giovedì 19 dicembre 2013

LA SOLITUDINE DEI FORCONI NELLA «ROMA METICCIA»

Roma, piazza dell'Esquilino, ore 17
18 dicembre 2013
foto ansa 

Il con­fronto tra i for­coni in piazza del Popolo e quella dei movi­menti dei migranti e per la casa all’Esquilino è stato un viag­gio nel tempo.

La prima piazza era sospesa tra ciò che ha per­duto e ciò che non è mai esi­stito: la «sovra­nità mone­ta­ria», la lira che «valeva la metà ma durava il dop­pio», la sen­sa­zione pre­ca­ria di stare nel motore di un capi­ta­li­smo che a quel tempo fun­zio­nava ancora, la nostal­gia di una comu­nità nazio­nale oggi espro­priata dal «signo­rag­gio ban­ca­rio» e dall’euro («una forma di schia­vi­smo inven­tata negli Stati Uniti nel 1928» è stato detto). 

L’insistenza era sul tri­co­lore “che non è di destra né di sini­stra”, men­tre qual­cun altro scan­diva un’idea chiara: “l’Italia è un popolo, un destino, una nazione”. I toni del pou­ja­di­smo all’italiana sono gli stessi della «Grande pro­le­ta­ria si è mossa» di Gio­vanni Pascoli.


foto @Captblicero,
piazza del popolo 18 dicembre 2014
Per chi lo legge il discorso reci­tato dal poeta nel 1911 è stato riat­tua­liz­zato nel «frame» media­tico di una pre­sunta «rivo­lu­zione nazio­nale» rivi­sta e cor­retta. Piazza del Popolo ieri voleva dun­que tor­nare a essere «padrona in casa pro­pria». Padrona cioè di tor­nare a consumare.
Al cen­tro del discorso il vit­ti­mi­smo sulla nazione ope­rosa sem­pre tra­dita e oltrag­giata all’estero («ci trat­tano da peco­relle») e oggi dalla «casta» in par­la­mento. Quello dei for­coni è un viag­gio nell’immaginario della crisi: in man­canza di alter­na­tive plau­si­bili, meglio tor­nare al «tren­ten­nio glo­rioso», quando il Pil cre­sceva del 2,3,4%, cia­scuno aveva una casa, al lavoro veniva rico­no­sciuta la «dignità». 
foto +furiacervelli,
piazza del popolo 18 dicembre 2014
Non importa se vero, o meno, e a quale prezzo quel lavoro (dipen­dente, auto­nomo, o la pic­cola impresa) ha con­qui­stato una simile dignità. Tutto oggi sem­bra uguale, ma non è vero. Dal palco hanno par­lato i pic­coli impren­di­tori arti­giani, agri­coli o com­mer­cianti, o almeno così hanno detto.
foto @captblicero,
piazza del popolo Roma 18 dicembre 2014
Il discorso pub­blico è stato istruito da quello che il socio­logo Aldo Bonomi ha defi­nito il risul­tato del la «crisi del post­for­di­smo ita­lico». Dicono di essere micro-imprenditori stroz­zati dalle tasse. Chissà se negli anni d’oro quanti di loro si sono aste­nuti dallo sfrut­ta­mento di un pre­ca­rio, di uno sta­gi­sta, di un cocopro.
14 dicembre 2010,
piazza del popolo, Roma
Lasciando la folla rada di due­mila per­sone, il ricordo di un’altra piazza del Popolo, quella del 14 dicem­bre 2010, giorno della fidu­cia (com­prata) al governo Ber­lu­sconi. E della più dura e furiosa oppo­si­zione degli stu­denti con­tro la riforma Gel­mini dell’università. Anche al cro­ni­sta fu aperta la testa da un man­ga­nello, qual­che punto di sutura. 
Altra sto­ria, altra piazza, dove non c’erano i neo-fascisti di Casa Pound. A un quarto d’ora di metro, tra piazza dell’Esquilino e piazza Vit­to­rio, ecco i migranti e i rifu­giati, i movi­menti per la casa, i cen­tri sociali. Forti, orgo­gliosi, musi­cali. Lon­tani anni luce.
Roma, piazza dell'Esquilino,
18 dicembre 2013
Più di cin­que­mila per­sone: migranti, occu­panti delle case, gli sfrat­tati, il lavoro pre­ca­rio della cono­scenza, dei ser­vizi, quello più qua­li­fi­cato e meno qua­li­fi­cato. Per­sone che non hanno nulla da rim­pian­gere, molto da per­dere, tutto da con­qui­stare. In quel paese com­pianto dall’altra piazza non ave­vano cit­ta­di­nanza, tanto meno ce l’hanno oggi. 
Roma, via Merulana,
18 dicembre 2013
Molti di loro ci sono arri­vati da poco, a chi ci è nato da geni­tori stra­nieri quella cit­ta­di­nanza non viene rico­no­sciuta. Essere spos­ses­sati, non avere un nome, fa paura ad uno sciame di con­su­ma­tori varia­mente clas­si­fi­ca­bile nel basso ceto medio declas­sato, alla stessa com­po­si­zione mul­ti­forme del pre­ca­riato che ha ormai perso l’appartenenza ad un ceto, ma non vuole rinun­ciare allo sta­tus per­duto.

Roma 18 dicembre 2013
dalle parti di piazza Vittorio
foto +furiacervelli 
L’insicurezza è la stessa, ma a piazza dell’Esquilino bru­li­ca­vano gli stessi movi­menti che nella Capi­tale sem­brano avere fatto un salto nel tempo, nel futuro anteriore.Loro vivono nell’immaginario delle terre per­dute, della dein­du­stria­liz­za­zione, delle case fan­ta­sma (a Roma ce ne sono 140 mila sfitte). Migliaia di per­sone si sono instal­late in ettari di spazi indu­striali, nei palazzi della spe­cu­la­zione finan­zia­ria, quella di Stato e quella dei costrut­tori padroni di Roma. 
Poveri urbani, pro­le­ta­riato gio­va­nile o di mezza età, classi medie pau­pe­riz­zate. La sal­da­tura tra ita­liani e stra­nieri, quella che qui chia­mano «Roma metic­cia», nasce dal biso­gno, ma raf­forza una con­di­zione comune nel Quinto Stato che dispe­ra­ta­mente rea­gi­sce alla penuria.

Questo "cosmopolitismo dal basso" non rien­tra ancora nel «frame» media­tico ita­liano, oggi è quello dei «for­coni», domani chissà. Ciò che sem­bra inquie­tare di più la nar­ra­zione sulla crisi oggi è que­sta richie­sta di avere il diritto ad avere diritti da parte di tutti i cit­ta­dini. John Hol­ston o Arjun Appa­du­rai l’hanno defi­nita la «cit­ta­di­nanza insor­gente» dei movi­menti urbani e della casa in Bra­sile o in India.

Roma 18 dicembre 2013
foto Simona Granati



Roberto Ciccarelli

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