martedì 8 ottobre 2019

ACQUA IN BOCCA! LO STRANO CASO DI UN LIBRO AUTOREFERENZIALE SUL QUINTO STATO

Giuseppe Allegri

***

Una piccola storia sul grande mondo della cultura in Italia. L'abitudine a non citare è un discutibile costume accademico e di potere editoriale. Trascurabile, anche perché le ricerche continuano e esplorano territori sempre più avanzati. Un problema che non si pone per le consorterie di intellettuali di se stessi, mediatizzati di ogni genere e prime firme assortite. Anche perché, quando si parla del quinto stato, cioè la nostra condizione, sono altre le priorità. Ma noi ci preoccupiamo lo stesso per chi scrive e soprattutto per chi legge libri singolari che possono stancare e alla fine creare un rigetto di problemi che invece sono importanti. A proposito del libro "La società del quinto stato" di Maurizio Ferrera pubblicato da Laterza. [La furia dei cervelli]

***


Nell’estate del 2018 il professore Maurizio Ferrera scrisse su La Lettura (il numero 346) del Corriere della Sera un problematico intervento sul precariato del Quinto Stato.

Quel Quinto stato, inteso anche come una condizione vissuta da milioni di persone di fatto escluse dalla cittadinanza sociale del nostro Bel Paese, che con Roberto Ciccarelli abbiamo indagato agli inizi degli anni Dieci con La furia dei cervelli (2011) e con Il quinto stato (2013), risalendo ad una sua genealogia nei fondamenti della modernità, poiché l’espressione-condizione di Quinto stato si era affacciata nei periodi più turbolenti delle vicissitudini europee, per certi versi già nel Seicento inglese e nel secondo Settecento francese, ma in particolar modo con i movimenti operai e contadini dal 1848 europeo, quindi con la rivendicazione di cittadinanza da parte delle donne nel primo Novecento, fino al quinto stato dei netizen nel mondo digitale del cyberspace.

Ad inizio di quest’anno mi capitò di scrivere una e-mail allo stesso Maurizio Ferrera, poiché avevo letto alcuni suoi interventi sulla questione sociale europea e la possibile, auspicabile, integrazione politica e sociale, e non solo monetaria e bancaria, del vecchio Continente che mi era capitato di citare in diverse occasioni. E così gli dissi che avrei voluto inviargli una copia dei nostri libri. Tenuto anche conto del fatto che era in programmazione il suo libro sul Quinto stato e dai suoi precedenti interventi mi pare ignorasse i nostri, certo assai ignorabili, scritti. Soprattutto avrei voluto fargli avere il mio libro sul reddito di base che era uscito da poco (Il reddito di base nell’era digitale), poiché avevo utilizzato una sua citazione messa in epigrafe del capitolo finale, questa, un po’ per potenziare l’utopia concreta del reddito di base, come prescrizione eticamente cogente e realizzabile:

“Quasi prigionieri delle istituzioni in cui accade di nascere, troppo spesso tendiamo a considerare moralmente tollerabili anche le più grottesche iniquità solo per il fatto che esistono, mentre liquidiamo sbrigativamente prescrizioni eticamente cogenti solo per il fatto che non ci sembrano realizzabili” (da Le trappole del Welfare, 1998).

Ovviamente il professor Ferrera non mi ha mai risposto.


Ora però ho letto il suo libro appena uscito per i tipi di Laterza, La società del quinto stato (del quale torneremo a breve a scriverne) che ovviamente non cita mai il nostro libro sul Quinto stato (e manco La furia dei cervelli, dove dedicammo più di un capitolo sempre al Quinto stato). Ho notato però che a pagina 89 riporta per intero la frase che io ho citato in epigrafe del capitolo finale del libro Il reddito di base nell’era digitale, che certo era sua, addirittura dal lontano 1998, quando la scrisse, ma un pochino l’ho fatta anche mia, citandola doviziosamente.

Allora mi sorge un euforico dubbio, poiché non mi lascia con l’amaro in bocca di nessuna risposta e lettura da parte del Professor Ferrera. Potrebbe trattarsi di un messaggio in codice – subliminale, magico-misterico, allusivo – per farmi capire che ha addirittura letto il mio libro sul reddito di base (figurarsi Il quinto stato e La furia dei cervelli, allora!) e, intimidito un poco da tutto lo strabordante profluvio di immaginazione che vi ha trovato, ha preferito fingere una autocitazione che in realtà è la citazione più rilevante che io abbia fatto dei suoi studi nel mio libretto, per farmi capire che, insomma, sono, siamo, nel suo Pantheon incitabile di riferimento?

Troppo da fan dei fan delle strutture ricorsive?

Seguirà recensione del libro, ma intanto continuo a riflettere su questa meta-sotto-citazione che nobilita assai la mia atavica, inscalfibile, duratura indole esoterica.

E rispondo con un Pape Satàn, Pape Satàn Aleppe.

Acqua in bocca professore!

***

>>> L'autocitazione di Maurizio Ferrera



>>> La citazione dello stesso passaggio nel libro "Il reddito di base nell'età digitale":













Nessun commento:

Posta un commento