso una compagnia di assicurazione finanziata dai soci freelance che riceve donazioni liberali anche da fondazioni come la Rockfeller (17 milioni di dollari), oltre che dalla città di New York: la Freelancers Insurance Company.
The Work Revolution: How Freelancers Got a Union
Nel 2012 il fatturato annuo della Freelancers Insurance Company è stato calcolato in 100 milioni di dollari per 25.574 soci. Il dividendo distribuito è stato pari a 1,6 milioni di dollari, usati per ripagare il prestito da 10 milioni di dollari a basso tasso d’interesse o per creare i nuovi servizi della Freelancers Medical Center. La FU guadagna 2 milioni di dollari all’anno dagli altri servizi assicurativi, come assistenza dentistica, alla disabilità, garantiti a tutti i soci. Il nuovo progetto è quello delle cliniche mediche per freelance. La prima è nata a Brooklyn, New York, dove i soci del “sindacato” possono essere visitati e curarsi. Il progetto delle cliniche offre ai soci anche prestazioni di medicina alternativa, lezioni di yoga, consulenze via Skype e telefono. Il Medical Center di New York può arrivare a curare 3 mila persone. L’obiettivo di medio termine è portare questa organizzazione non-profit in tutti gli Stati Uniti.
L’ObamaCare ha permesso di sviluppare un altro ramo dell’attività assistenziale della FU: il governo federale ha riconosciuto un finanziamento da 3,8 milioni di dollari per sviluppare una nuova assicurazione chiamata “Co-Op”, cioè piani operativi e orientati ai consumatori, basati sulle loro esigenze e non sul profitto. I soci della FU sono rappresentati nel board direttivo del programma. Ad oggi le “Co-Op” sono diffuse negli stati di New York, nel New Jersey e nell’Oregon e hanno ricevuto 340 milioni di dollari in prestiti a basso tasso d’interesse. A differenza della Freelancers Insurance Company, le Co-Op sono aperte a tutti, non solo ai freelance. Il legame tra i soggetti sono solo amministrativi, al momento. Horowitz sostiene che questo programma sarà indirizzato a persone con basso reddito.
Nel 2009 la Freelancers Union ha creato un programma pensionistico, il Freelancers Retirement Plan, riservato ai soci. Il programma prevede il versamento mensile di un contributo, commisurato ai redditi variabili e incostanti dei freelance. I singoli possono pagare questo piano previdenziale con il loro reddito lordo e possono rinviare il versamento delle imposte quando andranno in pensione. In The freelancers Bible, il suo ultimo libro pubblicato nel 2013, Horowitz sostiene che questo piano è il primo concepito a misura di freelance. I proventi dalle quote associative, dai programmi assicurativi, medici o previdenziali, dai fondi privati o statali, sono reinvestiti nelle attività della Freelancers Union, a beneficio cioè dei soci. Sono escluse attività speculative.
Queste sono dunque le caratteristiche del nuovo mutualismo: la creazione di una compagnia assicurativa sanitaria gestita in maniera solidale; cliniche per freelance e programmi di assistenza medica per i cittadini a basso reddito. Determinante è anche il principio organizzativo seguito da Freelancers Union: quella di una start up su internet. L’adesione alla mutua è online: su 220 mila soci, quasi 20 mila hanno un profilo sulla piattaforma in rete. La FU incoraggia a usarla per creare servizi, o per entrare in contatto con i soci per scambiarsi servizi: il dentista offre il suo lavoro ad un socio che fa il grafico, quest’ultimo offre il suo lavoro per il sito internet dello studio del dentista, ad esempio. Networking, condivisione di notizie e informazioni (information-sharing), scambio di competenze per posizionare e rafforzare reti professionali o progetti. L’adesione a questa piattaforma è aperta a tutti, non solo ai soci della FU.
Questo aspetto è determinante, non solo per la crescita dei soci alla mutua. Risponde ad un’esigenza fondamentale di diffusione delle informazioni al tempo della cosiddetta sharing economy, in particolare sui contratti, i termini di pagamento, la creazione dei prezzi e la loro condivisione, risoluzione delle dispute con i datori di lavoro, il contatto con gli avvocati. I soci possono votare online le aziende che rispettano questi standard etici fondamentali per chi lavora da freelance. Ad oggi sono quasi 600 le aziende valutate.
Per aderire a questa compagnia i freelance devono al momento risiedere nello stato di New York, lavorare in uno degli otto settori del lavoro immateriale (arti, media, tecnologia o cura dell’infanzia), devono avere guadagnato 10 mila dollari nei precedenti 10 mesi. Criteri, com’è evidente, che sono troppo elevati per la reale capacità contributiva dei precari e dei freelance. Questo ha creato numerose polemiche sulla Freelancers Union ed è in realtà uno dei problemi politici del nuovo mutualismo. La riforma sanitaria - l’ObamaCare – li ha in un certo senso rafforzati visto che il Patient Protection and Affordable Care Act non è riuscito a sostenere le prestazioni sotto una certa soglia di reddito (sopra i 40 mila dollari). In teoria universale, ma in pratica inadeguato per rispondere ai bisogni della moltitudine dei nuovi working poors in tutti i settori – e non solo in quello dell’economia immateriale - l’esperienza della Freelancers Union indica però una prospettiva: quella di una riforma realmente universale del Welfare, in un paese che non ha mai conosciuto lo Stato sociale all’europea. In Europa, può essere utile per ripensare uno Stato sociale in dismissione, allargandone il perimetro a tutte le forme del lavoro, non solo a quelle salariate.
Piuttosto che reinserire la “forza lavoro del futuro”, i freelance, nello Stato sociale concepito a misura del lavoro salariato subordinato, Sarah Horowitz sostiene la necessità di una nuova legislazione che riguardi tutta la forza-lavoro “flessibile”: un nuovo “New Deal”. Tra le riforme federali raccomanda quella sanitaria e quella sulle tutele per i disoccupati. Entrambe non dovrebbero essere ancorate al datore di lavoro, né allo Stato, ma essere “trasportate” dal singolo, man mano che cambia attività e condizione lavorativa. Lo Stato dovrebbe riconoscere la responsabilità dell’individuo, oltre a concepire una politica tesa ad allargare la cultura dei diritti fondamentali. Di solito, la cultura neoliberista punta sull’empowerment delle capacità dell’individuo nel gestire il suo “capitale umano”. Da tale “capitale umano”, l’insieme delle conoscenze, competenze, abilità o emozioni acquisite dall’individuo nella competizione economica, sono alienate le capacità della condivisione o della cooperazione per la costruzione di nuove istituzioni ispirate a finalità comuni e generali.
Questo è il terreno sul quale lavora anche il cosiddetto Coop-Capitalism, un’ipotesi formulata da Noreena Hertz volta a usare le capacità collaborative dei soggetti all’interno di una policy incentrata sull’innovazione sociale e la democratizzazione dei rapporti produttivi nel capitalismo. Questa, tra l’altro, sembra essere la direzione presa dagli enti locali o dalle aziende interessate in Italia – e non solo – al coworking o alle smart cities. In questo percorso non mancano contraddizioni, come abbiamo visto, perché la battaglia della Freelancers Union avviene sul terreno della soggettività neoliberale. Ma la FU rappresenta un caso unico che sperimenta, sul terreno costitutivo del cosiddetto capitalismo on-demand, istanze che contrastano il puro e semplice sfruttamento del tempo di vita della forza-lavoro, specializzata o meno.
Il nuovo mutualismo cresce nel ceto medio, uno spazio sociale molto ampio e indeterminato, estraneo alle culture marxiste del conflitto politico nei luoghi di lavoro. Il suo discorso sull’inclusione nella cittadinanza rappresenta tuttavia una risorsa per ripensare anche questo conflitto dopo almeno 40 anni di desertificazione politica e culturale. Senza contare la sconfitta politica subìta dalle classi operaie negli anni Ottanta e la svolta “manageriale” e consociativa dei sindacati nella gestione della forza-lavoro. Il mutualismo rappresenta oggi un’ipotesi utile per ricostruire i legami sociali in un lavoro che funziona sulle relazioni, ma non ha spazi fisici. E la cooperazione lì dove i rapporti con le aziende sono sempre più verticali e gerarchici, mentre il valore del lavoro è talmente basso da sfiorare lo zero.
L’analisi del sistema creato in vent’anni da Sarah Horowitz e dai suoi collaboratori è inoltre fondamentale per comprendere la natura, e gli scopi, di questo mutualismo. La Freelancers Union non è un’impresa da terzo settore, né un’associazione filantropica finanziata da capitalisti, o il braccio privato assistenziale dello Stato di New York con il quale la FU ha stretto un accordo fondamentale. La FU ha uno statuto ibrido, funzionale alla crescita delle dimensioni di scala fondamentali per rispondere al numero crescente delle prestazioni sanitarie richieste dai soci. Non è nemmeno una compagnia privata assicurativa che gestisce una partnership con il pubblico, dato che mantiene uno statuto mutualistico come le società di mutuo soccorso che conoscono da qualche anno un grande ritorno anche in Italia.
Il contributo al movimento generale dell’auto-organizzazione di Sarah Horowitz non è solo organizzativo. Nei suoi articoli, infatti, questa instancabile attivista, per tre anni è stata membro della Federal Reserve di New York, ha mostrato l'importanza del significato di “lavoro indipendente”. Ciò che ci permette, oggi, di parlare di “quinto stato”: il termine “lavoratore indipendente” viene esteso a chi lavora da autonomo, a termine, a contratto, a giornata, a chiamata o part-time. La riscoperta della storia del mutualismo, alle origini del movimento operaio europeo e americano, apertamente rivendicata anche da Sarah Horowitz, permette infine di elaborare una nuova rappresentazione di questa società sommersa e invisibile, superando i vicoli ciechi tramandati dall’immagine del “precariato”.
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