giovedì 24 novembre 2011

Requiem per l'encefalogramma piatto di sinistra

Giuseppe Allegri

Applaude il bonapartismo tardomoderno 
della Bce e del finanzcapitalismo. 
Difende il  commissariamento bancario 
fondato sull'unità nazionale interclassista. 
Applaude Saviano a Zuccotti Park. 
Si prepara a scomparire per altri vent'anni. 


Possibile che nella sinistra sociale, politica, sindacale e culturale non si riesca a ragionare lucidamente di quale sia la reale uscita dal ventennio berlusconiano? Siamo vittime di un immenso macigno psichico che ci impone di ingoiare tutti i rospi possibili, senza neanche più limitarci a baciarli: la necessità di salvare il Paese assorbe tutto e tutti. Eppure qualche domanda ad alta voce conviene provare a farsela, per evitare di restare afoni per un altro ventennio.   

Con Ida Dominijanni (il manifesto del 19 movembre) condividiamo il dato di fatto incontrovertibile che siamo dinanzi a un governo deciso da Napolitano nello stato di eccezione decretato dal capitalismo finanziario delle speculazioni bancarie, del monetarismo BCE e del suicida duopolio europeo Merkozy. Con più calma ragioneremo delle possibili ricostruzioni: poteri straordinari del Presidente della Repubblica, inteso come “reggitore dello Stato nelle fasi di crisi”? Tendenza decisionista schmittiana post-costituzionale? Applicazione alla lettera dello spirito della Costituzione? Semipresidenzialismo occulto? Nomina presidenziale di una “dittatura commissaria”? 

Per ora aggiungiamo solo che questo è un “governo costituente” del Presidente. Non solo formalmente costituente nel senso della modifica materiale del testo costituzionale, come sarà per l’art. 81 Cost., ma soprattutto “costituente dall’alto”, in nome della salvezza del Paese e delle riforme strutturali che ci permetteranno di rimanere in un’Unione europea vittima del debito sovrano e dello spread. (E forse la cosa più inaccettabile è vedere come questi banchieri e professori senza scrupoli si possano fare beffe dell’indubbio europeismo post-nazionale del Presidente Napolitano. Se i movimenti sociali italiani ed europei avessero un po’ di lucidità in più, quello sarebbe lo spazio di contraddizione da riempire: Europa come possibilità dell’autorganizzazione regionale contro il finanz-capitalismo).

E invece sembra di essere dinanzi a un bonapartismo tardo-moderno: un commissariamento bancario fondato sull’unità nazionale interclassista, che neutralizza il conflitto sociale, dinanzi all’austera sobrietà dei banchieri di professione. La tecnocrazia elitaria globale chiamata a salvare la Patria dall’unico uomo politico in grado di mantenere vivo un legame con la nobile storia dei padri costituenti repubblicani. Il cortocircuito è completo: si mima una fuoriuscita dal berlusconismo del godimento senza padre, per approdare al paternalistico e serioso rigore dei sacrifici, che solo sinistra partitica e sindacale possono imporre. Così nessuno si meraviglia che la diaspora parlamentare berlusconiana sia stata guidata da ex-ministri degli Interni berlusconiani di matrice democristiana – Scajola e Pisanu – fedeli nei secoli all’immobilismo opportunistico delle nostre classi dirigenti. 

Siamo di botto precipitati dai pirotecnici fallimenti della seconda Repubblica, al grigiore in bianco e nero di una prima Repubblica fuori tempo massimo. Non meraviglia che Walter Veltroni accosti il nome di Susanna Camusso a quello di Luciano Lama (In mezz’ora, su Rai3). Mentre Ugo Magri ci svela come il nostro Presidente, nelle chiacchiere private, evochi «quelle riunioni di 33 anni fa, quando si preparava il governo di unità nazionale e per discutere il programma ci vedevamo io per il Pci, Ferrari Aggradi per la DC, mentre per i socialisti si presentava a Palazzo Chigi Signorile accompagnato da Cicchitto» (La Stampa, 21/11/2011).

Ai più agée sembra di rivedere un film montato male: dallo “Stato dei partiti”, del monopartitismo/bipartitismo imperfetto della I Repubblica, si attraversa il sedicente “bipolarismo” parassitario, di una seconda Repubblica abortita, per giungere al definitivo monopartitismo monopolista, “dei Letta e di sotto-governo”, come verrebbe normale definirlo.

C’è dietro un’antica coazione a ripetere della sinistra istituzionale: quella dell’essere più realisti del re, responsabili, credibili, fautori di sacrifici, perbenisti, rigorosi nell’austerità – cioè obbedienti alla moderazione, falsamente primi della classe, conservatori nell’animo – pur di dimostrare a se stessi di essere capaci di governare, quando la subordinazione ai poteri è totale.

Eppure quelle forze sociali del 99% sono disposte a urlare che proprio nelle fasi di crisi del capitalismo è massimamente urgente imporre nuove politiche pubbliche, estendere i diritti e le garanzie, rimettere in discussione i modelli di sviluppo, immaginare una nuova idea di società. Queste singolarità cooperanti che “occupano tutto” si stanno organizzando per fare da sole: sperimentare coalizioni sociali per creare le loro istituzioni, imporre una radicale redistribuzione del reddito, riappropriarsi di una degna e felice vita in comune, essere costituenti dentro la trasformazione.

Sembra assurdo che quel che rimane della sinistra italica si infervori per Saviano a Zuccotti Park e non riesca minimamente a comprendere quello che da mesi fanno gli occupanti del Teatro Valle di Roma, a pochi passi da un Senato frequentato da una sinistra a elettroencefalogramma piatto. Così quel 99% può entusiasticamente riprendere il vecchio slogan “noi saremo tutto”, mentre la nostra sinistra rischia di essere nulla e scomparire per altri vent’anni. 

il manifesto, 24 novembre 2011.

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