Peppe Allegri
È da salutare come una piccola liberazione la chiamata a un dibattito pubblico sui saperi che i www.saperiliberi.it della Rete della Conoscenza propongono in opposizione all'etica sacrificale dell'attuale governo tecnico e di quello politico che presumibilmente verrà, vincolato alla stessa aura rigorosa e depressiva. L'impostazione dell'appello è assai condivisibile: è questo il momento di immaginare possibili azioni collettive per trasformare radicalmente l'ordine esistente delle cose e lottare per una nuova idea di società, a partire dalla centralità della condivisione dei saperi. E non è un caso che questo slancio verso il futuro sia proposto da studenti coprotagonisti di quei “movimenti della ricerca e della conoscenza” che, spesso nella solitudine e sempre inascoltati, hanno praticato opposizione sociale al berlusconismo e alle retoriche neo-liberiste.
Sono loro il portato migliore sopravvissuto al lungo ventennio che vorremmo lasciarci alle spalle, nel quale è stata scatenata una scientifica e bipartisan guerra alle intelligenze indipendenti, letteralmente disprezzando il lavoro della conoscenza, proprio mentre capitale finanziario e società dello spettacolo spremevano le qualità relazionali, cognitive, comunicative di una forza lavoro sempre più vessata, precaria e povera, in assenza di tutele, diritti e una qualsiasi dignitosa possibilità di scelta, altro che choosy, per rispondere a chi ha definitivamente consacrato questo processo di saccheggio delle forme di vita: l'attuale Ministro del Lavoro, con il suo indistinguibile stile a metà tra le pose di una lontana zia inacidita da una vita di frustrazioni e il ritratto decadente di una provinciale duchessa sabauda.
1. I fallimenti dell'economia capitalistica della conoscenza
Siamo dentro il fallimento conclamato della retorica dell'economia capitalistica della conoscenza e della connessa “società della conoscenza”, precipitata nell’incrocio della bolla immobiliare (dei mutui subprime USA 2007-2008), con quella finanziaria e dei debiti sovrani, quindi esplosa nella “bolla formativa”, compressa tra forza lavoro ultra-scolarizzata e permanentemente precaria, insuccesso del «processo di Bologna» (del cosiddetto “3+2”), susseguirsi di pessime pseudo-riforme del ciclo di formazione, accesso sempre più selettivo e aumento delle rette universitarie: un indebitamento insolvibile delle nuove generazioni e delle loro famiglie.
Per dirla con un analista non certo anti-capitalista come Guido Rossi è il successo globale del capitalismo finanziario, in cui si è realizzato «l'aumento della produttività e dell'efficienza attraverso il determinante ruolo che nella trasformazione dell'economia mondiale ha avuto la conoscenza collettiva», generando tanto «una disoccupazione di carattere strutturale, che ha reso dovunque una moltitudine di lavoratori inutili e superflui», quanto un ristretto numero di «manager i quali, in base a meriti e competenze sempre più incerte e discutibili, si appropriano del surplus della produzione, vengono pagati con lauti bonus, stock options e liquidazioni forsennate; al contrario degli antichi capitalisti non rischiano, ma addirittura si arricchiscono anche quando le imprese sono in perdita»: siamo dinanzi a una «nuova lotta di classe» per la riappropriazione da parte di milioni di sfruttati di quella «conoscenza collettiva» che loro stessi producono, ma che viene saccheggiata dalle istituzioni parassitarie del tardo-capitalismo finanziario.
2. Per una costituente diffusa dei saperi liberati
Dentro questo saccheggio individuale e collettivo si manifesta l'urgenza di imporre nuove scelte di politiche pubbliche – per un New Deal di politiche sociali e culturali – cogliendo le occasioni costituenti che questa crisi di radicale ristrutturazione capitalistica ci impone. Evocare una costituente diffusa dei saperi, che dal momento diagnostico della critica, passi all’intervento prognostico, creando nuove istituzioni comuni e assumendosi la responsabilità collettiva di governare la nuova grande trasformazione: è l’auto-organizzazione sociale e la forza creativa di nuove forme del vivere associato, oltre lo statalismo burocratizzato, parassitario e corrotto e l’individualismo proprietario e corporativo, fondato su inscalfibili rendite di posizione. Di questo ci parla l'appello: della necessità di pensare e praticare una nuova società dei saperi liberati, dentro la necessità di imporre altre scelte di politiche pubbliche e pensare diversamente l'economia della conoscenza.
È l'intelligenza collettiva dei saperi diffusi che aspira a riprendersi luoghi, tempi ed esistenze depredate dal dominio psichico, oltre che ideologico, della finanziarizzazione delle nostre vite. In questo senso si potrebbe cominciare a ragionare di alcuni possibili snodi immediati di azione collettiva e affermazione di nuove politiche pubbliche, almeno in modo interlocutorio e per ora solo approssimativo.
a) Gli ateliers della conoscenza come nuovi spazi pubblici
È possibile pensare alla definizione di progetti concreti di formazione diffusa, di un sapere sociale e delle multi-attività post-salariali, per dirla con André Gorz, che prospetti una via d'uscita alla Grande Recessione depressiva? Fondare nuovi ateliers della conoscenza, istituzioni autonome dell'intelligenza collettiva, dove le pratiche della formazione (in-formazione, auto-formazione, co-formazione), divengono strumento operativo per realizzare il cambiamento ed affermare una nuova idea di società.
Riprendersi gli spazi pubblici – della socialità diffusa nei territori – abbandonati, definanziati e/o alienati dalle istituzioni di governo, come da tempo avviene nelle esperienze del Teatro Valle occupato di Roma, piuttosto che dell'ex-asilo Filangieri di Napoli, per citare solo due esempi.
b) La cooperazione sociale delle multi-attività
Questi spazi divengono anche luoghi e momenti dell'auto-organizzazione delle attività e dei lavori della conoscenza, innescando processi di mutualismo tra pari e cooperazione sociale per prospettare inedite forme di economia solidale e collaborativa, mettendo in relazione distretti di autoproduzione che provano a designare un'altra idea di città, che sia la metropoli urbanizzata, piuttosto che i mille tra comuni e province disseminate nel territorio. È una sfida che tiene insieme trasformazione economico-sociale, riappropriazione della ricchezza prodotta e federalismo dal basso di un nuovo civismo post-repubblicano, della lontana tradizione italica dell'autorganizzazione delle cittadinanze, tra comunanze e usi civici, autogoverno e sussidiarietà orizzontale, intesa come spazio dell'autonomia sociale.
È necessario spezzare il circolo vizioso tra scelte depressive di politiche pubbliche e speculazioni sulle rendite immobiliari: ripensare il diritto di intrapresa economico-sociale, in un quadro di redistribuzione delle ricchezze dal basso, ottenendo reddito indiretto (alloggi, luoghi di co-progettazione e co-working, accesso a servizi, nuovo mutualismo) e diretto (riattivando le filiere produttive del lavoro della conoscenza, senza intermediari e con produzione autonoma artistica, della conoscenza e cultura, nel senso di un fare impresa sociale vincolato a pratiche di ecologiche).
c) Nuove istituzioni di prossimità
Qui si gioca la capacità di imporre una trasformazione istituzionale dal basso delle istituzioni locali in vere dimensioni dell'autogoverno cittadino; andando di pari passo con l'urgenza di imporre altre scelte di politiche pubbliche locali, nazionali, continentali. Il cambiamento nei rapporti tra società, territori e enti locali passa anche per una riappropriazione degli investimenti pubblici da parte delle cittadinanze depredate e che producono già ricchezze e nuovo Welfare. Siamo all'innesco di processi costituenti dal basso che impongono una maggiore coincidenza tra cittadinanze attive e dimensione istituzionale esistente, per un'autotrasformazione reciproca, ma anche per creare distretti territoriali dell'autogestione sociale.
d) Co-progettazione di un New Deal delle politiche culturali e sociali
Nel vecchio Continente delle nuove esclusioni sociali si devono creare nuovi consorzi di cittadinanza – di coalizioni sociali – tra le condizioni di impoverimento di tutte le forme di vita e del lavoro (da quelle tradizionalmente subordinate, al lavoro autonomo di seconda e terza generazione, alle nuove povertà) e le strutture associative, sindacali, sociali dell'economia diffusa delle micro-aziende, disponibili a ripensare e progettare insieme interventi di politiche culturali e sociali che rilancino gli investimenti sulla diffusione dei saperi e delle conoscenze e prevedano forme universali di garanzie e tutele, a partire dal reddito minimo garantito e da sistemi universalistici di protezione sociale. Così si legano indissolubilmente i territori alle trasformazioni sociali ed istituzionali continentali, fuori dal rigoroso monetarismo delle sue fallimentari élites.
È questo l'aspetto più innovativo e faticoso, ma anche più prezioso: c'è lo spazio per mettere in tensione federativa le esperienze tradizionali di promozione sociale, di intrapresa economica indipendente e di nuova gestione pubblica e partecipata con i soggetti esclusi o marginalizzati nel lavoro della conoscenza, nel suo divenire sempre più precario, insicuro, vessato, aleatorio?
È la scommessa dell'incontro possibile tra il divenire Quinto Stato di una società impoverita e l'affermazione di una nuova idea di cittadinanza sociale. Il contenuto dell'appello e il movimento che lo sostiene ci sembrano indicare l'utopia concreta della società dei saperi liberati.
Io, ad esempio, non sono per niente schizzinoso. Da bambi ho trascinato a casa uno scoiattolo morto sul mio skateboard e l'ho sezionato per provare a guardare il suo cervello. Ditela ad "Elsa la Belva", come la chiamavano i suoi alunni nelle diverse università in cui ha insegnato, la ministra che piange e poi ti taglia la carotide come bersi un Martini.
RispondiEliminagrandissimo Matt, grazie assai del tuo commento!!
EliminaE la cosa più insopportabile di "Elsa la Belva" (definizione molto a tema in questo eterno ritorno dei morti viventi che ci aspetta, non solo al 31 di ottobre, ma praticamente sempre!) è il suo aplomb sabaudo, che ci vorrebbe il nostro amatissimo Paz, in versione Fiabeschi all'esame ;-)
http://www.youtube.com/watch?v=y7BkrW4xUkU
Fiabeschi, e la sua interessantissima teoria sulla proletarizzazione del "ciuffo" di tutte le "Else nate libere", è un punto da approfondire. A mio avviso, alla belva, gli puzza il soffio di bocca come un vespasiano per l'acredine che la possiede nell'era ritornante dei morti viventi. Pessimo tag. Un saluto Peppe. Matt.
RispondiElimina