Che cosa ci fanno insieme figure così diverse tra loro, i freelance - che lavorano esclusivamente con la partita Iva - e i cosiddetti «parasubordinati» - che un contratto di lavoro ce l’hanno, ma a termine - nella stessa cassa previdenziale? Per chi non lo sapesse, la gestione separata è la gallina dalle uova d’oro dell’Inps. Secondo un precedente rapporto dell’Osservatorio, curato sempre da Patrizio Di Nicola, gli indipendenti versano all’Inps circa 7 miliardi di euro all’anno, senza ricevere alcun tipo di tutela sociale. In compenso, questi soldi (da moltiplicare per 17, tanti sono gli anni di esistenza della gestione separata) finanziano altre casse previdenziali in deficit.
Ciò è potuto accadere perché il lavoro indipendente è sempre stato ritenuto come un fenomeno transitorio, fatto di «precari» giovani che avrebbero trovato un lavoro «stabile». I dati dell’Osservatorio oggi lo smentiscono questa credenza. Parliamo di persone (sono donne il 42% dei parasubordinati, il 50% tra chi lavora solo con la partita Iva) che hanno scelto di essere “indipendenti” oppure, anche a causa della crisi, hanno dovuto accettare una nuova condizione.
Questi indipendenti iscritti alla gestione separata Inps - scrive Andrea Dili, dell'associazione XX maggio - si accollano l'intero costo dei propri contributi previdenziali e assistenziali a fronte del quale godono di diritti e prestazioni fortemente limitati, soprattutto se confrontati con quelli dei dipendenti. Il continuo incremento dell'aliquota della gestione separata - passata dal 10% del 1997 al 27,72% di oggi - si è tradotto in un forte decremento del reddito disponibile delle partite iva: se nel 1996 un compenso lordo di 1.000 euro al mese equivaleva a un redito disponibile di circa 750 euro, oggi ne rimangono in tasca meno di 550. Situazione che evidentemente rischia di mettere le persone di fronte alla drammatica scelta tra mancata sopravvivenza e uscita dalla legalità.
Sono quasi 1,8 milioni: senza tutele, con un reddito di povertà che non gli permetterà di percepire una pensione dignitosa al termine della loro «carriera». Questo è lo stesso destino riservato a chi, pur non essendo «indipendente», è un precario legato alla pubblica amministrazione oppure ad ordini professionale. Parliamo di milioni di persone. Questa è la condizione del lavoro (e del non lavoro) del futuro.
Considerata la «proletarizzazione» crescente tra gli indipendenti, e sensibilizzato dall’appello delle maggiori organizzazioni del lavoro professionale e autonomo contro l’aumento dell’aliquota della gestione separata (Colap, Agenquadri, Consulta del lavoro professionale Cgil, Alta partecipazione e Confprofessioni e di Acta con la campagna "Dica No 33" che ha raccolto 15 mila firme), anche per il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), è giunto il momento di fare qualcosa. Chiede di sospendere con la legge di Stabilità l'aumento per il 2014 delle contribuzioni pensionistiche dal 27 al 33% «per le partite Iva non fittizie», e «un anno di tempo per aprire un tavolo di confronto e affrontare in modo organico e strutturale il problema».
Questo pronunciamento contro l'aumento dell'aliquota Inps, e per la riforma della riforma Fornero, segue all'impegno del vice-ministro all'Economia Stefano Fassina che in un'intervista si è impegnato a trovare i 30 milioni di euro necessari per bloccare l'aumento nel 2014 e avviare la revisione della norma contestata. Sono segnali positivi, in attesa di un risultato, In ogni caso, la battaglia contro la riforma Fornero potrebbe essere un primo passo per iniziare a parlare di tutele sociali per tutto il lavoro indipendente, riconoscendone la nuova condizione.
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E il bello che capita anche di finire in mezzo agli accertamenti del cosiddetto redditometro, venendo trattato e vessato manco fossi uno dei furbetti del quartierino.
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