Daniela Risi*
Ho quasi 58 anni, totalmente disoccupata da quattro, lavoro intermittente negli anni immediatamente precedenti. Sono sola e senza alcun reddito, tra pochi mesi sarò fuori di casa e mi aspetterebbe forse (ma non lo permetterò) una branda in una casa di accoglienza (proposta dei servizi sociali), unico e solo "sostegno" che mi è stato offerto. Sono iscritta al centro per l'impiego dal 2006 (inutilmente) e non ho mai smesso di cercare lavoro, forse con meno energia negli ultimi due anni (mi sono ammalata , il corpo ha ceduto,sono a pezzi), ma tanto non c'è differenza.
Non ho mai fatto la furba, mai rubato, mai chiesto nulla a nessuno. Ho fatto l'università, ho vissuto all'estero, mi sono reinventata mille volte, ho iniziato a lavorare a 23 anni. Sono una persona perbene, che si è presa di imbecille innumerevoli volte nella vita per non essere stata abbastanza furba, ma "essere furbi" a me è sempre parso bestemmia.
In questi ultimi anni di disoccupazione totale ho subìto le peggiori umiliazioni, e dire che ci tenevo tanto alla mia autonomia, alla mia dignità, ma ho dovuto lottare con le unghie e con i denti per i diritti che mi spettano come persona e cittadina, inutilmente: ho lottato per sopravvivere, letteralmente, ero e sono senza cibo, senza riscaldamento, senza scarpe, senza soldi per le medicine: non ho avuto nulla, e mi è stato detto (dai servizi sociali, non solo vox populi) che come disoccupata non avevo diritto a nulla, meglio sarebbe stato se fossi stata invalida, o ex tossicodipendente o ex carcerata o extracomunitaria.
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domenica 21 giugno 2015
giovedì 14 maggio 2015
UN LAVORO DA SCHIAVI NELL'ITALIA DEL JOBS ACT
Giuseppe Allegri, Roberto Ciccarelli
Pubblichiamo la prefazione al libro di Antonio Musella "Nuovi schiavi. Il lavoro nell'Italia del Jobs Act (Round Robin): "Quando la terra si solleva". Inchiesta su Partite Iva, addetti alla logistica, metalmeccanici, stagionali, freelance in un paese che vive nell'ossessione dell'impiego e nella dannazione della sua mancanza.
***
Un lavoro da schiavi. Schiavi al lavoro. In un paese che vive nell'ossessione del lavoro e nella dannazione della sua mancanza. È il terribile ritratto che emerge dal reportage di Antonio Musella che si fa d'un tratto collettivo, un libro d'inchiesta in profondità condotta negli anni in cui l'Italia ha scoperto di essere povera, mentre i suoi nuovi poveri sono costretti a cercare, o strappare, un lavoro servile.
Questo è l'aspetto principale della crisi: non c'è solo la distruzione di un milione di posti di lavoro dal 2008 a oggi, ma la continua creazione di lavori inutili, senza identità, pagati una miseria, o addirittura gratis, che nascono e muoiono in pochi mesi. Le continue riforme del lavoro, come un certo uso politico della tecnologia, hanno influito pesantemente nella creazione di un paradosso contemporaneo.
A differenza di quanto ci viene detto dall'alto, oggi non è il lavoro a mancare. Ciò che manca è il reddito. Tale mancanza viene sostituita da un eccesso di offerta di occupazioni parziali – o servili, appunto – utili a piegare chiunque all'etica di un lavoro salariato che non c'è e alla promessa che – un giorno – esisterà o verrà pagato. In questo mondo ossessivo, e svuotato, nascono i racconti presenti in questo libro. Vite solitarie, invisibili, senza tutele, né un welfare universale capace di sostenerle.
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giovedì 4 dicembre 2014
JOBS ACT, L'ILLUSIONE DI CREARE LAVORO TRAMITE RIFORME DEL LAVORO
Roberto Ciccarelli
Il Jobs Act è stato approvato, i contenuti concreti li deciderà il governo, ma una cosa la sappiamo già: la precarietà si riproduce a mezzo precarietà. L'Italia mescola l'arcaico e il più moderno e non pensa al suo presente: partite iva, precari, disoccupati, giovani. Negli anni Novanta ci fu una generazione che avvertì: oggi va tutelata la persona, non solo il lavoro subordinato. Bisogna uscire dalla Decade Malefica.
>>> L'illusione di creare lavoro tramite riforme del lavoro - Gli Stati Generali <<<
***
L'immagine: Installazione “100 sogni morti sul lavoro” di Gianfranco Angelico Benvenuto, Milano, 2012, foto di Pierangelo Zavatarelli (CC) – «Cento anonime tute vuote, riempite solo dal vento che dà loro corpo in questo composto cammino senza i colori della speranza di Pellizza da Volpedo. Perché l’assenza di chi è morto per il lavoro o perchè lo ha perso diventi la presenza più autentica e più viva. Perché almeno il silenzio possa penetrare il muro dell’indifferenza al dolore altrui».
Il Jobs Act è stato approvato, i contenuti concreti li deciderà il governo, ma una cosa la sappiamo già: la precarietà si riproduce a mezzo precarietà. L'Italia mescola l'arcaico e il più moderno e non pensa al suo presente: partite iva, precari, disoccupati, giovani. Negli anni Novanta ci fu una generazione che avvertì: oggi va tutelata la persona, non solo il lavoro subordinato. Bisogna uscire dalla Decade Malefica.
>>> L'illusione di creare lavoro tramite riforme del lavoro - Gli Stati Generali <<<
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L'immagine: Installazione “100 sogni morti sul lavoro” di Gianfranco Angelico Benvenuto, Milano, 2012, foto di Pierangelo Zavatarelli (CC) – «Cento anonime tute vuote, riempite solo dal vento che dà loro corpo in questo composto cammino senza i colori della speranza di Pellizza da Volpedo. Perché l’assenza di chi è morto per il lavoro o perchè lo ha perso diventi la presenza più autentica e più viva. Perché almeno il silenzio possa penetrare il muro dell’indifferenza al dolore altrui».
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giovedì 1 maggio 2014
BUONA FESTA DEL NON LAVORO, BUKOWSKI!
Il
Console
È
vent'anni che ci manca Charles Bukowski, Henry Hank Chinaski, morto
il 9 marzo 1994.
E
oggi è la 32a festa
del non lavoro, al Forte Prenestino, a Milano c'è l'Euromayday per il reddito, il non lavoro e contro il lavoro gratis all'Expo 2015.
Di
“quel lavoro che ci fate mendicare” e “ci ruba il
tempo e ci saccheggia la vita”.
Quel
lavoro che è sempre meno pagato e più insicuro. Fatto di eterni
ricatti e giochi al ribasso. Diventato tanto scarso, ci fanno
credere, da costringerci al lavoro neo-servile, gratuito: prestazioni
senza retribuzioni. Stage fantasmi e contratti di un giorno. Con
l'ipocrita ed eterna retorica di governi e sindacati, sempre alla
fantomatica ricerca di nuove “riforme del lavoro”: per combattere
la disoccupazione e creare nuovi posti di lavoro.
Mai che si provasse
a garantire un reddito per “un'esistenza libera e dignitosa”,
al di là dell'impiego e dentro le mille forme di attività,
lavoro, produzione, che già riempiono le nostre vite. Disoccupazione
attiva, la chiamava qualcuno, già anni fa, seppure in un senso
più libertario della gabbia che è diventata oggi.
E
allora viene da dire: quanto ci manca, Chinaski!
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giovedì 13 marzo 2014
PERCHE' FARO' SENZA GLI 80 EURO DI RENZI
Anonimo Freelance
Sono una partita Iva. Guadagno 1.000 euro lordi al mese, poco più poco meno. Ecco, la media è questa. Senza vergogna. Nel 2013 ho messo da parte un reddito netto disponibile di 545 euro. Faccio il grafico, correggo bozze, l'interprete, ho inventato anche una collana editoriale per un piccolo editore. Non sono ancora stato pagato, ma è una mia passione, traduco libri dalla Germania. Parlano del nuovo lavoro, quello indipendente. Parlo di me quando pubblico i racconti, le inchieste, le immagini di un mondo che è molto simile a quello in cui vivo io. Questo è il mio lavoro. Questa è la mia vita. Non la cambierei con nient'altro. Penso però che abbia il diritto ad una tutela, a garanzie sociali, a un fisco equo, ad una previdenza che sia anche a carico dei miei datori di lavoro, anche se per loro lavoro solo per qualche mese. E' giusto che per quelli come me, e per tutti coloro che sono precari, ci sia
E, nei casi in cui sia io a darmi un lavoro? E in quelli in cui il lavoro non lo trovo? O viene pagato poco? E quando non vengo pagato per nulla? Ecco io sono questo. E come me ci sono milioni e milioni di persone. Intermittenti, precari, autonomi, quinto stato, chiamateci come volete. Noi siamo indipendenti.
Io sono fra quelli che non riceveranno gli 80-85 euro promessi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi a 10 milioni di lavoratori dipendenti che hanno un reddito inferiore (o quasi) ai 25 mila euro lordi all'anno. Io di euro ne guadagno poco più, poco meno, di 12 mila lordi all'anno. Mi salvo solo perché con la mia compagna vivo nella casa di proprietà dei suoi nonni. Non ho l'affitto da pagare, insomma. Ma sono un lavoratore, proprio come quelli a cui pensa Renzi, a cui pensano i sindacati quando applaudono a questa misura.
Sono una partita Iva. Guadagno 1.000 euro lordi al mese, poco più poco meno. Ecco, la media è questa. Senza vergogna. Nel 2013 ho messo da parte un reddito netto disponibile di 545 euro. Faccio il grafico, correggo bozze, l'interprete, ho inventato anche una collana editoriale per un piccolo editore. Non sono ancora stato pagato, ma è una mia passione, traduco libri dalla Germania. Parlano del nuovo lavoro, quello indipendente. Parlo di me quando pubblico i racconti, le inchieste, le immagini di un mondo che è molto simile a quello in cui vivo io. Questo è il mio lavoro. Questa è la mia vita. Non la cambierei con nient'altro. Penso però che abbia il diritto ad una tutela, a garanzie sociali, a un fisco equo, ad una previdenza che sia anche a carico dei miei datori di lavoro, anche se per loro lavoro solo per qualche mese. E' giusto che per quelli come me, e per tutti coloro che sono precari, ci sia
E, nei casi in cui sia io a darmi un lavoro? E in quelli in cui il lavoro non lo trovo? O viene pagato poco? E quando non vengo pagato per nulla? Ecco io sono questo. E come me ci sono milioni e milioni di persone. Intermittenti, precari, autonomi, quinto stato, chiamateci come volete. Noi siamo indipendenti.
Io sono fra quelli che non riceveranno gli 80-85 euro promessi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi a 10 milioni di lavoratori dipendenti che hanno un reddito inferiore (o quasi) ai 25 mila euro lordi all'anno. Io di euro ne guadagno poco più, poco meno, di 12 mila lordi all'anno. Mi salvo solo perché con la mia compagna vivo nella casa di proprietà dei suoi nonni. Non ho l'affitto da pagare, insomma. Ma sono un lavoratore, proprio come quelli a cui pensa Renzi, a cui pensano i sindacati quando applaudono a questa misura.
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sabato 1 marzo 2014
PER RENZI ARRIVA UN SUSSIDIO PER TUTTI. MA E' SOLO UN TWEET
Giuseppe Allegri
Continua ad essere grande la confusione intorno al Jobs Act di Matteo Renzi. E la situazione è tutt'altro che eccellente. Veniamo da mesi di dichiarazioni spot, annunci, titoli di un «programma per i lavori». Ai tempi Renzi era solo il nuovo segretario del Pd, con Marianna Madia da lui nominata responsabile per il lavoro. Nel mentre l'ex sindaco di Firenze è riuscito a strappare Palazzo Chigi al suo «amico» Letta e a far diventare Marianna Madia Ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione del suo neonato Governo.
A dimostrazione che quando si tratta di sedersi sulle poltrone si riesce ad accorciare i tempi. Si bruciano tutte le tappe e qualsiasi mossa è legittima. Dalla congiura con sorriso da boy scout, alla distribuzione democristiana dei sottosegretariati. Ma per il tanto declamato JobsAct ancora niente. Solo altri slogan, possibilmente in 140 caratteri. La politica del lavoro al tempo di Twitter. Mentre la politica lavora per spartirsi i posti. Poi arriva la notizia che la disoccupazione in Italia dilaga. 12,9% di disoccupati. 42,4% tra i giovani under-24.
Continua ad essere grande la confusione intorno al Jobs Act di Matteo Renzi. E la situazione è tutt'altro che eccellente. Veniamo da mesi di dichiarazioni spot, annunci, titoli di un «programma per i lavori». Ai tempi Renzi era solo il nuovo segretario del Pd, con Marianna Madia da lui nominata responsabile per il lavoro. Nel mentre l'ex sindaco di Firenze è riuscito a strappare Palazzo Chigi al suo «amico» Letta e a far diventare Marianna Madia Ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione del suo neonato Governo.
A dimostrazione che quando si tratta di sedersi sulle poltrone si riesce ad accorciare i tempi. Si bruciano tutte le tappe e qualsiasi mossa è legittima. Dalla congiura con sorriso da boy scout, alla distribuzione democristiana dei sottosegretariati. Ma per il tanto declamato JobsAct ancora niente. Solo altri slogan, possibilmente in 140 caratteri. La politica del lavoro al tempo di Twitter. Mentre la politica lavora per spartirsi i posti. Poi arriva la notizia che la disoccupazione in Italia dilaga. 12,9% di disoccupati. 42,4% tra i giovani under-24.
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CONTRO LA DISOCCUPAZIONE ARRIVA IL «NASPI», L'INDENNITA' CHE ESCLUDE 1/3 DEI SENZA LAVORO
![]() |
«Naspi» è anche un idrante |
Si chiama «Naspi» il sussidio con il quale il presidente del Consiglio Matteo Renzi intende tutelare poco più di 1 milione e 200 mila persone a rischio di disoccupazione. Novecentomila sono lavoratori dipendenti a termine, somministrati, interinali che attualmente godono dell'indennità di disoccupazione Aspi introdotta dalla riforma Fornero in scadenza nel 2016. Gli altri 300 mila sono collaboratori a progetto oggi esclusi da una misura riservata ai lavoratori subordinati, agli apprendisti, ai soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato, al «personale artistico» con rapporto di lavoro subordinato e ai dipendenti a tempo determinato della P.A.
Il prerequisito per ottenere il sussidio sarebbe quello di avere ricevuto una busta paga per almeno tre mesi . L'entità del sussidio oscillerà tra 1200 e 1100 per calare a 700 euro. Oggi, il disoccupato che ha lavorato 3 mesi nell'ultimo anno, ha diritto a percepire l'indennità per un mese e mezzo, incassando 930 euro. Un esempio, per capire di quale cifre si sta davvero parlando. Resterebbero fuori dal «Naspi» (un acronimo che dovrebbe significare «nuova Aspi», ma questa è solo una deduzione, anche perchè «Naspi» è anche il nome di un idrante) almeno 2 milioni di disoccupati (per l'Istat a gennaio 2014 erano 3,3 milioni), le altre forme di lavoro precario e intermittente, i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata dell'Inps: 1,8 milioni di persone.
Almeno 4 milioni di persone, ma il numero è superiore se si considera le partite Iva iscritte ad altre gestioni previdenziali, resteranno senza tutele. Contrariamente a quanto scritto nella newsletter inviata agli iscritti Pd qualche settimana fa, il «Jobs Act» non istituirà un «sussidio universale» contro la disoccupazione, un salario minimo e nemmeno un reddito di base. Si parla invece di un sussidio condizionato alla partecipazione ad un corso di formazione e ad un'offerta di lavoro, vale a dire un regime di «workfare» ancora più penalizzante di quello prospettata in passato dal Pd o dal Movimento 5 Stelle con il suo vagheggiato «reddito di cittadinanza».
Dalle «indiscrezioni» sul «Jobs Act» apparse ieri su La Repubblica e La Stampa emerge infatti un particolare non secondario: il rifiuto di una seconda proposta di lavoro comporterà la perdita del sussidio. Quest’ultimo verrebbe differenziato in base allo status contrattuale del lavoratore, discriminando tra dipendenti e precari. Ai primi il «Naspi» verrà garantito fino a due anni (oggi dura 1 o 1 anno e mezzo); ai secondi, massimo per sei mesi. Molte restano le incertezze sui tempi della riforma dei centri dell'impiego che dovrebbero confluire in un'agenzia unica federale, ancora tutta da immaginare. Questa agenzia è necessaria per ridisegnare il sistema delle politiche attive il quale, a sua volta, dovrebbe erogare il «Naspi» e gestire il «workfare». Tutto questo ha bisogno di tempo. Un tempo che sembra mancare per una terapia «choc», così la immagina Renzi, contro la disoccupazione generale che ha raggiunto il 12,9%, mentre quella giovanile è arrivata al 42,4%.
Nelle intenzioni del responsabile economia Pd Filippo Taddei questa proposta amplierà la risicata platea dei beneficiari dell'Aspi a coloro che attualmente godono della cassa integrazione in deroga. Il «Naspi» dovrebbe essere finanziato anche con i soldi della Cig e della mobilità in deroga. Si dice che dovrebbe costare 1,6 miliardi di euro in più dei sussidi esistenti, a cui bisogna aggiungere i 3,6 miliardi di euro per la Cig (del 2013), per un totale di 8,8 miliardi. Il problema è che, ad oggi, 1,1 miliardi dei fondi per la Cig 2013 (su 3,6) mancano all'appello. Le regioni sono in allarme, ieri Cgil-Cisl-Uil hanno scritto al neo-ministro del lavoro Poletti invitandolo a trovarli. E ancora non si parla dei fondi per il 2014. Le stesse incertezze restano sulle risorse per il taglio al cuneo fiscale (10 miliardi di euro, sostiene Renzi) e sui proventi dalla spending review di Carlo Cottarelli da cui il Pd vorrebbe ottenere molto più dei 4 miliardi preventivati.
Un punto fermo resta il «contratto aperto» o «contratto di entrata senza rigidità», cioè senza articolo 18 in cambio di un indennizzo in caso di licenziamento, impropriamente definito dai renziani «contratto unico a tutela crescente». E poi c'è la «garanzia giovani», l'unico provvedimento certo che verrà erogato alle aziende e non ai neo-laureati. In ogni caso il governo presenterà il Jobs Act a Berlino il 17 marzo, in un vertice con la cancelliera tedesca Angela Merkel. È un fatto che chiarisce le priorità dell’esecutivo. Lo ha confermato ieri il ministro delle Infrastrutture Lupi (Ncd): con la riforma del lavoro in mano Renzi chiederà a Merkel maggiore flessibilità sul vincolo del 3% sul deficit/Pil. Uno scambio che oggi esclude milioni di persone.
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venerdì 10 gennaio 2014
IL "JOBS ACT" DI RENZI: TRE EQUIVOCI, UN UNICO RICATTO
Giuseppe
Allegri
Matteo
Renzi ancora una volta smentisce se stesso. Dopo aver proclamato che
avrebbe immediatamente previsto misure di tutela e garanzia per le
persone logorate da sei anni di Grande Recessione presenta una bozza
da “riformatore del mondo”. Come se avesse avanti decenni di
tempo per far “ripartire il Paese”.
Così presenta un indice assai pretenzioso del suo JobsAct:
titolo anglofono, tutto attaccato e con una esse in più del
previsto. Tu vuo' fa' l'americano?
Si inizia con «il Sistema»: dall'energia alla burocrazia. Si passa
alla creazione di «nuovi posti di lavoro»: saranno più di un
milione, per scavalcare la ventennale propaganda berlusconiana? Si
arriva alle «regole». Una vera e propria riforma di sistema,
appunto, una serie di piani quinquennali, se volessimo sorridere; o
piangere. E la dimensione temporale è forse l'aspetto più critico
di tutta l'impalcatura.
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domenica 15 dicembre 2013
NON STUDIO, NON LAVORO: E' UNA QUESTIONE DI QUALITA' (ORGOGLIO NEET)
Trentaquattro anni è un’età rispettabile. Jim Morrison era già morto, come Jimi Hendrix, per non parlare di persone più importanti di loro. Alla stessa età, Moravia aveva già scritto “Gli Indifferenti” e Van Gogh iniziava a dipingere le sue tele più famose. In campi meno esemplari, o “maledetti”, della religione, del rock, della letteratura o dell’arte, i trentaquattro anni possono segnare la nascita del primo o del secondo figlio, qualcuno potrebbe pensare persino ai nipoti. In Italia no. E non perché tutto questo non sia possibile, ma perché un’intera società è convinta che a 34 anni le donne e gli uomini siano ancora «giovani» e che non abbiano le stesse esigenze – e i diritti – degli «adulti», destinati a vivere come eterni adolescenti.
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giovedì 3 ottobre 2013
CGIL: E' IN CORSO UN RISVEGLIO SUL LAVORO DELLA CONOSCENZA?
Sergio Bologna
Oggi e domani si svolgeranno a Roma i lavori della Consulta delle professioni della CGIL. Il maggior sindacato italiano, dopo decenni di letargo, ha ritenuto che la rappresentanza dei professionisti autonomi, con o senza Ordine, e del complesso mondo degli “atipici” e delle Partite Iva, rientrasse nei suoi compiti istituzionali. Preoccupato forse che questo mondo trovasse forme di rappresentanza libere da tutors politici in grado di porsi come interlocutori del governo e delle imprese.
Quale prezzo abbiano pagato milioni di lavoratori, soprattutto giovani, per questo prolungato ritardo, è ben conosciuto. Non è certo solo responsabilità della CGIL ma di tutti e tre i sindacati confederali se l’immagine del mondo del lavoro è stata falsata e ridotta solo all’universo del lavoro dipendente, a causa di questo letargo, non è solo responsabilità dei sindacati confederali ma dei governi degli ultimi venti anni se l’Italia si è riempita di forme di lavoro “atipiche” e “flessibili” che invece di garantire una piena occupazione ci hanno portato alla situazione catastrofica di oggi.
Oggi e domani si svolgeranno a Roma i lavori della Consulta delle professioni della CGIL. Il maggior sindacato italiano, dopo decenni di letargo, ha ritenuto che la rappresentanza dei professionisti autonomi, con o senza Ordine, e del complesso mondo degli “atipici” e delle Partite Iva, rientrasse nei suoi compiti istituzionali. Preoccupato forse che questo mondo trovasse forme di rappresentanza libere da tutors politici in grado di porsi come interlocutori del governo e delle imprese.
Quale prezzo abbiano pagato milioni di lavoratori, soprattutto giovani, per questo prolungato ritardo, è ben conosciuto. Non è certo solo responsabilità della CGIL ma di tutti e tre i sindacati confederali se l’immagine del mondo del lavoro è stata falsata e ridotta solo all’universo del lavoro dipendente, a causa di questo letargo, non è solo responsabilità dei sindacati confederali ma dei governi degli ultimi venti anni se l’Italia si è riempita di forme di lavoro “atipiche” e “flessibili” che invece di garantire una piena occupazione ci hanno portato alla situazione catastrofica di oggi.
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domenica 5 maggio 2013
LUCIANO GALLINO: "CONTRO L'AUSTERITA' SERVE UN NEW DEAL EUROPEO"
Sarà perché al ministero del lavoro oggi c'è qualcuno che riesce a leggere i numeri della macroeconomia, come il presidente dell'Istat Enrico Giovannini, ma sembra che in Italia ci sia un governo che si è accorto che «siamo in recessione da un anno». La notizia non è certamente confortante, ma una tale schiettezza nel riconoscere fatti, universalmente noti alle famiglie impoverite o al 38,4% dei giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni, mancava dal 2008. Quando cioè la crisi è iniziata e sui colli romani folleggiava Silvio Berlusconi. Da allora, purtroppo, la capacità di fare un'analisi economica onesta non è migliorata.
«È troppo presto per trarre dei giudizi sul nuovo governo - afferma Luciano Gallino, l'autore di Finanzcapitalismo - ma mi ha colpito questa idea di riformare la riforma Fornero che dicono sia stata concepita per un periodo di crescita dell'economia e oggi, con la recessione, bisogna cambiarla perché presenta alcune rigidità che compromettono la ripresa dell'occupazione. Il problema è che eravamo in recessione anche dieci mesi fa, quando la riforma è stata approvata. Mi chiedo a questo punto che senso abbia avuto approvarla».
«È troppo presto per trarre dei giudizi sul nuovo governo - afferma Luciano Gallino, l'autore di Finanzcapitalismo - ma mi ha colpito questa idea di riformare la riforma Fornero che dicono sia stata concepita per un periodo di crescita dell'economia e oggi, con la recessione, bisogna cambiarla perché presenta alcune rigidità che compromettono la ripresa dell'occupazione. Il problema è che eravamo in recessione anche dieci mesi fa, quando la riforma è stata approvata. Mi chiedo a questo punto che senso abbia avuto approvarla».
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venerdì 3 maggio 2013
MARAZZI: «CONTRO IL ROMPICAPO DELL'AUSTERITA' VEDO SOLO UNA RIVOLTA SOCIALE»
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L'economista Christian Marazzi |
«Quando il governo italiano
sostiene di volere ricontrattare con la Commissione Europea può
anche volere posticipare, com'è stato fatto in Spagna o in
Portogallo, la riduzione del deficit di un paio d'anni - afferma
l'economista Christian Marazzi - Ma questo non significa
ricontrattare l'austerità, significa solo posticiparla
lasciando i problemi tali e quali. Non nego che Letta sia animato da
buone intenzioni quando dice di volere affrontare il problema degli
esodati, dell'esaurimento della cassa integrazione o parla di un
welfare più universale. Il problema è dove prenderà
i soldi. Soprattutto se le politiche di austerità resteranno
intatte».
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mercoledì 3 aprile 2013
FORNERO: CRONACHE DA UNA CONTRO-RIFORMA DEL LAVORO MAI NATA
"Nonostante abbia accettato di essere sottopagata, che i miei contratti non siano stati rispettati, abbia messo da parte la mia integrità morale, in Italia non ho comunque trovato lavoro, quindi sono andata a vivere decisamente lontano da casa e dall'Italia".Una giovane donna, laureata, in fuga dall'Italia, con la sua lucida fermezza racconta meglio il paese nello stallo di un post sul blog di Grillo, o di un troll partorito da "Siamo la gente, il potere ci temono", il profilo facebook dove si legge la più divertente parodia della "gente" al potere, o meglio al parlamento dove massima è l'illusione di radere al suolo la "casta".
E' stata raccolta dal Centro di ricerche sociale su lavoro e nuove forme di occupazione "Walk on job" dove emerge che il 12% degli 800 intervistati sarebbe disposto ad accettare l'abuso di un contratto atipico e il 2% sarebbe disposto a mettere da parte anche la sua integrità morale pur di accettare un lavoro. Una percentuale più alta è disponibile ad adottare l'estrema forma di protesta: l'auto-allontamento, che non ha nulla di eroico, e non è una "fuga dei cervelli", sebbene gli intervistati siano laureati. L'allontanamento è la serena consapevolezza di non potere intervenire su un sistema dove l'accesso al lavoro, ad una professione, e a un reddito dignitoso è difficilissimo. Si ricomincia altrove, sempre ammesso che questo sia possibile. Più importante è il gesto: mi dissocio dalla corruzione, dal vostro mondo, dove non è possibile cercare un'attività retribuita.
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lunedì 4 febbraio 2013
FAI ANCHE TU L'APPRENDISTA (STREGONE)! DAI, TE LO CHIEDE FIORELLO...
Piuttosto che fare l'impiegato un italiano su due tra i 18 e i 34 anni preferirebbe lavorare la terra e fare il contrario di suo padre. Zappare i campi è duro, ma è più sano del lavoro e della vita virtuale condotta dai laureati, dice la Coldiretti. La Confederazione nazionale degli artigiani (Cna) sostiene che il 37% dei piccoli imprenditori considera i laureati schizzinosi e un po' viziatelli, incapaci di adattarsi alle esigenze della piccola impresa. Lamentano il poco tempo dedicato alla formazione pratica (39,7%) e la carenza di occasioni di tirocinio (27,7%). La scuola non è in grado di trasmettere i valori materiali del mondo del lavoro. Non si dice quali, forse sono quelli della massima flessibilizzazione, dei salari ridotti e della sottomissione ai mille caporali e capetti.
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mercoledì 19 dicembre 2012
L'ESPERIENZA DELLA POVERTA' SECONDO L'ISTAT
Povertà sociale, economica e formativa. Sono alcune delle possibili declinazioni della privazione di esperienza, di benessere, e di futuro che sta vivendo l’Italia giunta ormai al quarto anno di crisi. Nell’annuario statistico dell’Istat emerge il ritratto (fotografato tra il 2010 e il 2011) del paese più vecchio al mondo, dove la mobilità sociale è un’utopia, la disoccupazione colpisce 1 milione di under 35, e il declino del lavoro dipendente si è fatto irreversibile, senza che nessuno abbia preso in seria considerazione la necessità di tutelare il lavoro intermittente, precario o autonomo. Al centro della crisi, l'esplosione della bolla formativa. Comprenderla, OGGI, significa scoprire che in questa povertà c'è un pieno di potenzialità. (CONTINUA A LEGGERE).
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Roberto Ciccarelli
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