Per il ministro della Salute Ferruccio Fazio la "fuga dei cervelli" non esiste. E ha ragione. Ma lo dice per cancellare la liquidazione dell’università e della ricerca in Italia.
Roberto Ciccarelli
La fuga dei cervelli? In italia non esiste. Parola del ministro della Salute Ferruccio Fazio ieri a Cernobbio, nel corso della seconda conferenza sulla ricerca sanitaria.
«Non è un'emorragia di intelligenze italiane – ha detto il ministro - ma si tratta delle normale mobilità nell'ambito della ricerca, che ha caratteristiche diverse da quelle di altri lavori, come i metalmeccanici, che non prevedono mobilità».
Abituati da anni di disinformazione governativa sulla ricerca questa uscita potrebbe suonare falsa, dopo anni spesi a dimostrare il contrario. Dall'Italia, per colpa della riforma Gelmini, i ricercatori – in particolare i medici, i fisici e gli informatici – fuggono per trovare l'eden all'estero. È così, ma anche no. Stupirà infatti sapere che su questo punto il ministro Fazio ha ragione.
Nel 2010 un’indagine commissionata dalla Fondazione Lilly e dalla Fondazione Cariplo aveva quantificato la perdita in quasi 4 miliardi di euro. Il dato è stato ricavato dai profitti accumulati in vent’anni dalle 356 domande di brevetti depositate da ricercatori italiani emigrati. A supporto della tesi sono stati citati i dati del rapporto Almalaurea del 2010 secondo i quali i laureati specialistici biennali che lavorano all’estero a un anno dal titolo sono il 4,5% (erano il 3% nel 2009). Il 29,5% provengono dalla facoltà di ingegneria e solo il 12% dal settore politico-sociale. Un neolaureato italiano all’estero guadagna 1568 euro, mentre nel paese d’origine 1054 euro.
Pur così circostanziati, questi dati rivelano un fenomeno assolutamente minoritario e per di più impossibile da quantificare con certezza poiché i registri dell’Aire, l´anagrafe della popolazione italiana residente all´estero, riporta un aumento dei residenti all’estero (da 2.842.450 a 3.443.768 nel 2004), ma non fornisce i dati disaggregati per titoli di studio. Il censimento dell’Istat del 2001 aveva rivelato che i laureati in fuga tra il 1996 e il 2000 erano 2700 all’anno. Una quantità che potrà essere senz’altro aumentata nel frattempo, soprattutto nella ricerca medica che per sua natura è internazionalizzata e conta su canali di comunicazione privilegiati rispetto ad altre discipline, in particolare quelle umanistiche.
Il tentativo di Fazio è tuttavia maldestro perché vuole negare l'esistenza del precariato tra i ricercatori italiani.
Questo significa una sola cosa: il suo governo ha deciso di eliminare almeno 30 mila precari della ricerca (ma forse sono di più), età media 35 anni. Di loro il ministro non parla, preferendo invece parlare dei “ragazzi”, avvertendoli di cambiare mestiere.
Il tentativo di Fazio è tuttavia maldestro perché vuole negare l'esistenza del precariato tra i ricercatori italiani.
“È figlio – ha detto il ministro - di promesse mancate, fatte ai ricercatori, di ruoli che non c'erano”. Ma l'età media di un ricercatore è di 7 anni, è una professione che non si può fare per tutta la vita”.
Questo significa una sola cosa: il suo governo ha deciso di eliminare almeno 30 mila precari della ricerca (ma forse sono di più), età media 35 anni. Di loro il ministro non parla, preferendo invece parlare dei “ragazzi”, avvertendoli di cambiare mestiere.
Anche nelle sue ultime settimane di vita, il governo Berlusconi si ostina a nascondere la realtà più dolente: l'avere cioè deciso di accelerare il processo di de-alfabetizzazione dell'intera popolazione che vanta anche un altro primato: essere l'ultima tra i paesi Ocse nel numero di laureati. Ciò che in fondo esso vuole negare è la crisi provocata dal taglio di 1,3 miliardi al fondo di finanziamento degli atenei e dal progetto di diminuire gli investimenti in ricerca e sviluppo dall'attuale 4,2% sul Pil al 3,2% del 2030. LItalia, con il suo 2,4% investe solo in ricerca al di sotto del 4,9% della media Ocse.
Quella in atto non è né un'emorragia né un dato fisiologico. Rispetto alle poche migliaia di ricercatori che partono, esistono centinaia di migliaia che restano e sopravvivono nelle reti del lavoro precario. Allo stesso tempo, migliaia di ricercatori fuggono (e non sono solo medici), perché in Italia non esistono le condizioni minime dal punto di vista remunerativo e scientifico per garantire una carriera dignitosa. Per comprendere questo doppio fenomeno, la formula del “brain drain”, cioè la “fuga dei cervelli” in inglese, è inadeguata. Usarla non basta per cancellare il sospetto che la “fuga dei cervelli” sia ormai diventato lo strumento per cancellare la liquidazione dell’università e della ricerca in Italia.
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