Lavoro davvero ben fatto, a mio avviso fondamentale per chi, come anche il sottoscritto, ha provato a sperimentare con storify. Molto interessante soprattutto l'accostamento tra l'immagine del toro e quella di seattle. Vi infatti è tra le due immagini uno scarto non trascurabile che mettete in luce: entrambe sono rappresentazioni del conflitto, ma all'immagine del 1999 manca completamente una dimensione estetica, è pura espressione dello scontro, dove l'ironia ("greetings from seattle") ha l'effetto di un petardo bagnato. Al contrario l'immagine di adbusters si apre alla dimensione estetica rappresentando in primo piano il conflitto in una dimensione "implicita": è conflitto topologico (verticale/orizzontale), gestuale (tensione/spasmo), cromatico (opacità/lucidità), qualitativo (fragilità/forza), semisimbolico (precarietà/capitale). Il conflitto come scontro, insorgenza e rivolta resta sullo sfondo non perché lo si voglia esorcizzare, ma al contrario perché rappresenta il versante "concreto" dell'immagine in primo piano. Preme su di essa, ne dimostra l'urgenza e la realizza. Lo sbocco di questa immagine è il tentativo di riportare il conflitto alla sua dimensione di classe ed è in questo senso che leggerei la ripresa dell'immaginario operaista che voi segnalate.
ed è nella dimensione estetica che emerge il valore costituente dell'epifania, che segnali. Oggi la ballerina e il toro hanno per noi un significato ben preciso, ma immagino quando l'hanno lanciata: era un'intuizione anticipatrice, di quella che ribalta l'ordine del tempo e interseca la forza della contingenza politica: il capitale finanziario che ha sostituito le funzioni del governo, e ne ha modificato le funzioni, gli obiettivi. Insomma in questo conflitto topologico, cromatico, gestuale, qualitativo e semibolico, che segnali giustamente, c'è una sintesi che è anche un cortocirtuito espressivo, un puro concentrato di forze che continueremo ad analizzare per anni.
Bellissimo articolo, analisi puntuale, cristallina, profonda. A me l'immagine della ballerina ha ricordato un famoso fotomontaggio di Yves Klein (Le Saut dans le vide - Leap into the Void) (http://en.wikipedia.org/wiki/File:Le_Saut_Dans_le_Vide.jpg), del 1960, quindi ben precedente ai movimenti del 1968. Poi nel vuoto ci siamo saltati veramente, dolcemente, forse senza accorgercene, cullati dai sogni di una crescita illimitata, di una razionalita' senza confini, di una ricchezza accumulata e consumata piu' in fretta possibile, ad ogni costo. L'immagine della ballerina pone interrogativi potenti, pieni di possibilita' inquiete. Riscira' la ballerina a domare il Toro? Riusciremo a trasformare il "Salto nel vuoto" in "Salto nella vita"? Quanto una rinnovata dimensione estetica del conflitto sociale sara' capace di informare un progetto politico coraggioso e possibile, che non sia solo antagonismo ma anche costruzione solida di una societa' equa, giusta, futura? Alcuni segnali che portano a pensare che il precariato (inteso a tutti i livelli) possa costituirsi come classe sociale vera e propria, e che possa arrivare ad essere la classe dominante (come fu per la borghesia dopo le rivoluzioni Americana e Francese). A differenza del proletariato (classe intrinsecamente impossibilitata a diventare dominante, se non attraverso la fantomatica dittatura del proletariato, che sappiamo come e' andata a finire) il precariato possiede le capacita' economiche e soprattutto culturali per guidare una rivoluzione politica e sociale. Il punto cruciale e' la difficilissima costruzione della consapevolezza di classe, per una classe che per sua natura, a differenza del proletariato, e' eterogenea, cinica, competitiva. E' questa consapevolezza che l'arte, in tutte le sue forme, puo' aiutarci a costruire.
totalmente d'accordo e quante ispirazioni possibili produce questa immagine! il tuo post lancia altre suggestioni, magnifico. quanto alla seconda parte, la troviamo interessante, e ci/ti chiediamo: guardiamolo da vicino, questo "precariato". Precariato, ne abbiamo parlato in questo post (http://blog.ilmanifesto.it/quintostato/2011/12/21/contro-la-precarieta), non ti sembra una categoria troppo indeterminata? nel senso che è un aggettivo che qualifica un soggetto, e forse non il soggetto in quanto tale. Quindi, il problema è quello, la rivoluzione, ma forse non lo strumento. Precariato, e ne sappiamo qualcosa anche noi, è una condizione di massima indeterminatezza ricavata a partire dal rapporto che uno ha con un contratto (ce l'hai? non ce l'hai? e quando ti arriva?). La crisi ci consegnerà una verità (terribile): quei contratti - ammesso che ce ne saranno ancora (unici?) - non risolleveranno il loro soggetto dalla condizione di precariato. Allora, per andare al sodo, se è questo il problema, e lo è, perché non parlare invece di Quinto Stato? http://furiacervelli.blogspot.com/2011/12/noi-siamo-il-quinto-stato_24.html
Cari autori, ho letto i due articoli citati. Molto interessante. Peccato non averlo saputo prima, a dicembre ero a Roma, citta' natale. Ora ovviamente sono in "furia", pardon fuga, come da due anni a questa parte. Sono molto interessato alla discussione sul precariato/quinto stato, ovviamente non tanto a livello terminologico ma di sostanza. Ma si sa, nelle parole sempre si nasconde la sostanza. Su questo penso sara' a voi noto il libro di Guy Standard "The Precariat" che propone un'analisi molto articolata del precariato come classe, nonche' i saggi fondamentali di Paolo Virno.
Mi piacerebbe approfondire questa discussione. Comprero' il vostro libro, per curiosita' e per capire meglio il vostro punto di vista. Da architetto m'interessa molto il tema degli spazi, del co-working, dei nuovi scenari che si aprono nella relazione working/living, nella convinzione che proprio l'architettura risieda una delle possibilita' fondamentali della consapevolezza di classe e della costruzione nella citta' di spazi altri dalla speculazione finanziaria e immobiliare dell'urbanizzazione contemporanea. Su questi temi ho lavorato con intensita' in un progetto collettivo su Atene che abbiamo elaborato (in forma di libro, disegni e mostra) con altri architetti e ricercatori al Berlage Institute di Rotterdam l'anno passato (progetto in cerca di finanziamenti per una prossima pubblicazione). Sarebbe bello discuterne insieme i risultati. Qualche idea? Comunque, precari come siamo, questo e' un arrivederci...
in un certo senso lo conosciamo, il buon standing: http://www.liberatebarabba.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1128:guy-standing&catid=41:lavoro&Itemid=37 e anche http://eddyburg.it/article/articleview/17105/0/283/.
Siamo molto interessati alle istituzioni che promuovono un nuovo rapporto tra working and living. Perché non condividi i materiali (siti, info, immagini ecc.) di questa ricerca ad atene e a rotterdam? Così ci scriviamo, rilanciamo e iniziamo a lavorare sulla stessa cornice, problemi e risorse?
a Noi in particolare interessa il rapporto tra l'associazione culturale, sociale e politica di professionisti, precari, indipendenti e il loro rapporto con questi spazi. Come gestirli? come ripensarli? E quali funzioni potrebbero svolgere per la costruzione di una cittadinanza sociale attenta alla tutela, alla garanzia e alla promozione del lavoro indipendente?
Innanzitutto il link al Berlage Institute. http://www.berlage-institute.nl/
Poi il link alla pagina di presentazione della ricerca, dove purtroppo non ci sono materiali, ma il brief da cui la ricerca e' partita. Penso sia utile per capire di cosa stiamo parlando. http://www.berlage-institute.nl/galleries/projects/details/labor_city_architecture
Infine il link alla bozza del libro "Athens. Labour, city, architecture", che e' stato il risultato finale di un anno di lavoro, insieme alla presentazione con dibattito e a una mostra. Il file e' ovviamente in bassa risoluzione. http://issuu.com/davidesacconi/docs/athens_booklet_light/1
Per il libro si stanno cercando al momento fondi e casa editrice, dato che i fondi del governo Greco, che avevamo ottenuto, sono stati bloccati data la situazione catastrofica. L'idea e' di pubblicarlo entro l'anno. Fatemi sapere che ne pensate, magari via email, che mi pare stiamo andando un po' off-topic....a presto.
Lavoro davvero ben fatto, a mio avviso fondamentale per chi, come anche il sottoscritto, ha provato a sperimentare con storify.
RispondiEliminaMolto interessante soprattutto l'accostamento tra l'immagine del toro e quella di seattle.
Vi infatti è tra le due immagini uno scarto non trascurabile che mettete in luce: entrambe sono rappresentazioni del conflitto, ma all'immagine del 1999 manca completamente una dimensione estetica, è pura espressione dello scontro, dove l'ironia ("greetings from seattle") ha l'effetto di un petardo bagnato.
Al contrario l'immagine di adbusters si apre alla dimensione estetica rappresentando in primo piano il conflitto in una dimensione "implicita": è conflitto topologico (verticale/orizzontale), gestuale (tensione/spasmo), cromatico (opacità/lucidità), qualitativo (fragilità/forza), semisimbolico (precarietà/capitale).
Il conflitto come scontro, insorgenza e rivolta resta sullo sfondo non perché lo si voglia esorcizzare, ma al contrario perché rappresenta il versante "concreto" dell'immagine in primo piano. Preme su di essa, ne dimostra l'urgenza e la realizza.
Lo sbocco di questa immagine è il tentativo di riportare il conflitto alla sua dimensione di classe ed è in questo senso che leggerei la ripresa dell'immaginario operaista che voi segnalate.
ed è nella dimensione estetica che emerge il valore costituente dell'epifania, che segnali. Oggi la ballerina e il toro hanno per noi un significato ben preciso, ma immagino quando l'hanno lanciata: era un'intuizione anticipatrice, di quella che ribalta l'ordine del tempo e interseca la forza della contingenza politica: il capitale finanziario che ha sostituito le funzioni del governo, e ne ha modificato le funzioni, gli obiettivi. Insomma in questo conflitto topologico, cromatico, gestuale, qualitativo e semibolico, che segnali giustamente, c'è una sintesi che è anche un cortocirtuito espressivo, un puro concentrato di forze che continueremo ad analizzare per anni.
RispondiEliminaBellissimo articolo, analisi puntuale, cristallina, profonda.
RispondiEliminaA me l'immagine della ballerina ha ricordato un famoso fotomontaggio di Yves Klein (Le Saut dans le vide - Leap into the Void) (http://en.wikipedia.org/wiki/File:Le_Saut_Dans_le_Vide.jpg), del 1960, quindi ben precedente ai movimenti del 1968.
Poi nel vuoto ci siamo saltati veramente, dolcemente, forse senza accorgercene, cullati dai sogni di una crescita illimitata, di una razionalita' senza confini, di una ricchezza accumulata e consumata piu' in fretta possibile, ad ogni costo.
L'immagine della ballerina pone interrogativi potenti, pieni di possibilita' inquiete. Riscira' la ballerina a domare il Toro? Riusciremo a trasformare il "Salto nel vuoto" in "Salto nella vita"? Quanto una rinnovata dimensione estetica del conflitto sociale sara' capace di informare un progetto politico coraggioso e possibile, che non sia solo antagonismo ma anche costruzione solida di una societa' equa, giusta, futura?
Alcuni segnali che portano a pensare che il precariato (inteso a tutti i livelli) possa costituirsi come classe sociale vera e propria, e che possa arrivare ad essere la classe dominante (come fu per la borghesia dopo le rivoluzioni Americana e Francese). A differenza del proletariato (classe intrinsecamente impossibilitata a diventare dominante, se non attraverso la fantomatica dittatura del proletariato, che sappiamo come e' andata a finire) il precariato possiede le capacita' economiche e soprattutto culturali per guidare una rivoluzione politica e sociale. Il punto cruciale e' la difficilissima costruzione della consapevolezza di classe, per una classe che per sua natura, a differenza del proletariato, e' eterogenea, cinica, competitiva. E' questa consapevolezza che l'arte, in tutte le sue forme, puo' aiutarci a costruire.
totalmente d'accordo e quante ispirazioni possibili produce questa immagine! il tuo post lancia altre suggestioni, magnifico. quanto alla seconda parte, la troviamo interessante, e ci/ti chiediamo: guardiamolo da vicino, questo "precariato". Precariato, ne abbiamo parlato in questo post (http://blog.ilmanifesto.it/quintostato/2011/12/21/contro-la-precarieta), non ti sembra una categoria troppo indeterminata? nel senso che è un aggettivo che qualifica un soggetto, e forse non il soggetto in quanto tale. Quindi, il problema è quello, la rivoluzione, ma forse non lo strumento. Precariato, e ne sappiamo qualcosa anche noi, è una condizione di massima indeterminatezza ricavata a partire dal rapporto che uno ha con un contratto (ce l'hai? non ce l'hai? e quando ti arriva?). La crisi ci consegnerà una verità (terribile): quei contratti - ammesso che ce ne saranno ancora (unici?) - non risolleveranno il loro soggetto dalla condizione di precariato. Allora, per andare al sodo, se è questo il problema, e lo è, perché non parlare invece di Quinto Stato? http://furiacervelli.blogspot.com/2011/12/noi-siamo-il-quinto-stato_24.html
RispondiEliminaCari autori,
RispondiEliminaho letto i due articoli citati. Molto interessante. Peccato non averlo saputo prima, a dicembre ero a Roma, citta' natale. Ora ovviamente sono in "furia", pardon fuga, come da due anni a questa parte.
Sono molto interessato alla discussione sul precariato/quinto stato, ovviamente non tanto a livello terminologico ma di sostanza. Ma si sa, nelle parole sempre si nasconde la sostanza. Su questo penso sara' a voi noto il libro di Guy Standard "The Precariat" che propone un'analisi molto articolata del precariato come classe, nonche' i saggi fondamentali di Paolo Virno.
Mi piacerebbe approfondire questa discussione.
Comprero' il vostro libro, per curiosita' e per capire meglio il vostro punto di vista.
Da architetto m'interessa molto il tema degli spazi, del co-working, dei nuovi scenari che si aprono nella relazione working/living, nella convinzione che proprio l'architettura risieda una delle possibilita' fondamentali della consapevolezza di classe e della costruzione nella citta' di spazi altri dalla speculazione finanziaria e immobiliare dell'urbanizzazione contemporanea.
Su questi temi ho lavorato con intensita' in un progetto collettivo su Atene che abbiamo elaborato (in forma di libro, disegni e mostra) con altri architetti e ricercatori al Berlage Institute di Rotterdam l'anno passato (progetto in cerca di finanziamenti per una prossima pubblicazione). Sarebbe bello discuterne insieme i risultati. Qualche idea?
Comunque, precari come siamo, questo e' un arrivederci...
in un certo senso lo conosciamo, il buon standing: http://www.liberatebarabba.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1128:guy-standing&catid=41:lavoro&Itemid=37 e anche http://eddyburg.it/article/articleview/17105/0/283/.
RispondiEliminaSiamo molto interessati alle istituzioni che promuovono un nuovo rapporto tra working and living. Perché non condividi i materiali (siti, info, immagini ecc.) di questa ricerca ad atene e a rotterdam? Così ci scriviamo, rilanciamo e iniziamo a lavorare sulla stessa cornice, problemi e risorse?
a Noi in particolare interessa il rapporto tra l'associazione culturale, sociale e politica di professionisti, precari, indipendenti e il loro rapporto con questi spazi. Come gestirli? come ripensarli? E quali funzioni potrebbero svolgere per la costruzione di una cittadinanza sociale attenta alla tutela, alla garanzia e alla promozione del lavoro indipendente?
Dunque, ecco qui un po' di materiali.
RispondiEliminaInnanzitutto il link al Berlage Institute.
http://www.berlage-institute.nl/
Poi il link alla pagina di presentazione della ricerca, dove purtroppo non ci sono materiali, ma il brief da cui la ricerca e' partita. Penso sia utile per capire di cosa stiamo parlando.
http://www.berlage-institute.nl/galleries/projects/details/labor_city_architecture
Infine il link alla bozza del libro "Athens. Labour, city, architecture", che e' stato il risultato finale di un anno di lavoro, insieme alla presentazione con dibattito e a una mostra. Il file e' ovviamente in bassa risoluzione.
http://issuu.com/davidesacconi/docs/athens_booklet_light/1
Per il libro si stanno cercando al momento fondi e casa editrice, dato che i fondi del governo Greco, che avevamo ottenuto, sono stati bloccati data la situazione catastrofica. L'idea e' di pubblicarlo entro l'anno. Fatemi sapere che ne pensate, magari via email, che mi pare stiamo andando un po' off-topic....a presto.