martedì 28 agosto 2012

IL QUINTO STATO TRA PASSATO E FUTURO: AUTONOMIA, MUTUALISMO, COOPERAZIONE



1. Nel 1672 il pastore amburghese Johannes Müller, seguace di Spinoza, annotava l’esistenza di un segmento sociale molto ampio, intriso di idee filosofiche, radicali, anti-deiste, materialiste e repubblicane. Era un movimento continentale, si addensava nelle grandi e piccole città del tempo, ai bordi dei mercati e dei laboratori di arti e mestieri, delle università, come delle corti. Sostava sul soglio delle chiese, frequentava le taverne, brulicava. Era costituito da Gentlemen e Ministers senza impiego certo, precario, eruditi e nullafacenti; ma anche professionisti e artigiani, uomini di mondo, religiosi pentiti e spretati, provenienti dalla borghesia nascente come dal popolo. 


Alcuni viaggiavano tra Francia, Inghilterra, Olanda e Italia. Il loro impegno per l’indipendenza del proprio lavoro, e l’emancipazione dalla condizione di sussistenza, si scontrava nella resistenza delle corporazioni dei mestieri, i bandi impressi dalle chiese e dalle università, entrambe gelose del sapere posseduto, organizzato in nome di una ragione divina, trascendentale o corporativa. 

Hobbes, che dimostrò lo straordinario talento di difendere le pulsioni dell’ordine sociale in quell’atmosfera tumultuosa, scrisse nel Behemot che la ragione dei disordini in Europa, e l’insidia per la nascente monarchia sovrana era rappresentata da questa coalizione di indipendenti, cioè non legati ad un patto con il sovrano, con un datore di lavoro, sostenuti piuttosto da un’idea di autonomia, cooperazione, rifiuto del lavoro improntato all’obbedienza o alle regole di una professione (artigiana, intellettuale, mercantile). È l'insubordinazione al lavoro che fomenta il rifiuto della “servitù volontaria”.

2. In questo affresco genealogico della condizione del Quinto Stato, che spesso viene identificato con i lavoratori intellettuali o creativi ma che in realtà è molto più ampia e storicamente profonda, emerge un’estraneità rispetto al patto sociale. Ciò che inquietava Hobbes, non diversamente dalle classi dirigenti attuali, era la crescente distanza dal rispetto del patto dell’obbedienza ad un sovrano e dalla subordinazione dell’esercizio di un’attività o di una mansione professionale agli ordini di un datore di lavoro, un committente, un’istituzione in cambio della sicurezza individuale e collettiva. 

La rottura di questo doppio legame (l’autorità sovrana e quella del lavoro) è ormai chiarissima e fonti di sempre nuove inquietudini. Se al momento nascente dello Stato moderno, la condizione del Quinto Stato è stata a fatica confinata nei limiti di un’anomalia o atipicità, oggi l’“atipicità” è, in realtà, il fondamento della vita individuale e comune. Non è difficile scoprire un analogo sganciamento del senso dell’attività operosa (artistica, lavorativa, relazionale) da una regola stabilita per contratto di lavoro; da un patto di cessione della sovranità personale ad uno Stato capace di governare la vita dei cittadini; dalla rigida compartimentazione tra la vita e il lavoro. 

Capire la realtà del lavoro contemporaneo significa infatti registrare questo dato: negli ultimi trent’anni è avvenuta una trasformazione così radicale da avere rovesciato le priorità che, un tempo, hanno ispirato tanto il diritto del lavoro quanto l’idea che i cittadini, per essere sicuri, avrebbero dovuto concedere all’autorità una porzione della loro sovranità. 

L’equilibrio tra autonomia e subordinazione, nel lavoro e nella società, si è infranto. Sempre più spesso viviamo in una zona grigia che impedisce di distinguerle in momenti separati. La crisi ha reso ancora più evidente l'evaporazione del ruolo dello Stato nel governo dei territori e delle popolazioni. In un momento di generale ridimensionamento delle tutele e delle garanzie per il lavoro, i governi europei, e in particolare quello italiano, reagiscono con una serie di misure di ulteriore rigore, che allargheranno a macchia d’olio questa zona grigia e danneggeranno senza rimedio la condizione di 1,5 milioni di lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata Inps (aumento dell’aliquota previdenziale dal 27 al 33%), oltre che la vita di almeno 4 milioni di persone (gli “atipici”, i “precari”), senza peraltro prevedere ammortizzatori sociali adeguati alla crescente condizione di povertà (Aspi e “mini Aspi” sono rimedi innocui, peraltro restrittivi rispetto al precedente sussidio di disoccupazione, già assai poco garantista e tutt'altro che universale).

3. Nel Quinto Stato cresce tuttavia una coscienza diversa rispetto alla propria condizione. Questa sensibilità è germogliata, negli ultimi dieci anni, nel mondo del lavoro indipendente, quello della conoscenza e della cultura. Ci sono attori, consulenti, archeologi, giornalisti, architetti, formatori, lavoratori dell’editoria, grafici e traduttori, molti dei quali impegnati nella tutela della professione contro la precarizzazione - e, in alcuni casi, la liquidazione - e contro le rendite di posizione corporative. 

Il processo è diventato più evidente e clamoroso nel caso dell’occupazione del teatro Valle di Roma nel 2011, a cui si sono collegate altre esperienze di occupazione e auto-governo da Roma a Milano a Palermo e Catania, a Napoli. Nel primo caso, si afferma l'esigenza di una riforma radicale del sistema del Welfare che includa i lavoratori indipendenti, a partire dal sistema previdenziale e assistenziale, proponendo anche nuove forme di mutualismo. 

Nel secondo caso, questa riforma viene coniugata con la ricerca di spazi finalizzati alla produzione e alla condivisione sociale delle arti e dei saperi. L’obiettivo è creare laboratori operosi dove le attività creative, quelle della cultura, della conoscenza e in generale quelle indipendenti, reinventino un lavoro frammentato in mille mansioni rese irriconoscibili dal mercato, restituendolo alla sua dignità di vettore dell’immaginario e del legame sociale. 

Questa sensibilizzazione coinvolge la parte emersa di un segmento sociale che rappresenta, ad oggi, il futuro della forza lavoro, non nel senso del contenuto dell’attività, quanto piuttosto nella modalità della sua erogazione, intermittente e autonoma. In questo senso, il lavoro della conoscenza, della cultura, o "creativo", rappresenta quello che sarà il futuro del lavoro tout court. 

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La consapevolezza di questa condizione sta dunque nel pretendere una tutela della persona, prima ancora del suo lavoro; una riforma universalistica del Welfare e la ricostruzione di un senso della cittadinanza a partire da un patto di coalizione tra diversi. Infine, un'idea generale della società ispirata ai principi di un commonfare: cooperazione, auto-organizzazione e mutualismo. 

Il Quinto Stato parla di una trasformazione dello status di artisti, degli operatori culturali, delle attività e professioni indipendenti che rifiutano l’atteggiamento individualistico o corporativo mantenuto fino ad oggi, per riconoscersi in una condizione generale e partecipare a un più ampio processo costituente di una nuova idea di società e cittadinanza.


Giuseppe Allegri – Roberto Ciccarelli

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