Lo
stordimento che regna a sinistra – tra gli astenuti, i movimenti e
nella “società civile”,
tra
gli elettori Pd-Sel,
insomma
milioni di persone – deriva da un'illusione: il successo elettorale
contro la “Casta” di Grillo avrebbe realizzato tutto quello che
non ha fatto la “sinistra” da Genova a oggi: per non risalire
agli anni '80 del Novecento. Per chi ha urlato nelle piazze “non ci
rappresenta nessuno”, così come per chi per ben altre
ragioni ha sbavato per anni per ritornare in parlamento, questo
è uno choc.
Grillo ha dimostrato che non
occorre la magniloquenza per fare qualcosa di modesto: amministrare
un sistema fallito. Il suo anti-parlamentarismo opera in parlamento e
nelle istituzioni affinché il sistema non imploda su se
stesso, corregga le sue aberrazioni, ristabilisca una razionalità
e l'equità. In attesa che guadagni il 100% dei consensi –
c'è dunque tempo – si può al momento dire che il
grillismo è il sintomo di una vacanza politica che dura già
da anni. E la sua opposizione al sistema non permetterà la
formazione di un governo capace di amministrare la crisi per salvare
un sistema marcio.
Il
Movimento 5 stelle (M5S) è anche l'espressione della
condizione del quinto stato contemporaneo, e della sua richiesta si
sicurezza sociale. I suoi voti provengono anche da
sette
milioni di esseri umani in carne ed ossa, lavoratrici e lavoratori
flessibili, intermittenti, autonomi, confinati nel lavoro servile e
impoverito, e dei milioni over-40 e 50, disoccupati, inoccupati,
sottoccupati, precariamente occupati e Neet. Sono persone vessate,
impoverite, ricattate, subiscono insopportabili costi individuali,
previdenziali e assistenziali, in assenza di concrete prestazioni
sociali. E senza governo.
La
consapevolezza di questa situazione è avvertita anche nel
sindacato. Ne abbiamo discusso nella presentazione
alla Fondazione Brodolini di Roma del libro In-flessibili.
Guida pratica della CGIL per la contrattazione collettiva inclusiva e
per la tutela individuale del lavoro di
cui ha già parlato Sergio
Bologna.
Diamo per un momento credito all'idea che sia in atto
un ripensamento dentro una parte della CGIL. Ammesso che sia vero,
pensiamo che ci siano persone nel sindacato con le quali concordare
almeno sull'individuazione di un nemico comune: non la casta dei
politici, dei sindacati, dei banchieri, ma le loro politiche.
Per
questo i nemici non sono Grillo, né i suoi avversari. Sono le
riforme del lavoro degli ultimi venti anni, le riforme Damiano-Treu,
e il macigno dell'articolo 1 della riforma
Fornero,
il cosiddetto «contratto
dominante»,
del lavoro subordinato a tempo indeterminato: una chimera. Il nemico
è l'ossessione che oggi distrugge il paese, e il suo Welfare,
proprio come la crisi: l'idea monolitica del lavoro subordinato che
attraversa la sinistra e da sempre e, in maniera più feroce,
proprio in questi ultimi venti anni, il sindacato.
Non
stiamo prospettando il solito conflitto, più che altro agìto
dalla destra e subìto dalle dirigenze sindacali culturalmente
subalterne, del lavoro autonomo contro il lavoro dipendente. Questa
rappresentazione della società non regge più sotto i
colpi dell'impoverimento generalizzato, anche perché entrambe
le parti concepiscono una società fondata sul lavoratore
maschio, proprietario almeno della casa, titolare di un contratto a
tempo indeterminato, capo di famiglia. Questo dice la legge. La
nostra società, e i suoi lavori, non sono minimamente
rappresentati da questa legge. Una consapevolezza diffusa a livello
nazionale, quando lanciammo l'appello
contro la riforma Fornero che raccolse migliaia di adesioni.
Ipotizziamo allora che l'M5S sia
solo il primo movimento ad avere imposto una discontinuità in
Italia. E immaginiamo che ci sia un “secondo tempo”, anche molto
ravvicinato. Dopo la prima risposta grillina alla crisi della
rappresentanza politica, ce ne potrebbe essere un'altra alla crisi
sociale. E questa risposta potrebbe essere articolata su tre
prospettive:
-
la prima si rafforza dentro e contro l'orientamento prevalente nei
sindacati, quelli che ancora credono che il “contratto dominante”
sia quello subordinato a favore di una società che garantisca
e valorizzi le molteplicità attività che oggi esistono
nel mondo del lavoro. Il sindacato dev'essere policentrico, come
scriveva Pino
Ferraris,
imparare a fare società alleandosi con l'associazionismo, il
mutualismo e l'auto-impresa. “Questo
Paese può ripartire se riusciamo a mettere insieme smanettoni,
con piccola e media impresa”
ha spiegato Aldo
Bonomi.
In una parola, dentro e soprattutto fuori i sindacati, confederali e
di base, le associazioni del lavoro professionale ordinistiche e non
ordinistiche, i movimenti, iniziamo a costruire insieme una
freelancers
union,
nessuno escluso.
-
La seconda dev'essere una battaglia radicale contro tutto quello che
è “rappresentanza di sinistra”, dentro e fuori i partiti
attuali, promuovendo l'auto-organizzazione a tutti i livelli nella
partecipazione pubblica, amministrativa e sociale, nei luoghi del
precariato, del lavoro, ma anche nei diritti civili. Creare e
diffondere autonomia, nella società, nell'impresa e nel
lavoro. E pensiamo insieme a nuovi
distretti di economia solidale,
produzione
condivisa di ricchezza e servizi,
fare
impresa tra artigianato professionale e cooperazione sociale.
Valorizziamo gli spazi pubblici dismessi, il recupero sociale,
economico, produttivo dei territori metropolitani abbandonati dalle
istituzioni e di quelli provinciali senza investimenti economici:
tutti e due spazio di conquista della rendita e della malavita.
-
la terza prospettiva è la premessa alle altre due: emerge dal
mondo dell'auto-governo dei movimenti e delle mobilitazioni civili e
vuole riformare il
Welfare
in senso universalistico,
non ancorandolo a figure di vita e lavorative superate da trent'anni,
ma riformulandolo intorno alla tutela della persona nel suo percorso
di vita, a partire dalla garanzia di un reddito
di base,
che tutti gli altri Paesi europei hanno cominciato ad introdurre
negli anni '70 del Novecento e che noi non abbiamo mai avuto.
Lasciamo al parlamentarismo e ai
suoi avversari i programmi elettorali. Si consumeranno nella lotta
per conquistare il guscio vuoto del sistema che vogliono proteggere.
Costruiamo una forza politica, e sociale, che valorizzi le forme di
vita e l'operosità che già si sfiorano oggi nel “quinto
stato”.
Non abbiamo niente da difendere.
Tutto da creare.
Giuseppe Allegri-Roberto Ciccarelli
Non abbiamo nulla da difendere, tutto da creare.
RispondiEliminaE' vero.
Ma risulta molto difficile far comprendere che è venuto il tempo per alcuni di lasciare spazio.
Senza un'organizzazione di questa rete, territorialmente definita, nulla sarà possibile oltre le mura della specificità da strapaese. Almeno nel breve periodo.
Se invece gli "sconfitti" vogliono fare appello a quelle forze qui accennate, lasciando al tempo che trovano magistrati e politicisti di professione, allora i tempi potranno essere più veloci. E segnare seriamente un'alternativa democratica in questo Paese.