venerdì 17 agosto 2012

ITALIA 2035: EXIT



A molti anni di distanza dai moti del maggio 2035, dopo le stragi e l'oblio che seguirono, siamo venuti in possesso dell'ultimo scritto prodotto in Italia, una repubblica meritocratica fondata sui lavori servili. Dopo l'assassinio del ministro dell'Istruzione, il fondatore del sistema che avrebbe dovuto premiare i meriti secondo la giusta e democratica ripartizione dei valori individuali, il governo abolì per decreto la trasmissione scritta della cultura. Esigenze di sicurezza, si disse. Quello che abbiamo raccolto in maniera clandestina, e a nostro rischio e pericolo, è un testo che racconta poco o nulla della rivolta, ma molto della diserzione degli eserciti di ventura che avevano raccolto nelle loro fila i lavoratori domestici e quelli servili. Ciò che oggi sappiamo è che milioni di persone si recarono sulle coste a sud del paese, costruirono delle zattere, partirono per una destinazione ignota, in mezzo al Mediterraneo. La traversata costò vittime e tragedie. Sembra che i discendenti di quell'esercito vivano in un paese che non ha ancora un nome. E che non vuole averlo.



"Siamo mercenari pronti a rispondere all'appello del soldo. Siamo lavoratori indipendenti, freelancer, lance libere, spade in affitto. Siamo mercenari, segugi dell'ineffabile, vedette del nulla, alla ricerca della modalità più conveniente per vivere e lavorare. Abbiamo formato eserciti di ventura, coalizioni flessibili, contrabbandiamo una partita di commesse, l'assalto a un vagone di meriti da rivendere sul mercato nero, lo spaccio minuto di identità lavorative o di contributi figurativi, la speculazione su un fondo pensione di Tokyo, Londra o Nairobi".

Tra le carte, biglietti, pizzini, strisce di cuoio incise con aghi roventi durante le tempeste di acqua e sabbia, lì dove partì l'esodo dei servi dall'Italia, abbiamo ritrovato il giuramento dei soldati di ventura. L'avere lasciato ai loro eserciti alla ricerca del merito la possibilità di scorrazzare liberi e impuniti nelle nostre città è stata la principale causa dei disordini. Avere voluto governare questa moltitudine senza assicurarle una sicurezza universale è stata un'assurda pretesa. Non avevano alcun merito, passavano la vita a procacciarsene almeno uno, e per questo erano loro i principali nemici dell'ordine meritocratico. Avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di ottenerne uno. Proprio loro che dovevano vivere di meriti e hanno imparato a dimenticarli.

Dopo avere messo le proprie competenze e abilità mentali o manuali al servizio di tutti e di nessuno, quella nazione di mercenari imparò a vivere sfruttando le leggi del contado, non importa se in Italia o altrove. Dicevano che il mercenario è sempre uno straniero, ma è anche quello che si trova a proprio agio nel mondo. Loro sono sempre in guerra perché lavorano, stipulano contratti e poi li bruciano, ricevono il soldo e lo spendono senza ritegno, e in allegria. A differenza della piccola e grande nobiltà di Stato, quella che ha ottenuto i titoli e i meriti, non chiedono l'allargamento del numero dei posti del potere. I mercenari non sono piccoli samurai che si immolano sull'altare della migliore convenienza. Il loro unico interesse è non avere debiti o crediti con nessuno, tanto meno quelli che non possono essere restituiti perché non sono mai stati concessi.

Vivono nell'ambiguità, ne sono consapevoli e non si nascondono dietro un ideale di purezza. Del resto, le loro azioni li hanno portati sulla via del non ritorno. Hanno organizzato manipoli che attraversano fiumi e assediano città, senza alcuna apparente ragionevolezza né direzione nel loro piano di guerra. Il piccolo cabotaggio delle loro imbarcazioni permise di giocare sulle differenze dei prezzi, tra un merito e un altro. Ogni mercenario, non degno del merito a cui aspira, possiede un lotto di meriti invenduti. Viaggiavano per mesi per insenature, porti e colli in tutto il Mediterraneo. Il periplo meritocratico consisteva in una serie di vendite, di acquisti, di scambi di piazza in piazza, disposti in un circuito dove i crediti e i debiti si rivendevano sulla roulette dell'eccellenza e della mediocrità. 

Ancora oggi, senza scrivere alcunchè, la razza silenziosa e ostile dei mercenari scambia cambiali di merito a buon rendere come un tempo, da Venezia a Ragusa, da Orano a Marsiglia, si scambiavano spezie, cuoi, coralli, olio e cereali. La meritocrazia è ancora oggi un bazar ambulante e gli scali nei porti, popolati da valorosi mercanti cinesi e indiani, restano altrettante occasioni per vendere, comprare, rivendere e scambiare carte di merito senza alcun valore. O meglio, il valore di ogni merito viene contrattato tra una salita e una discesa a bordo di navi che vanno e vengono. Il tempo di un mordi e fuggi. Il tempo dei pirati.

Ancora oggi capita ancora che sulle coste del retroterra poco popolato, come quelle dell'Africa del Nord, dell'Egitto o della Tunisia, spuntino vecchi discepoli di quegli antichi mercenari che insegnarono alle popolazioni dei mari mediterranei a non essere né buoni, né cattivi, posizionarsi dalla parte del merito ma anche per il suo contrario. Ad  amare la giustizia ma non a disprezzare l'opportunismo. Il loro destino lo portano nel nome che hanno scelto. E giocano con le categorie del diritto dello Stato in cui, per scelta o per maledizione, si trovano. E non avranno mai cittadinanza. Sono stranieri, mercanti, mercenari. Gente di ventura che non ha radici, se non quelle che crescono in aria. 

I moti della rivolta antimeritocratica non possono essere chiamati in nessun modo, il linguaggio che avrebbe potuto descriverli è stato dimenticato, oppure rimosso. Non c'è più alcun esempio a cui possiamo ricorrere per descrivere quello che sta accadendo. Né il ricordo del passato né la profezia del futuro serviranno per fermare in un fotogramma la cometa del presente. Forse una traccia può essere comunque trovata nella cambusa di una nave sequestrata alle forze internazionali marittime.

È una citazione, e poco o nulla dirà ai contemporanei, ma parla degli esempi per il futuro:

Li buoni esempi nascano dalla buona educazione, la buona educazione dalle buone leggi, e le buone leggi da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano; perché chi esaminerà bene il fine d'essi, non troverrà ch'egli abbiano partorito alcuno esilio o violenza in disfavore del commune bene, ma leggi e ordini in beneficio della publica libertà.
(3, fine)

Roberto Ciccarelli

La prima parte, italia 2035. la rivolta.  

La seconda parte: Italia 2035. servire il merito

(La versione completa del racconto è pubblicata in 2035: fuga dalla precarietà)

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