martedì 19 marzo 2013

JUMPINSHARK: IL WEB E L'ARTE DELLA MANUTENZIONE DELLA NOTIZIA


Jumpinshark è un blogger da seguire per chi in rete è alla ricerca di una critica dell'ordine del discorso. Il mito degli “startupperoi”,ad esempio. Quell'idea, sillabata dal giornalista Riccardo Luna, forte del seguito di siti mainstreaming (da Repubblica al Corriere della Sera), accolta dai ministri Passera e Profumo che più volte hanno annunciato di avere stanziato 256 milioni di euro per l'avviamento di imprese innovative (start-up).

"Il lavoro bisogna inventarselo" perché in natura non lo si trova e quello che cresce sugli alberi è precario e umiliante. Oggi non basta aspettarlo da un benefattore pigramente adagiati sul bordo del fiume dell'assistenzialismo. Questi sono gli startupperoi le cui gesta – alcune, pochissime, di rilievo – vengono raccontate usando il registro del cumenda milanese o della moglie del maestro di Vigevano che spinse il marito a lasciare il suo lavoro per mettersi a fare scarpe: “Meglio un giorno da imprenditore, che mille da pecora”.

Anche il nuovo mito sostiene che tutti possono creare una start-up: basta un garage e un pizzico di genio visionario di Leonardo da Vinci. Cosa c'è che non va in questa narrazione apparentemente irenica, che alimenta la speranza di una liberazione da cui trarre un reddito di sostentamento, senza attendere la raccomandazione, una prece, una chiamata nell'empireo dei salvati con contratto o una committenza di favore?


Le start up e il banco della limonata
Sotto la scorza di pragmatismo esperto di vita, scrive Jumpinshark, questo principio allude solo ai i bimbi dei Peanuts e delle serie tv americane che “fanno impresa” allestendo il banco della limonata a cinque centesimi. Il problema dell'indipendenza in una società di schiavi, come quella italiana, è reale. Il discorso sulle start-up ne coglie il senso e lo affida alla speranza di trovare la pietra filosofale anche in Italia. Di esempi come questi se ne potrebbero fare a bizzeffe, visto che l'informazione in rete produce miti su un altro mondo è possibile, l'importante che non siano realtà realizzabili nel nostro.
Forse per sincero entusiasmo e per alata speranza in un futuro migliore di prosperità generale falsa oggi il presente italiano - scrive Jumpinshark -  cercando di incastrarlo dentro i suoi sogni di startupper seriali e distruzione creatrice. E così agendo, invece di portare la felicità generale ("può essere un anno memorabile. Startup, Italia!", in conclusione) rischia di portare solo la sua piccola particolare (e classista) tanica di benzina per il rogo delle garanzie minime del lavoro (ben oltre quindi il "posto fisso" del suo inizio). Sacrificando ogni diritto sull'altare del feticismo digitale, raccontando il mito regressivo dell'innovazione e sollevando la deregolamentazione estrema della startup in crunch mode a modello generale."
E' questo l'humus, fertilissimo, sul quale è cresciuto il discorso sulla "generazione perduta" come quello sulla liquidazione dell'università e, in generale, dell'istruzione pubblica. Jumpinshark si immerge senza paura di sporcarsi le mani, e da tutto questo trae il senso dell'"innovazione": l'impresa non ha bisogno di "competenze", leggi autonomia e indipendenza che sono idee strambe che possono venire all'università mettiamo. Ci vuole disponibilità e prontezza, con una parola "professionalità", per rispondere all'appello degli imprenditori che dicono di avere bisogno di manodopera, anche di quella "high skilled". Che però non assumono, come emerge in questo rapporto commissionato dalla Cna al Censis.

All'origine della bolla (informativa): la tabloidizzazione dell'infoweb 
Nell'ebook pubblicato per Minimum Fax Il web e l'arte della manutenzione della notizia. Ilgiornalismo digitale in Italia,  Alessandro Gazoia, in arte Jumpinshark, coglie l'essenza di una bolla informativa che si forma in rete, dove i discorsi producono un “effetto di realtà”, approdando sui quotidiani cartacei o in Tv. È una catena di senso che alimenta il giornalismo tradizionale, che trasforma questo “effetto” nella verità di un fatto.

Jumpinshark interrompe il flusso, lo ricostruisce in una sequenza critica, ne spiega la genesi, a partire dal giornalismo digitale negli Usa e dalla sua pervasività che estende la convergenza transmediale tra il cartaceo, la Tv, la radio anche in Italia. Nel suo libro spiega la trasformazione del lettore in curatore della notizia, e non più in fruitore passivo; descrive le testate nate digitali: da Il Posta Linkiesta o AgoraVox. Articola una critica della contaminazione tra politica e gossip – della confusione tra opinioni e fatti – che l'infoweb ha recepito dal giornalismo “maggiore”, quando Paolo Mieli sul Corsera e Ezio Mauro su La Stampa avviarono la “tabloidizzazione”: i giornali sono interessanti quando scrivono dei fiori di Bach e non su Bach, l'omonimo compositore.

Tutto questo in rete si traduce nel “boxino morboso”, cioè nella famosa “colonna di destra” di siti come Repubblica.it, al qualelo scrittore Giorgio Vasta ha dedicato un memorabile ritratto. Qui si annidano notizie su Nicole Minetti in topless mentre, a pochi pixel di distanza, spunta Napolitano che si sofferma sull'importanza di essere italiani. Si chiama strategia “acchiappa-click” e permette di aumentare il traffico sui siti e dunque la pubblicità. Jumpinshark osserva come questo sia un modello commerciale povero, a differenza dell'Huffington Post (quello originale Usa). La decisione del gruppo Espresso di creare un pay wall cioè l'accesso alle notizie a pagamento, cerca di rispondere a questa crisi. Lo ha fatto il New York Times. Con qualche speranza di successo in più, visto che l'inglese è una lingua molto più letta dell'idioma italico.

È questo il presente del giornalismo digitale business-orientend: si scrive quello che crea traffico, e spesso si favoriscono le “narrazioni tossiche” che, come abbiamo visto nel caso degli startupperoi, arrivano a condizionare il discorso politico. Non tutto però resta nella gabbia d'acciaio. Lo dimostrano siti come China-files, Giap dei Wu Ming o lit-blog come Minima&Moralia. Tra questi, e miriade d'altri pertugi, passa oggi il flusso esoterico del pensiero critico, del giornalismo d'inchiesta, delle narrazioni utopiche.

Quanto a click talvolta non hanno nulla da invidiare al mainstreaming. È successo a Matteo Miavaldi di China-files che ha scritto sul caso deiMarò in India tutto quello che i media italiani non hanno visto (o voluto vedere) prima dell'esplosione del clamoroso caso. Pubblicato su Giap, i contatti sono esplosi, tirando giù il server, insieme a quello di China Files. Non tutto quello che si muove in rete è alla caccia del capitale. Di certo il capitale condiziona la visibilità e il senso della notizia. E si alimenta con il lavoro gratuito dei blogger a cui ricorrono, ad esempio, Il Fatto quotidiano o l'Huffington Post di Lucia Annunziata.

Jumpinshark non offre soluzioni, ma dimostra che il punto di vista conta nella costruzione della notizia. E la notizia non sempre è il marketing curato dai giornalisti di professione. 


Roberto Ciccarelli

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