Giuseppe Allegri
Il presidente dell'Eurogruppo Juncker è a favore del "salario minimo" sociale e legale in tutti i paesi europei. “Bisogna ritrovare la dimensione sociale dell’unione economica e monetaria – ha detto – con misure come il salario minimo in tutti i Paesi della zona euro, altrimenti perderemmo credibilità e approvazione della classe operaia, per dirla con Marx”.
Ora, c'è una differenza sostanziale tra il "salario minimo" e il "reddito minimo", ma è evidente che Juncker allude ad una crisi irreversibile del modello sociale europeo e che l'alternativa alla povertà che, da oggi al 2016, colpirà ancora più duramente gli europei è certamente una forma di tutela universale a sostegno della cittadinanza. Poche ore dopo questa dichiarazione, il segretario generale della Cgil Camusso si è detta contraria al salario minimo proposto dall'esponente del Ppe. "E' un'ipotesi che noi non condividiamo", ha spiegato Camusso criticando anche il progetto di "non avere contratti nazionali ma al massimo una contrattazione di secondo livello. Noi invece pensiamo che il contratto nazionale sia uno strumento insostituibile".
Non è chiaro se Juncker voglia abolire la contrattazione nazionale, di certo la Camusso ha espresso un veto molto pesante rispetto al "salario minimo".
Ora, c'è una differenza sostanziale tra il "salario minimo" e il "reddito minimo", ma è evidente che Juncker allude ad una crisi irreversibile del modello sociale europeo e che l'alternativa alla povertà che, da oggi al 2016, colpirà ancora più duramente gli europei è certamente una forma di tutela universale a sostegno della cittadinanza. Poche ore dopo questa dichiarazione, il segretario generale della Cgil Camusso si è detta contraria al salario minimo proposto dall'esponente del Ppe. "E' un'ipotesi che noi non condividiamo", ha spiegato Camusso criticando anche il progetto di "non avere contratti nazionali ma al massimo una contrattazione di secondo livello. Noi invece pensiamo che il contratto nazionale sia uno strumento insostituibile".
Non è chiaro se Juncker voglia abolire la contrattazione nazionale, di certo la Camusso ha espresso un veto molto pesante rispetto al "salario minimo".
Ancora
reddito vs. lavoro? 1973 o 2013?
Se
fossimo in un altro Paese d'Europa, quello sul reddito sarebbe un dibattito di metà
anni '70 del Novecento, quando la gran parte di quei Paesi
introduceva una qualche forma di reddito di base (l'ultima è
stata la Francia con il RMI, nel 1988, come grande battaglia della
sinistra unita: una chimera per la microcefala sinistra italica),
difendendo occupazione e salari (quindi facendo tutte e due le
cose!), mentre da noi si pensava alle “convergenze parallele” per
rendere equi i “sacrifici” tra classe operaia e ceto medio.
Purtroppo, invece, siamo in Italia, gennaio 2013 e della classe
operaia, quanto del ceto medio rimangono solo le vestigia e le
passioni tristi: quelle della miseria e del risentimento dinanzi a
una trasformazione capitalistica che diffonde solo povertà,
paura, solitudine. Mentre rimane intatta questa vocazione grigia e
pentecostale all'austerità e al rigore, introiettata anche tra
le “migliori menti” di quel che rimane della cosiddetta sinistra.
Sembra un film montato male e timidamente l'ho segnalammo già
un anno fa, all'indomani della formazione del governo
costituente del Presidente
(anche su il
manifesto del
24 novembre 2011).
Per
tornare a noi, sembra difficile che in Italia 2013 si realizzino
contemporaneamente buona e piena occupazione degnamente retribuita e
introduzione di un reddito minimo garantito. Soprattutto: ha senso
dividersi su quale tra queste opzioni dovrebbe avere la priorità
nell'“agenda” della sinistra italiana? Purtroppo la domanda
successiva sarebbe: quale sinistra italiana?
Povera
Italia in trappola.
E
allora azzardo un bagno di crudo realismo. Il Rapporto
UE
su “occupazione
e sviluppi sociali” ci ricorda che l'Italia, insieme a Grecia, Spagna,
Malta e i paesi Baltici, fa parte del gruppo di paesi in cui “c'è
un alto rischio di entrare nella povertà e basse possibilità
di uscirne, con la creazione di una massiccia trappola della
povertà”.
É
la Grande Crisi europea e globale – vera trasformazione
capitalistica – che precipita le persone nella povertà, a
rischio di esclusione sociale, senza differenze generazionali: tra
giovani,
15-29 anni, NEET
(mentre il tasso di disoccupazione tra la forza lavoro giovanile è
di oltre il 37%)
e lavoratori Senior
(40-50enni
e oltre!), prevalentemente indipendenti, autonomi, freelance
(quello che un tempo si definiva “ceto medio”, del lavoro
autonomo nella crisi italiana,
anche di quella che un tempo era la piccola
impresa post-fordista)
precipitati
in condizione da Working
Poor,
oltre le masse di inoccupati, sottoccupati, disoccupati, espulsi dal
mercato del lavoro in età matura.
“Minimun
Income”:
ce lo chiede l'Europa, dal 1992 e ancora oggi!
Dinanzi
a questo vero e proprio default
sociale,
individuale e collettivo, è la stessa Commissione europea in
un documento dell'EU
Network of Independent Experts on Social Inclusion
sull'Agenda
2020,
sorprendentemente sottaciuto in Italia, ad osservare come non siano
rispettati i parametri di inclusione e garanzia sociale che i singoli
Stati membri dovrebbero adottare nella prospettiva sociale
dell'Agenda
2020
e soprattutto dinanzi al perdurare della crisi, notando anche gli
effetti negativi delle politiche di austerity
(spec.
p. 7 del Rapporto).
Per arginare queste condizioni di povertà, nelle
raccomandazioni finali (p.
13),
si ricorda agli Stati membri che devono attivare “degli schemi di
reddito minimo (minimum
income),
che garantiscano un reddito sufficiente per poter vivere in
condizioni dignitose, in linea con le richieste contenute nella
Raccomandazione
del Consiglio UE 92/441/CEE
del 24
giugno 1992”, nella quale si imponeva l'adozione di misure
riguardanti il reddito minimo garantito e che solo il nostro Paese,
insieme con la Grecia, ha puntualmente e insistentemente disatteso.
“Reddito
di sostentamento minimo”? I Professori a ripetizioni europee.
È
un'ennesima, esplicita richiesta proveniente “dall'Europa” (tanto
per stare alla retorica italiana) di introduzione di un reddito
minimo garantito, intorno alla quale in Italia è stata
lanciata una proposta
di legge di iniziativa popolare.
E fa una rabbia immensa rintracciare nella cd. “Agenda
Monti”
(Un'agenda
per un impegno comune. Cambiare l'Italia, per riformare l'Europa)
un'abissale ignoranza rispetto a questi temi, soprattutto da parte di
un Professore che vorrebbe “riformare l'Europa”. Ebbene, a pagina
18 di questa Agenda,
dove si parla di “nuove e vecchie povertà nella recessione”,
dopo una rivalutazione della social
card
di «berlusconiana
memoria»
si propone di studiare “come creare un reddito di sostentamento
minimo, condizionato alla partecipazione a misure di formazione e di
inserimento professionale”. A parte la vaghezza di tutto ciò
è proprio la formula utilizzata che grida vendetta: “reddito
di sostentamento minimo”
è
una perifrasi che non si ritrova da nessuna parte, nella quale il
sostentamento
minimo fa
pensare a condizioni di vita tutt'altro che degne, a una esistenza
condotta aldilà di un'altissima
povertà,
ridotta alla zoè
più
infima e misera, se volessimo giocare a fare i piccoli
“foucaultiani”, ovvero gli “agambeniani”. Ma c'è poco
da giocare: questo è il programma del leader
di un Governo di esperti, tecnici, professori che sembra ignorare il
minimo
(in questo caso l'aggettivo potrebbe essere appropriato) sindacale
(metafora sicuramente non gradita!) riguardo le politiche di
inclusione sociale europea: e vorrebbe cambiare
l'Italia, per riformare
l'Europa?
Vista la sicumera di questi Professori e il loro continuo elogio del
merito e delle competenze, sarebbe il caso di mandarli a ripetizioni
di politiche sociali europee.
Il
sonno della ragione della politica italiana: né reddito, né
nuovo Welfare.
Eppure,
per tornare al crudo realismo di poco sopra, siamo consapevoli che
Mario Monti con i suoi alleati, insieme con il PD di Bersani, e anche
qui i suoi alleati, saranno gli artefici del prossimo Governo. È
possibile introdurre un briciolo di ragionevolezza nelle loro
politiche sociali che verranno? E, accanto alle inevitabili
contumelie sul lavoro, la sua mancanza per molti e la sua creazione
per tutti, farli ragionare sulla previsione di un reddito minimo
garantito? Siamo consapevoli che nessuna delle forze che governeranno
ne parlano, poiché significherebbe dover litigare con:
sindacati confederali, per i quali esiste solo il lavoro, per giunta
esclusivamente subordinato e a tempo indeterminato e la gestione
della sua mancanza deve passare per “tavoli sindacali”;
Confindustria, per la quale quel lavoro deve essere sotto ricatto,
costare pochissimo e prevalentemente precario; la Chiesa, che non è
in grado di andare oltre una visione caritatevole e misericordiosa
dell'esclusione sociale. Quindi si tratterebbe di aggredire tutti i
paternalismi, corporativismi, familismi, rendite di posizione
parassitarie e corruttele che strutturano la società italiana
in tante piccole oligarchie dispensatrici di briciole di sicurezza,
in cambio della fedeltà e dell'obbedienza. E qui un buon
politologo citerebbe la celebre “legge ferrea della burocrazia”
di Robert Michels.
Nel
nostro piccolo conviene invece tornare all'aspirazione di istillare
un briciolo di ragione e ragionevolezza nelle politiche pubbliche,
che proprio la previsione di un reddito
minimo garantito
permetterebbe di riportare in questo nostro, malandato, Paese.
Perché, come ci insegna Karl Polanyi prima di tutti, nelle
fasi di trasformazione del capitalismo è possibile imporre
delle nuove scelte di politiche pubbliche. E la proposta ragionevole
di un reddito minimo garantito, insieme con l'ammodernamento di un
Welfare
che garantisca nuovi diritti sociali fondamentali individuali e
collettivi, sarebbero il primo passo di una nuova idea di società
e cittadinanza, contro povertà e miseria, se si volesse
davvero “cambiare l'Italia, riformare l'Europa”: fuori dal
ricatto individuale, dentro l'autodeterminazione delle proprie
scelte; per un reale modello sociale europeo, portatore di un'Europa
politica: questo sarebbe uso della ragione politica.
Sappiamo
invece che è proprio il sonno della ragione a generare i
mostri della politica italiana, seppure non varrebbe la pena di
scomodare Francisco Goya. E allora c'è sempre da augurarsi che
da fuori arrivi almeno un po' di chiasso, per svegliare quel sonno,
sperando non sia troppo tardi e, soprattutto, che quel rumore non sia
il tonfo secco e definitivo del fallimento sociale che già
corrode da dentro la società italiana ed europea,
nell'inettitudine della politica, che sa di essere inscalfibile.
Secondo me state facendo una gran confusione. Il salario minimo esiste in altri paesi europei (per esempio Francia e Regno Unito) dove esiste anche il reddito minimo. Questo perchè il reddito minimo è la forma di sostegno sociale universale che quei paesi garantiscono ai loro cittadini a prescindere dal lavoro. Il salario minimo è il tetto più basso sotto il quale i datori di lavoro che non applicano i contratti collettivi di lavoro comunque non possono andare. Questo perchè in quei paesi anche dove esiste la contrattazione collettiva il compenso dei lavoratori è determinato per legge oppure i contratti collettivi hanno valore erga omnes (valgono per tutti i lavoratori di quel settore a prescindere che le aziende siano associate all'organizzazione datoriale che ha firmato quel contratto). Quindi il salario minimo per legge in quei paesi serve ad avere una soglia minima di salario non superabile per quei settori dove non c'è contrattazione collettiva che, negli altri paesi soprattutto anglosassoni non sono pochi. Il salario minimo di quei paesi è normalmente un terzo inferiore a quello dei contratti collettivi esistenti e viene aggiornato con fatica. Negli Stati Uniti Obama ha alzato il salario minimo di poco dopo che erano più di 40 anni che non veniva ritoccato.
RispondiEliminaNel nostro paese per fortuna i contratti nazionali di lavoro ci sono in quasi tutti i settori e siccome non hanno valore legale, quindi non sono erga omnes, valgono solo per le aziende che sono associate all'organizzazione imprenditoriale che ha sottoscritto quell'accordo. In questo quadro avere il salario minimo in Italia (che guarda caso hanno proposto per primi la Bocconi, Boeri e poi Ichino) significa avere un salario per legge che non può che essere inferiore al più basso dei contratti nazionali di lavoro (altrimenti si fanno saltare per aria settori economici interi) facendo i conti significa avere compensi orari lordi attorno ai 6,5 €. In questo modo si lasciano libere aziende come Max Mara (che è 40 anni che prova a non applicare i contratti di lavoro) o il Marchionne di turno o le migliaia di piccole aziende, di non applicare più i Contratti di lavoro avendo le mani libere perchè basterà non iscriversi a nessuna organizzazione datoriale e applicare il salario minimo per legge per non rischiare niente davanti al giudice.
Il risultato, se venisse approvata anche in Italia questa proposta di legge, sarebbe togliere dalla busta paga di milioni di lavoratori dipendenti e collaboratori a progetto (che oggi devono essere pagati come i dipendenti) dal 30% del compenso per i contratti più bassi fino al 60% per i contratti più alti. Con buona pace dei falchi di Confindustria che in un colpo solo vedrebbero anche tracollare i contratti nazionali con tutte le tutele e garanzie e tutele sociali per 17 milioni di dipendenti di cui 13 milioni a tempo indeterminato. Tutto questo, inoltre vedrebbe crollare le entrate contributive e fiscali dello stato (che sono costituite per oltre l'80% da dipendenti e pensionati) e renderebbe da fantascienza garantire le pensioni, la sanità, le attuali forme di ammortizzatori per quanto diseguali. Sicuramente nessuno potrebbe più parlare nemmeno per sbaglio e di reddito minimo. Gli unici che se ne trarrebbero vantaggio sono gli imprenditori d'assalto che abbasserebbero enormemente i costi dei lavoratori e aumenterebbero a dismisura i loro profitti.
Io non sono d'accordo sul reddito minimo perchè lo ritengo impraticabile nel nostro paese se prendiamo ad esempio uno qualunque degli stati in cui l'hanno introdotto e le regole per cui lo applicano e con le risorse economiche che, in quegli stati, riescono a dedicargli. Ma rispetto le proposte di reddito minimo di cittadinanza perchè comunque pongono un tema non più rinviavile che è l'universalità degli ammortizzatori sociali e dei diritti di cittadinanza.
Detto questo forse è meglio documentarsi prima di attaccare parlando a vanvera di Camusso o altri sindacalisti.
Un abbraccio. Davide Imola
Caro Davide, grazie assai della lettura e del commento.
EliminaCome direbbe un novello Mao Tse Tung del Web3.0 grande è la confusione sotto il cielo e magari anche nel nostro post! Ma la situazione è tutt'altro che eccellente, a differenza dell'ottimismo maoista!
Riguardo la frase di Juncker. È la stessa affermazione di Juncker che è “confusa”. In francese (come sappiamo, egli è lussemburghese) risulta così: Jean-Claude Juncker n’a pas manqué d’évoquer la dimension sociale – "l’enfant pauvre" – de l’UEM. "Il faut parler de la dimension sociale en des termes très concrets. Je revendique un socle de droits sociaux minimum, où figurera évidemment la revendication essentielle d’un salaire social minimum légal (http://www.gouvernement.lu/salle_presse/actualite/2013/01-janvier/10-juncker-pe/).
Salario sociale minimo legale, collegato all'evocazione della “dimensione sociale” come “figlio povero dell'Unione economica e monetaria”, è da intendersi come reddito minimo: come “una base di diritti sociali minimi” (dei cittadini e non solo dei lavoratori). Anche perché Juncker è da sempre favorevole al “salaire minimum européen”, che non ha mai chiamato “social”; e ora che (dopo 8 anni) sta per lasciare il suo incarico europeo si sbilancia in favore del salario sociale minimo=reddito minimo. Del resto Juncker ha legato la sua affermazione alla crisi sociale della zona euro, all'aumento della disoccupazione, intesa come “tragedia”, etc. Non al lavoro povero: alla disoccupazione!! Poi, come sai meglio di me, l'art. 153 del TFUE esclude espressamente che l'UE possa intervenire in materie come “retribuzioni, diritto di associazione, diritto di sciopero e diritto di serrata”; difficile l'UE possa disciplinare un salario minimo europeo vincolante per tutti gli Stati membri; vuoi che Juncker non lo sappia!?
Nel nostro Paese, comunque, per stare tranquilli non c'è né reddito (minimo) garantito, né salario minimo. Riguardo a quest'ultimo sostieni che, essendo da noi molto forte la contrattazione collettiva nazionale, come del resto in Germania, la misura del salario minimo non sarebbe auspicabile, tant'è che Camusso è radicalmente contraria (http://it.finance.yahoo.com/notizie/crisi-camusso-salario-minimo-contratto-140442746.html). Io non vorrei ci sia dietro (anche) una certa gelosia “sindacato-confederale” nell'avere il “monopolio” della contrattazione. Avendoti incontrato in confronti-scontri intorno al lavoro autonomo non ordinistico e dei freelancers, so che anche te sei contrario alla burocratizzazione del sindacato e al prevalere della conservatrice (reazionaria?) “legge ferrea delle oligarchie”: il terreno di una proposta per il reddito minimo garantito potrebbe essere l'occasione di “trasformazione” della cultura e degli apparati sindacali confederali!? Facciamo che la considerazione che chiude il tuo post diventi un'opportunità!
Noi proviamo a fare informazione critica e nel farlo faremo anche un po' di confusione, ma a noi la posta in gioco appare evidente: dentro una spietata trasformazione capitalistica e il divenire povertà italico l'universalizzazione delle garanzie sociali, a partire dal reddito minimo garantito, può essere il terreno di politiche progressiste (certo insieme al rilancio dell'occupazione, alle politiche pubbliche e ai piani quinquennali di rilancio industriale, etc.)?
“Osare l'impossibile”, per dirla con i CCCP – Fedeli alla linea, anche quando la linea non c'è – senza essere neanche metaforicamente maoisti.
Promettiamo che torneremo a scrivere su questi temi: è una minaccia!
Un abbraccio e grazie della lettura!
Ps: in Italia non mi risulta ci sia nessuna proposta di legge per il salario minimo; c'è una raccolta di firme di iniziativa di legge popolare per il reddito minimo garantito: quello che l'Europa ci chiede di adottare dal 1992!!
Prima di tutto saluto il mio grande amico Davide Imola, poi, da inesperto, cerco di entrare nel merito della question time. Sentire Jean Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo che riunisce i ministri economici dell’area Euro e uno dei massimi esponenti del Partito Popolare europeo, citare Marx è da considerare una svolta. Ma la sua proposta di un reddito minimo garantito non trova molti estimatori in Italia, specie tra i sindacati. Il primo problema è infatti quello di intendersi su cosa significhi: un ammortizzatore sociale universale o un salario da elargire come diritto soggettivo slegato dalla condizione lavorativa e di reddito dell’individuo? In entrambi i casi Cgil, Cisl e Uil bocciano la proposta.
RispondiEliminaCiao Peppe e ancora Davide che non vedo da anni. Matteo.
Parlare, o meglio, portare il discorso su un Reddito di Cittadinanza, o meglio ancora (l'Utopia serve, anche, a camminare) Reddito di Esistenza, non evita fregature, biechi protezionismi e strumentalizzazioni al ribasso di ciò che invece è indispensabile per un'evoluzione reale? Da inesperto, chiedo lumi al riguardo.
RispondiEliminaGrazie della lettura, cari Matteo e Andrea, anche se rispondiamo un po' in ritardo!
RispondiEliminaDice bene Matt (bella questa cosa che conosci Davide!): le resistenze del sindacalismo confederale per una qualsiasi forma di "reddito" (di base, minimo, universale, di cittadinanza, di esistenza, etc.) permangono, seppure con sfumature diverse e con alcune aperture (per rimanere alla CGIL, le Federazioni di Flc e Fiom, oltre che singoli silenti dentro la CGIL, ne siamo sicuri!).
Il "reddito di base" (chiamiamolo così) dovrebbe essere un nuovo diritto fondamentale (per dirla con Luigi Ferrajoli), una sorta di "ius existentiae", piuttosto che un ammortizzatore sociale universale (ciò non toglie che la sua lettura come ammortizzatore sociale universale possa essere un primo passo per il reddito come diritto sociale di cittadinanza).
In questo senso la tensione verso il “reddito di cittadinanza/esistenza” (per dirla, da ultimo, con Rodotà), universale e incondizionato, immagina una nuova idea di società e permetterebbe (come nota Andrea) di evitare burocrazie, corruzioni, clientelismi, favoritismi, strumentalizzazioni, etc. eliminando tutti i costi di "intermediazione" (strutture amministrative, apparati, personale addetto all'accettazione delle domande, all'erogazione del reddito, al controllo, etc.).
Una vera e propria rivoluzione!
Qui abbiamo insistito sulla questione del RMG prendendo la palla al balzo della frase di Juncker da una parte e dall'altra ricordando che c'è una Raccomandazione del Consiglio UE del 1992 pro-RMG, disattesa da Grecia e Italia. Ma noi siamo da sempre per il basic income (universale e incondizionato), in buona compagnia: con la rete BIEN (http://www.basicincome.org/bien/), il BIN Italia (http://www.bin-italia.org/) e gli scritti, tra gli altri, di Philippe Van Parijs (P. Van Parijs, Y. Vanderborght, Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore, 2006), quindi, sempre in italiano, AA.VV., La democrazia del reddito universale, manifestolibri, 1996 e BIN Italia (a cura di), Reddito per tutti. Un'utopia concreta nell'era globale, manifestolibri, 2009.
Grazie ancora di lettura e commenti e un saluto!