Il Console
Una serata che riconcilia con quel Teatro capace di sfidare i classici. Michele Santerano e Veronica Cruciani si misurano nella (ri-)scrittura e nella regia di tutto quello che accade prima dell'Amleto scespiriano, a quattrocento anni dalla morte dell'inarrivabile Bardo. È un testo formidabile e una messa in scena coinvolgente e commovente. Che dà la parola allo Spettro, prima che diventi tale.
Divenire saggiamente folli
Siamo dentro una sorta di cuneo nel palcoscenico, bunker grigio di cemento armato, con rumori in lontananza, attraversato da feritoie, porte aperte e chiuse, fasci di luci ed ombre che incorniciano i protagonisti, evocando atmosfere espressionistiche, simbolismi senza tempo, e l'eterna attualità del potere, delle sue follie e dei suoi fallimenti: relazionali, familiari, parentali, politici, istituzionali. Al centro il Re Amleto, colpito da una stupidità e dimenticanza che può avere il nome di Alzheimer, ma che a noi fa pensare a quel motto da burla permanente del nostro amato Thomas Bernhard in Estinzione, nel dichiarare che dopo i quarant'anni si dovrebbe essere proclamati vecchi pazzi, buffoni, liberi e indipendenti.
E il registro narrativo tra lo smemorato Amleto e sua moglie Gertrude, il titubante fratello Claudio e l'ammiccante consigliere Polonio, con gli intermezzi disperati del giovane Amleto, è giocato su molteplici piani, tutti sapientemente miscelati dalla regia di Veronica Cruciani: grottesco e poesia, amore e sete di potere, odio e ironia, sarcasmo e spleen, cialtroneria e lucida follia, tragedia e commedia. Potrebbe essere un trattato intorno al potere e alle sue relazioni questa profonda messa in scena, a partire dalla famiglia e da quello che non siamo sicuri vorremmo accadesse nell'Amleto di Shakespeare: avvelenamenti, assassinii, vendette, suicidi... E le domande insistenti e ripetitive di Amleto, troppo spesso senza risposta, soprattutto rivolte all'amato figlio: “ti ho insegnato che il silenzio e il comando sono alleati?” Quindi la promessa di “nessuna vendetta, mai”, quando si è già sospesi sulla morte: “lasciala recitare a loro questa commedia del potere”. “Tutto va come deve andare!”
Amleto ci pare un saggiamente svampito sovrano, novello Bartleby, profeta di un sempre inattuale I Would Prefer Not to: un “avrei preferenza di no” trasmesso come lascito testamentario alla propria discendenza, dopo che la sua esistenza da monarca è stata costellata dalla sciagura della decisione sulle vite altrui, per il potere e il comando. Perché, come il Bartleby di Deleuze, il Re Amleto ritenuto “malato” è in realtà l'unico possibile “medico” della malattia del potere. Un memento che è contemporaneamente romanzo di formazione delle generazioni a venire e lucida, visionaria, testimonianza di quelle passate. Che si incrociano, con magia, sul palco del teatro.
Una affollata solitudine
E in questa ora e un quarto che fugge una grande prova, singolare e collettiva, di recitazione. Un Massimo Foschi da applausi a scena aperta, perfetto nell'ebetudine, ironica e malinconica, del potente sovrano perso nella sua smemoratezza, anche di artista condannato a replicare se stesso e quindi a giocare con i cliché del teatro, per sfuggire agli stereotipi e ai luoghi comuni. La splendida Manuela Mandracchia che probabilmente si misura con la più complicata performance di mutamento di registri: amorevole e rabbiosa consorte, madre contro-natura, tendenziosa amante del sovrano che verrà, fondamentalmente sperduta nella sua solitudine di donna con infinite responsabilità.
L'interdetto Michele Sinisi sembra annunciare un grande futuro, nell'Amleto a venire, e nel suo teatro, che riscatta la delusione da noi avuta vedendolo solo qualche mese fa al Teatro India in un testo che pure tanto ci aveva fatto sperare, sempre di Michele Santerano: Scene di interni dopo il disgregamento dell'Unione europea. Gianni D'addario compiacente Polonio che spinge furbescamente sul registro del comico. Quindi Matteo Sintucci, giovane Amleto che avremmo voluto meno iroso e lamentoso e più “indolente e torpido delle alghe che marciscono sulle rive del Lete” come dal dialogo con lo Spettro splendidamente tradotto da Cesare Garboli, per l'Amleto di Carlo Cecchi. E la virtuosa regia di Veronica Cruciani a dirigere il tutto, attrice e regista che seguiamo da tempo e da qualche tempo anche direttrice artistica del Teatro Biblioteca Quarticciolo.
Si esce entusiasti e pronti a replicare la visione di questo teatro vivo, potente, furioso, appassionato che Michele Santerano e Veronica Cruciani ci hanno donato, stasera. Con l'augurio che intanto il testo venga pubblicato per regalarci la gioia di una sua lettura, con gli adeguati tempi lenti, sicuri che non sfigurerà accanto a quello che viene dopo, nel classico scespiriano.
Forse non “è tutto finito!”.
Preamleto
di Michele Santerano
Regia di Veronica Cruciani
@ Teatro Argentina, Roma, fino al 10 aprile
con:
Massimo Foschi (Re Amleto), Manuela Mandracchia (Gertrude, sua moglie), Michele Sinisi (Claudio, suo fratello), Gianni D'addario (Polonio, suo consigliere), Matteo Sintucci (Amleto, figlio del Re).
Scene e costumi: Barbara Bessi
Luci: Gianni Staropoli
Musiche: Paolo Coletta
Produzione: Teatro di Roma
Nessun commento:
Posta un commento