Giuseppe Allegri
Abbiamo visto un capolavoro politico-lisergico. Vizio di Forma, il film di Paul T. Anderson, dal libro monumentale di Thomas Pynchon. Il Maggio 68 è una piccola parentesi di luce, un altro mondo che si mostra ora e qui. Provalo, lo vedrai fiorire sotto i tuoi piedi.
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Sotto il selciato, la spiaggia! Questa l'epigrafe di Inherent Vice il “vizio intrinseco”, Vizio di forma, nella traduzione italiana (di M. Bocchiola, Einaudi, 2011) dell'ennesimo, terzultimo, capolavoro di Thomas Pynchon, ora portato al cinema da Paul Thomas Anderson. È un evento atteso da sempre: la trasposizione cinematografica delle avvolgenti narrazioni pynchoniane, con la poesia cinematografica di P.T. Anderson. Un successo. E chissà come potrebbe andare se ci pensasse anche l’altro, geniale, Anderson: Wes!
Piccole parentesi di luce
È uno slogan del parigino joli mai '68, quello iniziale. Qui la spiaggia è quella di Gordita Beach, fantomatica cittadina californiana sulle sponde del Pacifico, in quello scorcio di estati degli anni Sessanta che lo stesso Pynchon definisce: “piccole parentesi di luce”, alla ricerca incessante di libertà, prima di cadere nelle tenebre fallimentari del finanz-capitalismo americano e globale che verrà. Così Paul Thomas Anderson, dopo averci narrato le origini del capitalismo “proto-estrattivo” con Il Petroliere, giunge al trip distopico del casinò capitalism degli speculatori di tutte le rendite di posizione possibili. Mentre per Thomas Pynchon è un fantasmagorico ritorno nei pressi di Vineland, altra sua mappa immaginifica e opera nella quale già narrava esistenze resistenti al fallimento dei Sessanta, visto a metà dei reaganiani (e thatcheriani) anni Ottanta.
Perché per i libertari statunitensi gli anni Sessanta sono il multicolor della fratellanza solidale, non il bianco e nero che arriva agli anni Dieci del Duemila, come qui da noi, tra eredi di inutili “militonti” e loden grigi, tutti nell’arca del buon governo centrista.
Vizio di forma è un altamente ironico noir destrutturato, sospeso sui mille piani di una scrittura visionaria, che nel film diventa dilatata poesia visiva: una solitaria traversata popolata da irriducibili e sconclusionate singolari moltitudini nella lotta dell'amore contro l’avarizia e le paure dei micro-fascismi quotidiani. Accompagnate dalla musica di un altro talento, Jonny Greenwood, autore di colonne sonore (The Master), ma noto soprattutto per essere il chitarrista dei Radiohead, mattatore di quel memorabile inno senza tempo alla inadeguatezza esistenziale che è Creep (1992, con la sua chitarra lancinante mentre Thom Yorke urla il suo essere weirdo: You're so fucking special/I wish I was special/But I'm a creep/I'm a weirdo/What the hell I'm doing here?/I don't belong here).
Nel Vizio di forma siamo nella brevissima e lisergica summer of love, quando tutto poteva ancora succedere, e in effetti molto succedeva, mentre le “settarie” paranoie mansionane (nel senso di Charles Manson) prendevano piede e il California dreaming veniva spezzato, represso e sepolto. Tra flessuose e incantevoli bionde, nelle maglie del tenente detective “rinascimentale” Bigfoot (un perfetto Josh Brolin), con la quotidiana presenza di Petunia, assistente del Dottor Buddy Tubeside, somministratore di vitamina B12, “un eufemismo per indicare il mix di anfetamine specialità del medico”, si aggira l'eroe dissipatore ed erratico, investigatore privato, freelance delle occasioni perse, Doc Larry Sportello (uno stonatissimo, superbo, Joaquin Phoenix in versione Dude Lebowski al rallentatore degli anni Sessanta, con basettoni chilometrici e postura che evoca John Belushi in panama e ciabatte), alter ego del nostro amatissimo, folle, da sempre recluso e invisibile, Thomas Pynchon e dei suoi anni Sessanta, vissuti a Manhattan Beach (una reale Gordita Beach), scrivendo Gravity's Rainbow, l'Opera del Novecento.
Doc ha il suo ufficio di investigazioni "LSD INDAGINI" - Localizzazione, Sorveglianza, Discrezione - dal quale si diparte, con una zanna (fang) di ottima erba sempre pronta all'accensione e all'aspirazione in una sognante ricerca di distorte tracce delle mille realtà parallele e freakettone che attraversavano la costa californiana in quegli anni. Ci accompagna in questo lento e avvolgente peregrinare Sortilège (voce e viso da favola di Joanna Newsom, precoce arpista e folksinger di culto, originaria di Nevada City), ex impiegata di Doc, voce narrante del film e interprete delle magiche affabulazioni di Thomas Pynchon.
E tutto parte da un'altra ex, in questo caso fidanzata di Doc: Shasta (Katerine Waterston) che dai party in spiaggia ha tentato l'andata e ritorno da Hollywood e diventa l'innesco per la discesa in iperrealistici omicidi dei quali viene ingiustamente incolpato lo stesso Doc. E allora ecco l'amico avvocato Sauncho Smilax (un poco valorizzato Benicio Del Toro) esperto in diritto marittimo e teorico del vizio intrinseco: un peccato originale? Domanda il Doc di Pynchon. “È quello che non puoi evitare – disse Sauncho – qualcosa che le polizze marittime non vorrebbero coprire. Di solito riguarda il carico – per esempio le uova che si rompono...ma qualche volta è anche il natante che le trasporta. Come quando bisogna pompare le sentine”. E il vizio intrinseco si trasmette alla trama delle nostre esistenze.
Capitalismo depressivo
Così l’inizialmente orribile e disperso Mickey Wolfmann (Eric Roberts), un ebreo che si circonda di nazisti, fidanzato scomparso di Shasta e palazzinaro multimiliardario, si trasforma in un flippato edificatore di case da regalare, anche agli sconclusionati hippies californiani. E allora verrà rapito, messo sotto tutela, prima che possa attuare il suo piano sovversivo di costruire e regalare abitazioni. E Pynchon scriveva queste cose nel 2007-2008, piantato nella bolla immobiliare dei mutui subprime che ancora produce Depressione, in giro per il mondo. Diritto alla casa, contro la speculazione edilizia e finanziaria.
Ma certo che le depressioni e i deliri psichici, insieme a una montagna di sorrisi e vere e proprie risate, attraversa l’intera “visione” di Vizio di forma, tra surfisti che vivono solo in spiaggia, “malinconie infantili”, rocker rinchiusi in affollate Comuni, dentisti cocainomani, militanti Black Panthers, mistici, sassofonisti morti viventi e infiltrati nei movimenti sociali (il solito, grande Owen Wilson, un Coy alla ricerca del suo amore familiare), odiosi nazisti della Fratellanza Ariana e fascisti per la libertà, spacciatori e una costante nube di profumatissima erba che accompagna questa caleidoscopica Odissea californiana delle forze dell'amore. Eppure “gli investigatori privati dovrebbero stare alla larga dalla droga, tutti quegli universi alternativi non fanno che complicare un bel po' il lavoro”.
Altri mondi possibili, qui e ora
Così Pynchon ci regala pagine spettacolari, che Paul Thomas Anderson riverbera sullo schermo, dilatandole e amplificandole: qualche sosia di Gesù Cristo, nel libro personale consulente surfistico; oscure allusioni al diritto marittimo, tra vizio intrinseco e la misteriosa Golden Fang, la zanna d'oro, una nave che non attracca mai. Quindi i ricoveri volontari e coatti a Chryskylodon, “lo sguardo aperto e scintillante di Japonica (Sasha Pieterse), che non si limitava in quel momento semplicemente a pensare ad altri mondi, ma li stava effettivamente attraversando”…
La stessa Japonica in lotta contro suo padre e ostaggio del dentista cocainomane Rudy Blatnoyd (un esilarante Martin Short). Eppoi la presenza pervasiva di John Garfield (nel film declinato in altro nome), attore perseguitato perché accusato di filocomunismo sul finire degli anni Quaranta e morto in solitudine roso dall'alcool. Larry Vincent il “Seymour” caratterista di film horror, una delirante apparizione del Padre Fondatore Thomas Jefferson mentre ricorda che “l'albero della Libertà di quando in quando va irrorato col sangue de' patrioti e de' tiranni” (purtroppo tagliata nel film), il pessimo, invasato, Richard Nixon e molto, molto altro ancora.
E sul finire, anche noi, come Doc guidiamo avvolti nella nebbia, in compagnia della nostra Shasta, spingendoci sempre più avanti, sperando che si diradi quella nebbia, o piuttosto quel fumo. Pronti ad “aspettare qualunque cosa potesse succedere”. Con la cupa certezza che le parole di Crocker Fenaway (Martin Donovan), padre della ribelle Japonica e soprattutto Principe Oscuro di Palos Verdes, avvocato rappresentante della temibile Golden Fang, prototipo del capitalismo di tutte le epoche, da sempre speculatore malavitoso:
“Questo è il posto. Siamo sul posto da sempre. Guardati intorno. Terreni edificabili, acqua, petrolio, manovalanza a basso costo — tutto questo è nostro, è sempre stato nostro. E tu, alla fine cosa sei tu? Un altro pezzo in questo sciame di pendolari che vanno e vengono senza pausa nella assolata Southland, felici di farsi comprare con un auto di un certo tipo, modello e anno, una bionda in bikini, trenta secondi con un pretesto per un’onda e un hot dog al chili, per l’amor del cielo”. Scrolla le spalle. “Gente come te non finirà mai di esistere. La provvista è inesauribile”.
Miliardi di schiavi. Da sempre.
Eppure Thomas Pynchon e Paul Thomas Anderson ci indicano che dobbiamo insistere: condividere mondi paralleli di buona vita, nelle maglie distopiche del presente. Con ironia e stile, contro tutti gli ottusi che quotidianamente ci perseguitano, a fianco dei ribelli più comici e strampalati. Per far diradare la nebbia. Rileggendo Thomas Pynchon. Vedendo il cinema di Paul T. Anderson. Dalla parte di quel Doc Larry Sportello che noi tutti in parte siamo. Per aprire nuove, piccole, parentesi di luce. Ostinatamente e silenziosamente.
“Aspettare qualunque cosa potesse succedere”.
“Che la nebbia si sciogliesse e che al suo posto, stavolta, ci fosse qualcos'altro”.
PS autoreferenziale:
Chissà cosa penseranno di questa liaison Pynchon/P.T. Anderson i nostri fratelli, esaltati lettori del primo e non sappiamo quanto appassionati del secondo: Captain Blicero e Nero Blicero, oramai disperso negli invisibili arcobaleni della gravità reticolare.
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