Il movimento 5 Stelle è
il braccio politico-elettorale di un complesso aziendale, Beppe
Grillo e la Casaleggio & Associati, che ha come obiettivo il
profitto. Nel pamphlet Clic! Grillo, Casaleggio e la demagogia
elettronica (Cronopio, pp. 150,
euro 12,50), Alessandro Dal Lago spiega che non si tratta solo di un
profitto monetario, anche se i guadagni del blog di Beppe Grillo
sembrano cospicui, bensì di un valore pregiatissimo nella
politica contemporanea: l’influenza e dunque il consenso.
Per
Dal Lago la tecnica M5S per conquistare il consenso è ispirata
ad un’antica formula filosofica: la complexio
oppositorum. In logica questa
espressione, immortalata da Carl Schmitt in un saggio sul
cattolicesimo, significa “aggregazione degli opposti”. Nella
pratica quotidiana dei 5 stelle essa permette di mantenere sullo
stesso piano un discorso sulla No Tav o sul “reddito di
cittadinanza”, temi di “sinistra”, e la xenofobia
anti-immigrati, tema di “destra”. La conquista dell’influenza
avviene a costo della cancellazione della contraddizione politica
destra contro sinistra (“sono solo congetture”, dice l’inno dei
5 Stelle) e a favore dalla contrapposizione tra il bene (il “popolo”)
contro il male (la “casta”).
Questa
idea “moralistica” della politica è l’altra faccia
dell’autocrazia istituita da Grillo in un movimento che cancella
l’autonomia strategica degli eletti dal Parlamento in giù.
Vengono trattati da “dipendenti”, scrive Dal Lago citando un
passaggio del libro Siamo in guerra di
Grillo e Casaleggio: “Dobbiamo abituarci a pensare al politico come
a un nostro dipendente – scrivono - Un dipendente che fallisce
tutti i suoi obiettivi è licenziato dal datore di lavoro. Noi
siamo i datori di lavoro”. Per “noi” qui s’intende il
“popolo”, ma anche il possessore del marchio dei 5 Stelle.
Che
un blog riesca a governare un cospicuo numero di rappresentanti è
un fatto senza precedenti nella democrazia italiana. Per Dal Lago
questo è un esempio di manipolazione della sfera politica che
configura una “democrazia plebiscitaria virtuale” o “fascismo
elettronico”. Se nel fascismo storico il capo-partito, era
superiore allo stato in quanto espressione diretta del popolo in
quello virtuale i due leader sono superiori alla rappresentanza
politica perché agiscono in nome dei “cittadini”.
C’è
tuttavia da chiedersi perché 9 milioni di persone abbiano
votato, o continueranno a votare, un movimento così
pericoloso. Esprimono una preferenza per il fascismo? Trovano
nell’illusione della democrazia diretta, e nell’offerta di
visibilità mediatica a questioni come la disoccupazione, la
lotta contro le grandi opere, i costi della politica, un motivo
sufficiente per correre un rischio così grave? Certo, la
manipolazione del blog grillino è potente, la retorica
anti-casta è ormai un’idioma comune. Ma, qualora fosse reale
il pericolo di “fascismo”, è probabile che l’M5S
perderebbe gran parte del suo consenso.
Al
momento, il populismo digitale “grillino” sembra offrire
un’alternativa alla crisi dello “stato dei partiti” e in
particolare alla sua difficoltà a garantire la continuità
di un esecutivo forte e ad assicurare il concorso dei cittadini alla
partecipazione politica. La stessa riforma costituzionale che rientra
nella missione delle larghe intese vuole risolvere la crisi dei
partiti proponendo una forma istituzionale fondata sul
presidenzialismo e sugli imperativi di un’austerità soft.
Con la sua proposta di “democrazia diretta”, Grillo è
riuscito nell’impresa di farsi accreditare come l’alternativa a
questo progetto. Un’alternativa che confonde il massimo della
partecipazione democratica con il massimo della subordinazione ad un
capo.
Questo
consenso rispetto ad un progetto paradossale è probabilmente
il risultato di una speranza, quella di rovesciare la crisi della
democrazia italiana, la sua ideologia liberaldemocratica anche nelle
versioni aggiornate neoliberali, quella che non afferma la “volontà
popolare”, non recluta i “migliori” per le cariche pubbliche,
non risolve i problemi sociali ed economici. Il successo dei 5 Stelle
dipende dall’avere conquistato questo credito. Un valore
inestimabile sul mercato della politica, dopo vent’anni di
berlusconismo, che tuttavia non garantisce un’apertura
nell’orizzonte delle possibilità, né una reale
innovazione politica. Anzi, nella sua debolezza, rischia di
confermare il regime contro il quale questo movimento sostiene di
volersi opporre.
Al
fondo di questa vicenda, Grillo e Casaleggio hanno compreso come i
movimenti di base siano plurali e non riconducibili alla sintesi
della forma partito, quello del secondo Dopoguerra, come ancora crede
la sinistra. Tuttavia indirizzano il movimento, che è
democrazia reale in atto, non verso la liberazione dalle istituzioni
che opprimono le persone, bensì verso la crescita della loro
influenza. “Se vogliamo sfuggire alla cattura del mondo grillinio,
new Age e
manipolatorio – conclude Dal Lago – dobbiamo tornare all’idea
di movimento che non comporta alcun telos,
e quindi nessun risultato conclusivo”.
Il
movimento è “assenza d’opera”, categoria desunta dal
filosofo francese Jean-Luc Nancy. Per questo si presta a
strumentalizzazioni, aggiunge Dal Lago. È vero, ma in quanto
assenza d’opera il movimento è anche costruzione di
potenzialità e rovesciamento della dialettica tra schiavo e
padrone, dominato e dominante. Proprio quelle possibilità
escluse oggi.
Roberto Ciccarelli
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