Ci sono tracce rivelatrici di questa utopia concreta che abbiamo già vissuto, solo cinque mesi fa, a Milano con Macao e poche settimane prima a Napoli con l'ex Asilo Filangieri o il Teatro Garibaldi e i Cantieri della Zisa a Palermo, il teatro Coppola a Catania, l'Ex-Q di Sassari, il Cinema Palazzo di Roma e il S.A.L.E. di Venezia. Ad esempio l'occupazione del teatro Rossi il 27 settembre che offre un'apertura a quel blocco sociale che si è formato in una città universitaria, popolata in maggioranza da studenti fuorisede (come Padova, ad esempio), dove esistono anche centri di ricerca di un certo rilievo. Parliamo di una città dove
la produzione cognitiva e culturale è centrale eppure è una città dove in maniera artificiosa tutti questi saperi differenti di chi studia all'università, di chi fa musica o teatro restano separati. Qui invece si possono sperimentare nuove forme di sapere, di produzione culturale ma soprattutto forme nuove sdi società e del vivere insieme, di fare rete
Il segno di questa utopia concreta viene rivelato dal progetto di non restituire il teatro solo alla sua funzione tradizionale, la messa in scena di spettacolo con un cartellone. Nell'unità di tempo e spazio offerto da un teatro, abbandonato da anni, si può immaginare
uno spazio possa essere un laboratorio o agorà dove chiunque possa portare il proprio desiderio di incidere sulle politiche cittadine [...] uno spazio come centro di ricerca tra studenti, doventi, ricercatori, e precari di ogni tipo, e anche un laboratorio teatrale.Non dunque un teatro nel senso istituzionale del termine, ma un teatro come agorà. Questa idea di agorà dev'essere spiegata perchè, se ben compresa, può essere utile a definire la tendenza che si respira in Italia da almeno un anno e mezzo, considerando l'occupazione del Teatro Valle di Roma come una spia rivelatrice di un processo molto ampio.
2012: che cos'è un'agorà
Aristotele sapeva che in Tessaglia l'agora dei liberi cittadini non era aperta agli artigiani, e si teneva pura di contatti con il commerrcio e i mestieri servili. Un bando vero proprio dalla città ideale dove s'incontravano i cittadini titolati all'uso della parola democratica, alla partecipazione alla creazione delle leggi. Questo è il mito fondatore della democrazia greca che tuttavia non si ritrova nell'utopia concreta pisana. Anche perché quando l'agorà venne invasa dai mercanti, nella democrazia greca – sempre ben attenta a ristabilire i limiti e i confini della vita politica contro gli stranieri ma anche i cittadini che si occupavano di attività artistiche, filosofiche, artigianali o commerciali – il centro della vita democratica evaporò. Qualcuno pensò di trasferire altrove le assemblee politiche e le altre manifestazioni della vita collettiva, come gli spettacoli teatrali e ginnastici. Fu per questa ragione che ad Atene l'assemblea popolare venne trasferita sulla Pnyx. Gli intellettuali, gli artisti, i poeti ci tenevano a tenersi lontani da questo centro pulsante della vita cittadina. Aristofane e Teofrastro, passando per Senofonte Platone e Aristotele hanno speso pagine di condanna contro le folle dell'agorà
E invece a Pisa si vuole riportare al centro della vita pubblica le arti, il pensiero, le relazioni e l'impresa culturale che può nascere dallo scambio quotidiano come dall'incontro in uno spazio.Tutto ciò che è in realtà scomparso, tagliato, occultato in Italia negli ultimi vent'anni.
Qui agorà ha un duplice significato: da un lato, essa allude ad uno spazio più ampio di un singolo luogo. Si parla di uno spazio sociale, pluri-articolato e multi-strato, così ampio eppure rimosso. E, dall'altro lato, allude a uno o più spazi dove si ritrovano le centinaia di migliaia di persone che svolgono un lavoro della conoscenza, lavoratori indipendenti precari o a partita Iva, che si sono formati nelle università, hanno accumulato esperienze tali da diventare professionisti, tutta una mole di competenze e conoscenze che oggi, in Italia, sono completamente inoperose. Il Quinto Stato.
Qui agorà ha un duplice significato: da un lato, essa allude ad uno spazio più ampio di un singolo luogo. Si parla di uno spazio sociale, pluri-articolato e multi-strato, così ampio eppure rimosso. E, dall'altro lato, allude a uno o più spazi dove si ritrovano le centinaia di migliaia di persone che svolgono un lavoro della conoscenza, lavoratori indipendenti precari o a partita Iva, che si sono formati nelle università, hanno accumulato esperienze tali da diventare professionisti, tutta una mole di competenze e conoscenze che oggi, in Italia, sono completamente inoperose. Il Quinto Stato.
Questo spazio sociale si muove anche a Pisa per ricreare, sulle macerie della civiltà industriale, un'agorà e, con essa, una nuova idea di città. Sabato 13 ottobre 2012 questo progetto si è manifestato nella "common street" del municipio dei beni comuni che ha chiesto al comune una migliore gestione degli spazi sociali. La manifestazione si è conclusa senza l'occupazione preannunciata dell'ex Colorificio Toscano a causa dell'eccezionale militarizzazione della città.
La rivolta della conoscenza
L'ex colorificio è uno spazio enorme e dimenticato alle porte di Pisa, una vecchia fabbrica di vernici abbandonata da anni. La sua storia, l'inchiesta sulla zona industriale dismessa, e i suoi possibili riusi, vengono discussi nel volume collettivo Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva" (Pisa: !Rebeldia edizioni, 2012). Questo libro è l'espressione di una "municipalità dal basso" che ha inteso restituire alla città uno degli spazi inutilizzati e prospetta un'altra idea di agorà attraverso il ripopolamento di spazi abbandonati da destinare alla creazione di una vita sociale. Proprio quello che sta accadendo al teatro Rossi.
Qual è la forza che sostiene l'idea di una nuova istituzione, di questa nuova "municipalità"? E qual è la risposta di questa nuova agorà composta da una giovane moltitudine composta da lavoratori indipendenti, cioè da coloro che un tempo vennero esclusi dall'antica agorà greca e che oggi sono le vittime del processo di deindustrializzazione, di precarizzazione del lavoro della conoscenza, oltre che della drammatica crisi del terziario avanzato?
La forza l'abbiamo intravista tra il novembre e il dicembre 2010 durante l'insurrezione degli studenti contro la riforma Gelmini dell'università: A Pisa gli studenti salirono sulla Torre, invasero l'aeroporto e l'occuparono per un'intera giornata, in un lampo si è manifestata allora - come in tutte le città italiane, in quello stesso giorno - una forza, una passione, che oggi prende il cuore e la testa. E ancora ci emoziona:
La rivolta della conoscenza
L'ex colorificio è uno spazio enorme e dimenticato alle porte di Pisa, una vecchia fabbrica di vernici abbandonata da anni. La sua storia, l'inchiesta sulla zona industriale dismessa, e i suoi possibili riusi, vengono discussi nel volume collettivo Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva" (Pisa: !Rebeldia edizioni, 2012). Questo libro è l'espressione di una "municipalità dal basso" che ha inteso restituire alla città uno degli spazi inutilizzati e prospetta un'altra idea di agorà attraverso il ripopolamento di spazi abbandonati da destinare alla creazione di una vita sociale. Proprio quello che sta accadendo al teatro Rossi.
Qual è la forza che sostiene l'idea di una nuova istituzione, di questa nuova "municipalità"? E qual è la risposta di questa nuova agorà composta da una giovane moltitudine composta da lavoratori indipendenti, cioè da coloro che un tempo vennero esclusi dall'antica agorà greca e che oggi sono le vittime del processo di deindustrializzazione, di precarizzazione del lavoro della conoscenza, oltre che della drammatica crisi del terziario avanzato?
La forza l'abbiamo intravista tra il novembre e il dicembre 2010 durante l'insurrezione degli studenti contro la riforma Gelmini dell'università: A Pisa gli studenti salirono sulla Torre, invasero l'aeroporto e l'occuparono per un'intera giornata, in un lampo si è manifestata allora - come in tutte le città italiane, in quello stesso giorno - una forza, una passione, che oggi prende il cuore e la testa. E ancora ci emoziona:
La forza ha un obiettivo
Questa forza non è prerogativa dei soli studenti, ma di un Quinto Stato che oggi aspira a creare un nuovo governo del territorio. Capacità non nuova, si dirà, visto che in Italia - come a Pisa - esiste una lunga tradizione di auto-gestione degli spazi, oltre che un largo movimento di associazionismo civico e sociale sensibile alle tematiche del consumo responsabile, dell'economia alternativa e del municipalismo virtuoso e non dialettale.
Ma nuova è la tensione verso la creazione di nuovi modelli giuridici per l'auto-governo delle città assediate dalla speculazione immobiliare, e dalla gentrificazione. Città che in buona parte vengono abbandonate dagli enti locali taglieggiati dalle politiche dell'austerità e dalla progressiva deindustrializzazione:
Il New Urbanism si impone come policy prevalente nella governance delle metropoli: il consumo di suolo causato dalla creazione di nuove aree residenziali e shopping malls e la marginalizzazione dei ceti meno abbienti prodotta dalle politiche di gentrification e di riqualificazione urbana ne sono l’esito più consueto.Questa forza ha un obiettivo. Mettere in circolazione un'idea di produzione collettiva:
Comune è ciò che viene prodotto collettivamente. Rispetto a questo, pubblico e privato sono equivalenti funzionali, poiché entrambi spossessano la collettività del comune, cioè del prodotto della cooperazione sociale (M. Marella)Al momento questa produzione viene intesa attraverso la teoria giuridica dei beni comuni che sostiene la creazione di nuove istituzioni:
Sul piano politico porre i beni comuni oltre il pubblico e il privato significa dunque pensare e aspirare alla realizzazione di forme e istituzioni di democrazia partecipata che superino le attuali politiche di privatizzazione senza però tornare alla tradizionale gestione pubblica, verticale e paternalista, delle risorse.Ciò che è complicato, almeno con gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione, è rispondere alla nostra seconda domanda. Esiste un'idea di economia alternativa al declino della monocultura industrialista che a Pisa, come in tutto il paese, ha lasciato solo devastazione? E il terziario avanzato, l'economia della conoscenza, è capace oggi - in uno dei picchi della crisi, di garantire una via d'uscita?
In Rebelpaiting si legge un'analisi critica, e realistica, di questa prospettiva.
Esiste a questo proposito, nella storia di Pisa, una sorta di genius loci, che fa sì che da Pisa abbiano a passare esperienze di applicazione scientifica alle nuove tecnologie, e il primo esempio è l'attività di Marconi a Coltano, dove, per conformazione del territorio, erano le condizioni ideali per la comunicazione prima deltelegrafo senza fili poi della radio. Marconi, tra l'altro, era oltre che un inventore, un imprenditore di grandi capacità che realizzò la prima planetarizzazione delle comunicazioni.Ripensare la città come un "distretto della conoscenza", una "cittadella dei saperi", un'agorà del Quinto Stato - questa la soluzione - è dunque possibile a partire da un'inedita commistione - almeno per l'Italia di nuove forme di (auto)imprenditoria, di auto-organizzazione produttiva e sociale, oltre che dalla creazione di istituzioni come quella della "municipalità dal basso".
Ma tutto questo è possibile senza un chiaro e determinato orientamento di una politica industriale, di un cambiamento culturale nel sindacato come nelle rappresentanze politiche?
Guarda la spia, non il buio
Oppure, a Pisa, come altrove in Italia, da un anno e mezzo a questa parte, ci troviamo davanti ad una bellissima intuizione fuori tempo massimo? Non c'è una risposta univoca. Oggi, c'è da registrare, ed è moltissimo, l'esistenza di una composizione sociale che si auto-organizza in vista dell'uscita dalla crisi economica.
E' questa la spia che dobbiamo vedere, non il buio del tunnel di una crisi prodotta dal taglio dei fondi universitari e alla scuola, al settore sanitario, al blocco totale, all'implosione dell'amministrazione pubblica, il crollo del mercato.
Roberto Ciccarelli
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