sabato 1 marzo 2014

CONTRO LA DISOCCUPAZIONE ARRIVA IL «NASPI», L'INDENNITA' CHE ESCLUDE 1/3 DEI SENZA LAVORO

«Naspi» è anche un idrante
Roberto Ciccarelli

Si chiama «Naspi» il sussidio con il quale il presidente del Consiglio Matteo Renzi intende tutelare poco più di 1 milione e 200 mila persone a rischio di disoccupazione. Novecentomila sono lavoratori dipendenti a termine, somministrati, interinali che attualmente godono dell'indennità di disoccupazione Aspi introdotta dalla riforma Fornero in scadenza nel 2016. Gli altri 300 mila sono collaboratori a progetto oggi esclusi da una misura riservata ai lavoratori subordinati, agli apprendisti, ai soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato, al «personale artistico» con rapporto di lavoro subordinato e ai dipendenti a tempo determinato della P.A.

Il prerequisito per ottenere il sussidio sarebbe quello di avere ricevuto una busta paga per almeno tre mesi . L'entità del sussidio oscillerà tra 1200 e 1100 per calare a 700 euro. Oggi, il disoccupato che ha lavorato 3 mesi nell'ultimo anno, ha diritto a percepire l'indennità per un mese e mezzo, incassando 930 euro. Un esempio, per capire di quale cifre si sta davvero parlando. Resterebbero fuori dal «Naspi» (un acronimo che dovrebbe significare «nuova Aspi», ma questa è solo una deduzione, anche perchè «Naspi» è anche il nome di un idrante) almeno 2 milioni di disoccupati (per l'Istat a gennaio 2014 erano 3,3 milioni), le altre forme di lavoro precario e intermittente, i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata dell'Inps: 1,8 milioni di persone.


Almeno 4 milioni di persone, ma il numero è superiore se si considera le partite Iva iscritte ad altre gestioni previdenziali, resteranno senza tutele. Contrariamente a quanto scritto nella newsletter inviata agli iscritti Pd qualche settimana fa, il «Jobs Act» non istituirà un «sussidio universale» contro la disoccupazione, un salario minimo e nemmeno un reddito di base. Si parla invece di un sussidio condizionato alla partecipazione ad un corso di formazione e ad un'offerta di lavoro, vale a dire un regime di «workfare» ancora più penalizzante di quello prospettata in passato dal Pd o dal Movimento 5 Stelle con il suo vagheggiato «reddito di cittadinanza».

Dalle «indiscrezioni» sul «Jobs Act» apparse ieri su La Repubblica e La Stampa emerge infatti un particolare non secondario: il rifiuto di una seconda proposta di lavoro comporterà la perdita del sussidio. Quest’ultimo verrebbe differenziato in base allo status contrattuale del lavoratore, discriminando tra dipendenti e precari. Ai primi il «Naspi» verrà garantito fino a due anni (oggi dura 1 o 1 anno e mezzo); ai secondi, massimo per sei mesi. Molte restano le incertezze sui tempi della riforma dei centri dell'impiego che dovrebbero confluire in un'agenzia unica federale, ancora tutta da immaginare. Questa agenzia è necessaria per ridisegnare il sistema delle politiche attive il quale, a sua volta, dovrebbe erogare il «Naspi» e gestire il «workfare». Tutto questo ha bisogno di tempo. Un tempo che sembra mancare per una terapia «choc», così la immagina Renzi, contro la disoccupazione generale che ha raggiunto il 12,9%, mentre quella giovanile è arrivata al 42,4%.

Nelle intenzioni del responsabile economia Pd Filippo Taddei questa proposta amplierà la risicata platea dei beneficiari dell'Aspi a coloro che attualmente godono della cassa integrazione in deroga. Il «Naspi» dovrebbe essere finanziato anche con i soldi della Cig e della mobilità in deroga. Si dice che dovrebbe costare 1,6 miliardi di euro in più dei sussidi esistenti, a cui bisogna aggiungere i 3,6 miliardi di euro per la Cig (del 2013), per un totale di 8,8 miliardi. Il problema è che, ad oggi, 1,1 miliardi dei fondi per la Cig 2013 (su 3,6) mancano all'appello. Le regioni sono in allarme, ieri Cgil-Cisl-Uil hanno scritto al neo-ministro del lavoro Poletti invitandolo a trovarli. E ancora non si parla dei fondi per il 2014. Le stesse incertezze restano sulle risorse per il taglio al cuneo fiscale (10 miliardi di euro, sostiene Renzi) e sui proventi dalla spending review di Carlo Cottarelli da cui il Pd vorrebbe ottenere molto più dei 4 miliardi preventivati.

Un punto fermo resta il «contratto aperto» o «contratto di entrata senza rigidità», cioè senza articolo 18 in cambio di un indennizzo in caso di licenziamento, impropriamente definito dai renziani «contratto unico a tutela crescente». E poi c'è la «garanzia giovani», l'unico provvedimento certo che verrà erogato alle aziende e non ai neo-laureati. In ogni caso il governo presenterà il Jobs Act a Berlino il 17 marzo, in un vertice con la cancelliera tedesca Angela Merkel. È un fatto che chiarisce le priorità dell’esecutivo. Lo ha confermato ieri il ministro delle Infrastrutture Lupi (Ncd): con la riforma del lavoro in mano Renzi chiederà a Merkel maggiore flessibilità sul vincolo del 3% sul deficit/Pil. Uno scambio che oggi esclude milioni di persone.

3 commenti:

  1. Dire che si tratti di un sussidio universale è una truffa è vero.
    Per essere completa l'informazione bisognerebbe aggiungere che già da qualche anno esiste una indennità di disoccupazione unatantum per i collaboratori a progetto. La Naspi ha perlomeno il merito di migliorare questa indennità che, nella sua ultima formulazione, inseriva dei criteri che restringevano enormemente la platea. Tra questi cito quello dei due mesi di disoccupazione nell'anno precedente alla richiesta. Faccio un esempio per chiarire: un lavoratore a progetto senza rinnovo contrattuale nel corso del 2013, per poter accedere alla una tantum non solo doveva avere avuto almeno tre mensilità pagate nel 2012, ma doveva anche dimostrare di esserre stato due mesi senza lavorare, senza percepire reditto. Se avesse lavorato per tutto il 2012, ad esempio, non avrebbe avuto diritto all'indennità. Una norma che fa legittimamente pensare che quella legge fosse stata modellata sulle esigenze di una specifica categoria. La Naspi, a quanto è dato saper oggi, eliminerebbe questi criteri astrusi e il carattere unatantum. Non è di certo la rivoluzione tanto decantata ma sarebbe sicuramente un passo in avanti se non fosse la foglia di fico per coprire manovre ben più incisive che vanno verso sempre una maggiore precarizzazione come il decreto poletti.

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  2. La ASPI e la MINI-ASPI,escludono i dipendenti ai quali le aziende non hanno versato negli ultimi due anni di lavoro,almeno un contributo "contro la disoccupazione".Per le COOP è facoltativo. Con la Naspi,dovrebbero essere tutelati anche questi "discriminati"...!

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  3. La naspi è una grande fregatura.
    Prima c'era la mini-aspi e indi ogni anno potevi fare domada di disoccupazione adesso i periodi di disoccupazione goduti nell'anno precedente limitano fortemente l'accesso alle provvidenze. Altro che riforma x aiutare chi non ha un lavoro stabile.

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