Roma, piazza dell'Esquilino, ore 17 18 dicembre 2013 foto ansa |
Il
confronto tra i forconi in piazza del Popolo e quella
dei movimenti dei migranti e per la casa all’Esquilino
è stato un viaggio nel tempo.
La
prima piazza era sospesa tra ciò che ha perduto e ciò che
non è mai esistito: la «sovranità monetaria»,
la lira che «valeva la metà ma durava il doppio», la
sensazione precaria di stare nel motore di un
capitalismo che a quel tempo funzionava
ancora, la nostalgia di una comunità nazionale oggi
espropriata dal «signoraggio bancario»
e dall’euro («una forma di schiavismo inventata
negli Stati Uniti nel 1928» è stato detto).
L’insistenza era
sul tricolore “che non è di destra né di
sinistra”, mentre qualcun altro scandiva
un’idea chiara: “l’Italia è un popolo, un destino, una
nazione”. I toni del poujadismo all’italiana
sono gli stessi della «Grande proletaria si è mossa»
di Giovanni Pascoli.
foto @Captblicero, piazza del popolo 18 dicembre 2014 |
Per
chi lo legge il discorso recitato dal poeta nel 1911 è stato
riattualizzato nel «frame» mediatico di una
presunta «rivoluzione nazionale» rivista
e corretta. Piazza del Popolo ieri voleva dunque
tornare a essere «padrona in casa propria». Padrona
cioè di tornare a consumare.
Al
centro del discorso il vittimismo sulla nazione
operosa sempre tradita e oltraggiata
all’estero («ci trattano da pecorelle») e oggi
dalla «casta» in parlamento. Quello dei forconi è un
viaggio nell’immaginario della crisi: in mancanza di
alternative plausibili, meglio tornare al
«trentennio glorioso», quando il Pil cresceva
del 2,3,4%, ciascuno aveva una casa, al lavoro veniva
riconosciuta la «dignità».
foto +furiacervelli, piazza del popolo 18 dicembre 2014 |
Non importa se vero, o meno,
e a quale prezzo quel lavoro (dipendente, autonomo,
o la piccola impresa) ha conquistato una simile
dignità. Tutto oggi sembra uguale, ma non è vero. Dal
palco hanno parlato i piccoli imprenditori
artigiani, agricoli o commercianti, o almeno
così hanno detto.
foto @captblicero, piazza del popolo Roma 18 dicembre 2014 |
Il
discorso pubblico è stato istruito da quello che il
sociologo Aldo Bonomi ha definito il risultato del la
«crisi del postfordismo italico». Dicono di
essere micro-imprenditori strozzati dalle tasse. Chissà se
negli anni d’oro quanti di loro si sono astenuti dallo
sfruttamento di un precario, di uno stagista,
di un cocopro.
14 dicembre 2010, piazza del popolo, Roma |
Lasciando
la folla rada di duemila persone, il ricordo di un’altra
piazza del Popolo, quella del 14 dicembre 2010, giorno della
fiducia (comprata) al governo Berlusconi. E della
più dura e furiosa opposizione degli studenti
contro la riforma Gelmini dell’università. Anche al
cronista fu aperta la testa da un manganello,
qualche punto di sutura.
Altra storia, altra piazza, dove
non c’erano i neo-fascisti di Casa Pound. A un quarto
d’ora di metro, tra piazza dell’Esquilino e piazza
Vittorio, ecco i migranti e i rifugiati,
i movimenti per la casa, i centri sociali. Forti,
orgogliosi, musicali. Lontani anni luce.
Roma, piazza dell'Esquilino, 18 dicembre 2013 |
Più
di cinquemila persone: migranti, occupanti delle
case, gli sfrattati, il lavoro precario della
conoscenza, dei servizi, quello più qualificato
e meno qualificato. Persone che non hanno
nulla da rimpiangere, molto da perdere, tutto da
conquistare. In quel paese compianto dall’altra
piazza non avevano cittadinanza, tanto meno ce
l’hanno oggi.
Roma, via Merulana, 18 dicembre 2013 |
Molti di loro ci sono arrivati da poco, a chi
ci è nato da genitori stranieri quella
cittadinanza non viene riconosciuta. Essere
spossessati, non avere un nome, fa paura ad uno sciame di
consumatori variamente classificabile
nel basso ceto medio declassato, alla stessa composizione
multiforme del precariato che ha ormai perso
l’appartenenza ad un ceto, ma non vuole rinunciare allo
status perduto.
Roma 18 dicembre 2013 dalle parti di piazza Vittorio foto +furiacervelli |
L’insicurezza è la stessa, ma
a piazza dell’Esquilino brulicavano gli stessi
movimenti che nella Capitale sembrano avere fatto un
salto nel tempo, nel futuro anteriore.Loro
vivono nell’immaginario delle terre perdute, della
deindustrializzazione, delle case fantasma
(a Roma ce ne sono 140 mila sfitte). Migliaia di persone si sono
installate in ettari di spazi industriali, nei palazzi
della speculazione finanziaria, quella di
Stato e quella dei costruttori padroni di Roma.
Poveri
urbani, proletariato giovanile o di
mezza età, classi medie pauperizzate. La saldatura
tra italiani e stranieri, quella che qui chiamano
«Roma meticcia», nasce dal bisogno, ma rafforza una
condizione comune nel Quinto Stato che disperatamente
reagisce alla penuria.
Questo "cosmopolitismo dal basso" non rientra ancora nel «frame» mediatico italiano,
oggi è quello dei «forconi», domani chissà. Ciò che
sembra inquietare di più la narrazione sulla
crisi oggi è questa richiesta di avere il diritto ad
avere diritti da parte di tutti i cittadini. John
Holston o Arjun Appadurai l’hanno definita
la «cittadinanza insorgente» dei movimenti
urbani e della casa in Brasile o in India.
Roma 18 dicembre 2013 foto Simona Granati |
Roberto Ciccarelli
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