È
forse il destino di Nick Cave & The Bad Seeds a Roma: capitare
in date storiche.
Li
avevamo lasciati con le luci dell'ambulanza accese che fendevano la
folla, la sera del 23
maggio
1992,
al Tenda
Strisce sulla Cristoforo Colombo,
mentre si parlava sottovoce, a occhi bassi. Ricordo un Prince Faster
affranto e interdetto, tra gli altri. Era il giorno della tragica
strage di Capaci: “il concerto andrebbe annullato”, ci dicevamo
sommessamente mentre ci avvicinavamo all'EUR.
Invece
assistemmo a una perfomance
indemoniata, con il nostro idolo invasato, capelli
lunghissimi
e sovreccitato. Tanto quanto un Blixa Bargeld irresistibile
provocatore, da nevrastenico rumorista col fomento qual era ed è.
Come se tutta la rabbia, la frustrazione e la tristezza di quella
giornata fosse esplosa nel delirio del Tenda Strisce. Era il tour di
Henry's
Dream,
ma con versioni indescrivibili di The
Good Son,
Deanna
e
The Carny,
oltre a una superba Jack
The Ripper (qui
la scaletta). Poi l'epilogo a sirene spiegate.
“Ancora
l'eroina”, si diceva, sempre a mezza bocca. In ogni caso erano anni
complicati, eppure sconvolgenti, per Nick
Cave
& The
Bad
Seeds
dell'iconoclasta Blixa Bargeld e del genietto Mick Harvey.
Con
molto più distacco mercoledì 27 novembre 2013, sempre a
Roma, al Senato della Repubblica, alle 18 andava in scena la
decadenza di un uomo che ha tenuto in scacco questo Paese per
vent'anni. E intorno alle 23, all'Auditorium Parco della Musica, solo
un paio di chilometri più a nord, Nick Cave intonava il primo
bis, God
is
in
the
House:
“This
song's for Silvio”.
Una perla malinconica, che zittisce il pubblico. E che spiazza con la
sua poesia e quel pizzico di sarcasmo contenuto nella dedica.
È
stata una serata indimenticabile. E
per molti versi migliore di quella degli anni novanta.
Un Nick Cave in forma smagliante, nonostante i sessanta si
avvicinino. Per fortuna senza i baffetti dell'epoca Grinderman:
anche i capelli sembrano tornati ai suoi vent'anni da Birthday
Party.
E chissenefrega se le malelingue parlano di tintura.
Soprattutto
un'atmosfera esaltante, come in tutte le date di questo tour (qui
un ottimo report da Ljubljana), a partire dalla parte finale di
Jubilee
Street
che
scatena il delirio per la successiva ora e mezzo dopo. È
ovunque un crescendo di atmosfere
dark,
blues
da locale underground,
garage
post-atomico,
oscure
sinfonie celestiali.
Con la possente voce baritonale di Nick Cave sempre sull'orlo
rabbioso di una lirica malinconia senza tempo. L'unico rammarico è
che con la platea a 60 euro a poltrona il pubblico che preme sotto il
palco e protende le braccia verso l'estasi
della caverna
è solo parzialmente di oramai trentennali seguaci
(soprattutto
un gruppetto sulla sinistra del palco). Mentre egemone appare il
generone romano, tanto che le tre persone che salgono sul palco,
manco cantano una strofa delle canzoni in questione (da Mermaids
a
We
Real Cool).
Perché non si può scendere dalle balconate in platea:
ma noialtri del loggione rimaniamo Les
Enfants
du
Paradis!
La
sensazione è che Nick Cave stia benissimo fisicamente e in
stato di grazia vocale e musicale. I Bad Seeds esteticamente un po'
in ombra, a cominciare dal grandissimo Barry
Adamson,
che si stenta a riconoscere. Sicuramente la parte dell'eroe (“What
hero!!”
esplode a un certo punto Nick Cave) la fa il folle Warren
Ellis,
mentre suona il violino da invasato (salendo e scendendo dalla
sedia), piuttosto che la sua chitarrina. È il ruolo lasciato
vuoto da Blixa: quella dell'esagerazione anche rumoristica.
E
c'è da dire che le versioni di Tupelo,
From
Her To Eternity
e The
Mercy Seat
sono mastodontiche, mentre Sad
Waters
è da lacrime e Deanna
scatena la parte più affezionata del pubblico, ma anche Barry
Adamson (The
Negro Inside Me!)
col suo tamburello. Ma di ottimi report
del concerto romano abbonda la rete, a partire da Nerds
Attack.
Quello
che vale la pena ribadire è la potenza inaudita del suono Bad
Seeds (forse la
migliore
band in circolazione?) e della performance vocale di Nick Cave
potente e lirico, esaltato e poetico, luminescente e oscuro: con i
pezzi al piano che non sono pause dalla tensione, ma evoluzione di
uno stato di grazia.Poco
conta che ovunque vada ripeta gli stessi gesti, come a Milano
la sera successiva.
Nicola
e i Semi
Cattivi
sembrano indicarci una strada, che tiene insieme il delirio
collettivo sul palco, con la ferrea autodisciplina di tutela e cura
della propria indole. Se, parafrasando il tanto amato Antonin Artaud,
“la
logica anatomica dell’uomo moderno è proprio di non aver mai
potuto vivere, né pensare di vivere, che da invasato”
Nick Cave e la sua ballotta ci dicono che questi sono i tempi per
tenere insieme, ed alimentare reciprocamente, furioso
talento individuale e invincibile fomento collettivo.
Il Console
Sintesi perfetta! Grazie per il link. Ho visto qualche video, condivido l'impressione sui fans qualunquisti.. Ma la tizia che balla su "Papa won't leave you Henry" e non si decide a scendere dal palco!? Mah.. Saluti cavernosi a te! Long live The Bad Seed!
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