Tra voci di messa in liquidazione e offerte poco soddisfacenti da parte della cordata Clessidra-Equinox e di Cairo Communication, e di altri pretendenti il futuro di La 7 resta in stand-by mentre la controllante Telecom Italia Media valuta ipotesi. Una decisione sarà presa entro il 7 febbraio, ma nel frattempo nella televisione dove vanno in onda il Tg di Enrico Mentana, Servizio Pubblico della coppia Santoro-Travaglio e Piazza Pulita di Corrado Formigli accade qualcosa di inedito.
Programmisti, autori, redattori, tra i 30 e 40 anni, con decine di contratti di collaborazione, a tempo determinato si sono organizzati in un coordinamento (facebook: precari La 7, mail: precarila7@gmail.com). In un momento in cui l'azienda ha deciso di vendere, chiude programmi come Parodi Live, La valigia dei sogni, La Mala Educacìon, l'Erba del vicino e Notturno femminile su La 7d, spostando l'Infedele di Gad Lerner al venerdì, i contratti di centinaia diprecari non vengono rinnovati, altri vengono accorciati anche di mesi. A giugno 2012 la 7 aveva in organico di 500 persone tra amministrativi, direttori di produzione, produttori esecutivi, registi, giornalisti e montatori. E quasi altrettanti sono i precari impiegati nella fattura dei programmi, e nella loro ideazione.
Persone che di solito sostituiscono d'estate i «fissi» quando vanno in vacanza o, all'occorrenza, vengono usati da tappabuchi con contratti che durano anche quattro giorni. Nemmeno i sindacati hanno le cifre esatte, o forse non le vogliono mostrare, di questa marea umana che si muove dietro le telecamere, tra gli studi dispersi per Roma, da Prati fino quelli ex De Paolis in affitto sulla Tiburtina per Un, due, tre Stella di Sabina Guzzanti. Fare televisione in Italia significa comporre un patchwork di figure contrattuali che cambiano vorticosamente in un palisensto dove abbondano anche le partite Iva, una galassia altamente volatile assunta mediante trattativa personalizzata. I precari del coordinamento hanno lavorato con La 7 per sei, sette, otto anni, con rinnovi infallibili e in maniera continuativa, ma con la vita a singhiozzo interrotta dalla telefonata di un produttore o del curatore di un programma.
«Ci sentivamo sotto una campana di vetro - racconta Laura - pensavamo che La 7 fosse un'azienda dove si lavorava bene in programmi di denuncia che parlavano di lavoratori, con giornalisti sempre pronti a denunciare l'ingiustizia».
Da poche settimane, la loro percezione dell'azienda è cambiata. E come lavoratori dell'immateriale, figure molto specifiche legate a mansioni non facilmente riproducibili in poco tempo, non siedono a nessun tavolo sindacale. Erano, e restano per l'azienda e per i sindacati, «prestatori d'opera» come gli idraulici o i consulenti, mentre loro si sentono professionisti del settore della comunicazione e dello spettacolo. Non «precari» come ha sostenuto il direttore del «loro» Tg Mentana in un articolo su Vanity Fair, «giovani che bussano al mercato del lavoro». Perché su quel mercato lavorano da anni, anche se restano invisibili. Un'invisibilità maturata fianco a fianco degli «assunti» di cui mai nessuno si è accorto, nemmeno i diretti interessati come accade in tutti i lavori che non rientrano nella contrattazione nazionale.
Questa è una vita simile a quella dei 2 mila precari della Rai, ma con qualche riconoscimento in più: ci sono i buoni pasto, gli straordinari pagati. Stipendio medio 1900 euro lordi, 1300 netti straordinari esclusi. Stessa trafila però all'entrata: ogni giorno si ritira il badge ospiti all'entrata e lo si riconsegna all'uscita. Come fanno gli ospiti dello show di Daria Bignardi, con la differenza che i precari sono dipendenti a tutti gli effetti dell'azienda.
«La 7 è un'azienda giovane - ricorda Giulia - i lavoratori sperimentano quello che in Rai, dove ho iniziato a lavorare anch'io, si è vissuto tra gli anni Ottanta e Novanta. Si scatenò un'alluvione di cause di lavoro e venne formato il «bacino», una lista dove attingere gli assunti man mano che si liberavano le posizioni in azienda».Non sarà così alla 7, così come non è più in Rai, perché dopo il collegato lavoro, e le norme sulle collaborazioni e le partite Iva della riforma Fornero, la «chiamata» è sempre individuale e non c'è nessun «esercito di riserva» da cui attingere quando aumenta la domanda di forza-lavoro. Quando i contratti superano la durata di 36 mesi, innalzata a 63 da un accordo sindacale, l'azienda si rivolge ad un'agenzia interinale (E-work) per continuare a lavorare con le stesse figure, ma inquadrate con un contratto a somministrazione.
È accaduto anche ai precari del coordinamento, è una procedura che le aziende adottano per evitare l'obbligo all'assunzione stabilita per legge. In questa terra di nessuno si trovano oggi i professionisti «prestatori d'opera», né giovani né precari.
Roberto Ciccarelli
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