martedì 7 giugno 2016

5 MILIONI DI LAVORATORI AUTONOMI SENZA TUTELE: COSA FA IL PARLAMENTO?



Giuseppe Allegri

Annunciato, e poi sotterrato, si torna a parlare del "Jobs Act delle partite Iva". Una modesta proposta di tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale in chiaroscuro. Il 13 giugno è la scandenza della presentazione degli emendamenti al Senato, poi il testo passerà alla Camera. Cosa fare per le tutele e le garanzie del lavoro indipendente, il lavoro digitale e la sharing economy in Italia 

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Le proposte governative per una nuova idea di impresa e lavoro
Dallo scorso febbraio giace in sede referente presso la Commissione Lavoro e Previdenza sociale del Senato della Repubblica il Disegno di Legge (DdL) di iniziativa governativa collegato alla Legge di Stabilità e titolato Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.

Il Relatore è il Senatore Maurizio Sacconi che si è fatto promotore anche di un altro DdL, collegato al precedente ed esaminato congiuntamente, Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale (A.S. 2229), costituito da 7 articoli e numerosi commi, tramite i quali si aspira a dare una «adeguata cornice legale entro cui ricondurre una nuova idea di lavoro e impresa che via via emerge con la diffusione della fabbrica digitale, della economia della condivisione e di quei “sistemi intelligenti” tra di loro connessi» (come riportato dalla Relazione di accompagnamento all'articolato del Disegno di legge).

Proprio in questi giorni è stato comunicato il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti, che è fissato per lunedì 13 giugno. Qui è possibile seguire l'iter legis del DdL AS 2233 monitorato dal sito Open Parlamento.

Lavoro autonomo di seconda e terza generazione
È evidente che il Governo prova a tenere insieme due profili, tra loro effettivamente connessi nelle trasformazioni del lavoro e dei sistemi di produzione.

Da un lato il tentativo di introdurre per la prima volta nel Belpaese una normativa garantistica sul lavoro autonomo e indipendente non imprenditoriale, alla luce anche delle considerazioni contenute nell'analisi tecnico-normativa del Governo, che accompagna il DdL AS 2233, dove si nota che «in questi anni le forme autonome di lavoro hanno fortemente subìto le conseguenze della crisi economica, costituendo il corpo sociale che più consistentemente è scivolato verso il rischio della povertà e dell'esclusione sociale».

Impoverimento che sembra riguardare tutte le forme del lavoro indipendente e autonomo: dalle tradizionali professioni liberali (avvocati, medici, architetti, ingegneri, etc.), un tempo ritenute in grado di “acquistare” i propri diritti nel mercato, alle nuove professioni nel post-fordismo all'italiana di lavoratori e lavoratrici autonomi di seconda generazione (S. Bologna, A. Fumagalli, Il lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del postfordismo in Italia, Feltrinelli, Milano, 1997) e terza generazione (A. Fumagalli, Le trasformazioni del lavoro autonomo tra crisi e precarietà: il lavoro autonomo di III generazione, in Quaderni di ricerca sull'artigianato, 2/2015, 227-256).

Rivoluzione digitale nella on-demand economy
Dall'altro la consapevolezza che l'arrembante quarta rivoluzione industriale, quella digitale, delle piattaforme tecnologiche e digitali, quindi della robotica, impone un ripensamento delle forme del lavoro e del fare impresa. A partire dal cosiddetto lavoro agile (Smart Working) su quelle stesse piattaforme digitali, che succede al “telelavoro”, ambedue già regolati da specifiche contrattazioni nelle grandi imprese per quanto riguarda il lavoro subordinato, per entrare in quel vasto ambito comunemente definito “on-demand economy” nella “digital economy” delle App tecnologiche e del lavoro a chiamata (platform-based on-call work) rispetto al quale si interrogano anche i sindacati europei (G. Valenduc, P. Vendramin, Work in the digital economy: sorting the old from the new).

Seppure continui a serpeggiare l'icastica domanda posta qualche mese fa da Laura Gardiner su The Economist (23 ottobre 2015): Does the gig economy revolutionise the world of work or is a storm in a teacup? Per “gig economy”, soprattutto nel dibattito anglosassone, si intende quell'economia in cui il lavoratore è sempre pronto alla chiamata per piccole prestazioni connesse ad App tecnologiche utilizzabili anche da smartphone: che sia l'affitto di stanze nella propria abitazione (con l'App Airbnb) o il servizio di accompagnamento in macchina (con l'App Uber).

E così diviene sempre più difficile per le politiche pubbliche inquadrare giuridicamente queste forme del lavoro e trovare un modo univoco per bilanciare libertà e sicurezza, autodeterminazione individuale e tutele sociali, autonomia e garanzie, accesso ai diritti sociali e doveri solidaristici, secondo una lettura integrata degli articoli 2 e 3 della Costituzione repubblicana, nel bilanciamento tra personalismo, pluralismo, diritti, doveri ed eguaglianza formale e sostanziale.

Quali protezioni sociali oltre la società salariale?
La doppia iniziativa governativa sembra rendersi conto di queste epocali trasformazioni, solo sinteticamente enunciate, e potrebbe diventare un'occasione per ripensare le garanzie sociali dinanzi al mutamento della società salariale tipica del secondo Novecento.

È questo forse il principale interrogativo che aleggia dietro le iniziative legislative governative: quali tutele, garanzie e promozioni sociali per i soggetti che già da decenni vivono al di fuori delle protezioni lavoristiche del tradizionale Welfare occupazionale italiano in quella condizione che, con Roberto Ciccarelli, abbiamo chiamato quinto stato di esclusi da una concreta cittadinanza sociale?


Quale platea tra i lavoratori autonomi?
Innanzi tutto: quale sarà l'effettiva platea dei soggetti destinatari di questo intervento normativo, soprattutto riguardo alle tutele sociali? Solamente i liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata INPS, che secondo i calcoli della Cgia di Mestre sembrerebbero essere poco più di 220mila? D'altra parte è lo stesso Governo, nell'analisi tecnico-normativa che accompagna il DdL, a ricordare che secondo il “Rapporto 2015 sulla situazione del Paese” l'ISTAT quantifica in circa 5,5 milioni i lavoratori autonomi («circa un quarto degli occupati in Italia sono autonomi»).

Negli intenti del Governo sembra trasparire una comprensibile necessità di tutela del lavoro autonomo generalmente inteso, ben sapendo la frammentazione e differenziazione di questo ampio segmento di lavori e attività, che va dalla maggiore dipendenza economica e minore autonomia delle collaborazioni coordinate e continuative (dopo l'abrogazione di quelle “a progetto”; cfr. G. Allegri, G. Bronzini, Libertà e lavoro dopo il Jobs Act, DeriveApprodi, 2015), al freelance di più o meno nuova generazione, alle prestazioni intellettuali di professionisti iscritti ad albi e ordini professionali, fino ai piccolissimi imprenditori del “capitalismo personale” di nuova generazione (nelle comunicazioni e nuove tecnologie, ad esempio) e vecchia generazione (il tradizionale commerciante), tornando a quella forbice che si apre oltre 5 milioni di persone.

Questo è il fronte di una possibile ampia innovazione normativa che, tenendo conto delle differenziazioni tra le forme del lavoro autonomo e indipendente, con l'aumento di insicurezza sociale e precarietà dei redditi, permetterebbe anche di ripensare la Gestione Separata INPS e quindi il mondo delle Casse professionali, per evitare divari e diseguaglianze come in parte sostiene anche Adepp, l'associazione che rappresenta 19 enti previdenziali privati.


Estensione di prime tutele sociali
Sul versante delle previste garanzie di tipo welfaristico, come la tutela della gravidanza, l'indennità di maternità, i congedi parentali, la malattia anche di lunga durata e l'infortunio, quindi tutela di salute e sicurezza, si tratta di essere ancora ulteriormente inclusivi, nel senso di prevedere questo nucleo duro di garanzie nella prestazione lavorativa a fianco di quei primi strumenti garantistici “nel mercato”, come nel caso della deducibilità delle spese di formazione, accesso alle politiche attive e loro valorizzazione nell'ottica di una formazione permanente e di servizi personalizzati in favore di lavoratrici e lavoratori autonomi.

Perché è necessario contribuire a definire un primo anello di garanzie sociali nel rapporto di lavoro e nel mercato per la promozione del lavoro autonomo e indipendente, in questo caso inteso nel senso più vasto possibile e con assicurazioni sociali universalistiche, che permettano di ripensare l'intero sistema previdenziale e, soprattutto, le forme di inclusione sociale e di sostegno al reddito. Perché, come nota Stefano Giubboni, c'è un'eccessiva «debolezza delle previsioni sulle tutele di carattere previdenziale» e più in generale manca la consapevolezza di una urgente «questione del riequilibrio e dell’adeguatezza della protezione sociale, in particolare per i lavoratori autonomi di nuova generazione e per gli iscritti alla gestione separata dell’INPS».

Sostegni e garanzie per il reddito: per una nuova cittadinanza sociale
Proprio in questo ambito il DdL governativo è del tutto sprovvisto di visione innovativa. Ma la previsione di strumenti universalistici di un reddito minimo garantito è il nervo scoperto del sistema di Welfare italiano, rispetto all'intero contesto continentale e riguarda la necessità di dare una lettura evolutiva ed inclusiva del dettato costituzionale.

Così proprio l'apertura di una discussione parlamentare su tutele e garanzie sociali, a partire da un primo “statuto del lavoro autonomo e indipendente” dovrebbe dare definitivamente applicazione al dettato dell'art. 35 Cost. – “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” – letto con i primi 4 articoli della stessa Costituzione, (soprattutto agli articoli 1 e 3), dove per “lavoratore” si intende chiunque, in qualunque modo, a qualunque titolo, partecipi alla promozione dell'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (C. Tripodina, Il diritto a un'esistenza libera e dignitosa: Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, Giappichelli, 2013, p. 98).

È la necessità ineludibile di pensare un Welfare universalistico nelle trasformazioni dei sistemi di produzione (economia digitale e non solo) e di forme dei molteplici lavori, che riguarda il necessario aggiornamento di una cittadinanza sociale all'altezza dei tempi. A partire proprio dalla previsione di un reddito di base inteso come ius existentiae.

Adeguatezza ed equità del compenso
Riguardo al profilo della retribuzione, nel rapporto con la committenza, manca del tutto la previsione di una qualche forma di adeguatezza del compenso aspetto sempre più urgente nel generale impoverimento delle commesse e che, come nota Adalberto Perulli (Le tutele del lavoro autonomo nel DDL collegato alla legge di stabilità: una prima riflessione, 5 novembre 2015) potrebbe trovare un appiglio normativo in «quanto previsto dall’art.1, co. 7, lett. g, della legge delega n. 183/2014, relativamente all’estensione del salario minimo legale alle collaborazioni autonome», quindi almeno per quanto riguarda le figure del collaboratore economicamente dipendente, a volte in regime di monocommittenza.

Questi sono solo alcuni dei principali punti (ai quali va aggiunto sicuramente lo spazio di dimensione collettiva di diritti comuni e regolazione sociale del lavoro autonomo) dai quali partire per rendere il dibattito parlamentare e l'iter legis più aperto alle esigenze di inclusione sociale e promozione sistemica del lavoro autonomo e indipendente di tutte le generazioni e soprattutto dei soggetti, spesso indeboliti, che si muovono intorno a queste forme di molteplici lavori e attività.

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