lunedì 4 febbraio 2013

FAI ANCHE TU L'APPRENDISTA (STREGONE)! DAI, TE LO CHIEDE FIORELLO...


Piuttosto che fare l'impiegato un italiano su due tra i 18 e i 34 anni preferirebbe lavorare la terra e fare il contrario di suo padre. Zappare i campi è duro, ma è più sano del lavoro e della vita virtuale condotta dai laureati, dice la Coldiretti. La Confederazione nazionale degli artigiani (Cna) sostiene che il 37% dei piccoli imprenditori considera i laureati schizzinosi e un po' viziatelli, incapaci di adattarsi alle esigenze della piccola impresa. Lamentano il poco tempo dedicato alla formazione pratica (39,7%) e la carenza di occasioni di tirocinio (27,7%). La scuola non è in grado di trasmettere i valori materiali del mondo del lavoro. Non si dice quali, forse sono quelli della massima flessibilizzazione, dei salari ridotti e della sottomissione ai mille caporali e capetti.


Per rimediare alla fuga dall'università di 58 mila studenti dal 2003, Tito Boeri suggerisce una maggiore professionalizzazione dei corsi, distinguendo la specializzazione tra nord e sud del paese: nel Mezzogiorno ci potrebbe essere una specializzazione nell'industria turistica mentre in alcune regioni settentrionali vi sarebbero corsi di apprendistato universitario in meccanica e scienze biomedicali. Cioè operai e infermieri a Nord. Al sud camerieri.

Nello spot sull'apprendistato, in onda a reti unificate Fiorello raccomanda il contratto di apprendistato e, alla domanda, “ma tu quale laurea hai” dice con incredulità: “Filosofia? Giurisprudenza?”. Non dev'essere stato un grande studente, Fiorello. Fa di tutto per dimostrarlo. E ci crediamo, non serve una laurea per fare i suoi splendidi show. Fare l'apprendista è più sano del lavoro e della vita virtuale. Ritorno ai valori semplici della terra, della fatica, niente grilli per la testa come la generazione dei baby boomers.

La battaglia è contro la “licealizzazione” della società. Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato sostiene che la colpa è della “licealizzazione” della società. Nel 2011 45 mila posti tra i mestieri artigiani “ad alta intensità manuale” sono rimasti scoperti per mancanza di candidati. Stesso discorso quando si è scoperto che i profili più ricercati tra i “giovani” nel 2011 sono i cuochi, camerieri e altre professioni dei servizi turistici (+23,4%). Per rimediare alla fuga dall'università occorre professionalizzare i corsi di studio.

Cosa effettivamente accaduta dalla riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 con corsi e master per accompagnatori turistici, e non in lettere con specializzazione in storia dell'arte, marketing e non economia aziendale, cresciuti a tal punto che, come ha spiegato la settimana scorsa il Cun, sono stati tagliati oltre 300 corsi di laurea. Non bastano, evidentemente. E si continuerà a tagliare e, nel frattempo, a trasformare i corsi di laurea in apprendistato. La “riforma Fornero” intende, senza grandi speranze di successo in realtà, trasformare il dottorato in un contratto di apprendistato.

È in corso una grande offensiva per addebitare la crisi dell'istruzione pubblica sulle spalle di chi ha speso anni a studiare. Cioè di 1 milione e 800 mila studenti e di tutti coloro che hanno preso una laurea negli ultimi 5 anni. I “nostri” ragazzi continuano a studiare, non accettano i “lavori umili” (sempre che si tratti di “lavori umili”). Duplice risultato: si delegittima così un sistema della formazione fallito per incapacità dei governi e si sposta la responsabilità sui soggetti che non accettano le possibilità offerte dalla società. Ma, come ogni campagna ideologica, anche questa sull'apprendistato nasconde un baco. Anzi, due.

Il primo è stato reso noto dall'Isfol: tra il 2009 e il 2011 l'uso del vecchio contratto di apprendistato è crollato del 17%, soprattutto tra i minorenni nelle aziende artigiane. Gli apprendisti in alto apprendistato sono solo qualche centinaio, il grosso riguarda persone nella fascia d'età tra i 19 e i 24 anni inquadrati con questo contratto. Uno sguardo più onesto sui dati rivela che la disoccupazione, o la vera e propria inoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni (oltre il 37%), coinvolge tanto i laureati che i diplomati. Entrambi hanno perso la speranza in una retribuzione dignitosa, ed è in corso un disperato – ma concreto – tentativo di riconversione.

Anche perché, e arriviamo al secondo baco della campagna, le aziende non confermano i contratti in essere. La Cna conferma che il 33% delle aziende ha assunto nuovo personale in sostituzione di altre figure e molte hanno fatto ricorso alla cassa integrazione. Non è detto che il contratto di apprendistato così tanto sponsorizzato non serva a spingere le imprese in questa turnazione. Anzi, la favorirà senz'altro.

La campagna non colpisce dunque solo la “presunzione” che un laureato possa trovare un lavoro confacente alla sua preparazione e mira a qualcosa di più strutturale: che un lavoro specializzato, in particolare quello che si fa con la conoscenza, il linguaggio, le relazioni complesse deve essere pagato. Cosa spinge professori, show men, governi e organizzazioni imprenditoriali a credere che l'apprendistato sia la soluzione alla crisi? Che la vita sociale e culturale sia solo un instabile amalgama di filantropia e volontariato, soprattutto se viene condotta da laureati e ultra-specializzati (in filosofia, giurisprudenza e, chissà, anche nel campo dello spettacolo di Fiorello dove di precari ce ne sono a migliaia).

I “fannulloni”, gli “sfigati”, i “choosy”, i “proletaroidi” con la laurea in tasca, i figli di papà che possono studiare e non lavorare come apprendisti, sono gli inconsapevoli protagonisti di una lotta di classe a favore degli “umili” rappresentati dei lavori esecutivi, gli apprendisti tornitori e operai. Chi si laurea, ed è precario, è un cittadino fallito. Chi fa l'apprendista, ed è precario, è una brava persona che si dà da fare.

Dietro la falsità di questa tesi si nasconde una dura realtà che i sostenitori dell'apprendistato come soluzione al lavoro precario non hanno ancora calcolato. L'occupazione stabile, presentata come un imperativo per risolvere la crisi e rilanciare la crescita, esiste sempre di meno e anche quando c'è non garantisce una vita dignitosa. Non è moltiplicando le forme contrattuali, o umiliando la scuola o l'università distrutte da vent'anni di riforme professionalizzanti, che si risolverà il problema. Il lavoro va pagato, in tutte le sue forme. E chi lavora dev'essere tutelato anche se quel lavoro l'ha perso e fatica a recuperarlo, ammesso che mai ci riuscirà. Perché gli apprendisti (stregoni) hanno una fantasia che non riescono ancora a mettere in parola: un giorno riusciranno a non pagare i loro lavoratori che troveranno un modo misterioso per pagarsi l'affitto, il cibo, i vestiti, l'asilo per i bambini.

L'hanno fatto fino a oggi. Perché non dovrebbero continuare a farlo domani?

Roberto Ciccarelli - Giuseppe Allegri
pubblicato su MicroMega 


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