martedì 25 novembre 2014

GIORNALISTI "4 EURO A PEZZO", LA LOTTA PER UN ALTRO SINDACATO

Roberto Ciccarelli

101 voti. Non ho mai pensato di candidarmi ad alcunché, adesso che sono stato eletto a delegato per il 22° congresso dell'associazione stampa romana sono emozionato. Qualcuno lo conosco, molti altri no. Ecco, spero che questo voto sia utile a tutti e un giorno a chi, freelance e precari, ho incontrato in questi anni. Grazie a tutt*. L'occasione fa il racconto: quello delle lotte dei giornalisti precari e freelance in Italia, contro l'"accordo truffa" sull'equo compenso e il nuovo contratto di categoria. Un contratto che è l'anticipazione del Jobs Act.

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Quello dei giornalisti è stato un sindacato forte di una categoria ricca. Oggi è un sindacato corporativo di una categoria impoverita arroccata a difesa dello status di pochi, mentre il 60% dei giornalisti italiani non lavora in redazione. Lavorano da precari, da freelance, senza diritti che non siano quelli contrattati a voce nel tran tran di un lavoro a cottimo. 


Un pezzo, un culo
Un pezzo, un culo. Come dice l'operaio interpretato da Gian Maria Volonté ne La classe operaia va in paradisoL'ho fatto anch'io, un pezzo e un culo, per dieci anni. Su questa strada non ho mai incontrato il sindacato dei giornalisti. Così come non accade a chi, oggi, è un precario dell'informazione.

Sono stato pagato anche dopo un anno. Alla fine sono riuscito a comporre il puzzle. Sulla strada ho incontrato chi ha rispettato il mio lavoro. Una fortuna. Ho resistito, mi sono odiato, ho odiato, non so come ma l'equilibrio si è mantenuto. A quarantanni e qualche mese sono stato assunto. Chi oggi parla di "mercato del lavoro" direbbe "per merito". E' come fare la fotografia sul traguardo: sei arrivato primo, allora meriti di "vincere". Questa fotografia non coglie tutto il percorso: senza contratti, pagato "a pezzo", cioè a cottimo, la fatica, l'angoscia, la povertà. 

Non c'è realtà nei discorsi di chi parla oggi di lavoro. Per questo la parola "merito" mi disgusta. E' falsa. Nei fatti non si può parlare di "merito" se aspetti fino a quarantanni per potere esercitare un lavoro nel pieno dei diritti. Questa è un'eccezione, non un merito.

Ho potuto permettermi di aspettare. Il lavoro (non solo giornalistico) in Italia, te lo devi permettere. Perché dietro di te hai la tua classe che paga gli studi, ti sostiene quando non hai un lavoro, o quando aspetti anni per essere pagato. In questa società classista ho tuttavia camminato su spalle possenti. Queste spalle mi hanno spinto però a difendere l'autonomia, a crearla e a diffonderla. 


Freelance a "quattro euro al pezzo"
Sulla strada non ho incontrato un sindacato. Tanto meno quello dei giornalisti. Ho incontrato decine di freelance che a Roma, a Napoli, in Veneto o a Milano in questi anni hanno testimoniato e raccontato la realtà di un lavoro sospeso tra auto-sfruttamento e il servaggio. 

La storia risale a quattro anni fa, quando emerse la campagna per Giovanni Tizian, un cronista precario pagato una manciata di euro al pezzo, autore di inchieste sulle mafie al nord, minacciato e senza tutela. Si formarono gruppi, collettivi, i freelance iniziarono a fare inchieste sulla loro condizione. E' stato il caso degli "Errori di stampa" a Roma (ecco un articolo) L'auto-inchiesta come momento iniziale di una coscienza collettiva, molto simile a quella che sta emergendo da allora nel mondo delle professioni indipendenti, nel precariato, sia nel lavoro "cognitivo" che in quello "esecutivo". La condizione da quinto stato è la stessa.


Quinto stato
Si può essere pagati trenta, venti, dieci o anche tre euro. Al pezzo e lordi. Un prezzo che non deriva dalla contrattazione con il committente per un quotidiano, un periodico o anche per un video per una piattaforma informativa. Questo prezzo non contiene l'altra parte del compenso, quella diretta alle tutele: previdenza, malattia, disoccupazione. Tutto quello che il contratto dei giornalisti garantisce. E che invece, i precari - se vogliono, o se possono - devono pagarsi da soli. Praticamente lavorano - quando lavorano - a costo zero. Anzi, pagano per avere le tutele che dovrebbero essere garantite per costituzione.

Questa è l'esperienza di una nebulosa composta da milioni di persone che lavorano in "subfornitura accomandataria". Weber descrisse così la tipologia del lavoro nell'agricoltura. Oggi questa formula può essere usata tanto nella logistica quanto nell'edilizia, nel giornalismo come nella ricerca o nella creazione di eventi, nel terzo settore come nel precariato dei servizi. 

Con le loro inchieste, le proteste, i freelance hanno iniziato a mettere in parole questa condizione. Mi incuriosirono, ho scritto pezzi, girato servizi, organizzato con loro assemblee. Sono finiti anche in alcuni libri: La furia dei cervelli e il Quinto Stato.

L'ibrido tra dipendente e autonomo
La mobilitazione ha incalzato il sindacato. E il sindacato è stato costretto ad accorgersi della presenza di questi "invisibili" che permettono alla macchina della comunicazione di esistere. Una battaglia durissima che è ancora all'inizio. 

L'oggetto della battaglia è quella figura ibrida tra lavoro parasubordinato e lavoro autonomo: il Co.Co.Co. E' una delle più velenose creazioni del legislatore italiano dal pacchetto Treu nel 1997 ad oggi. Incapace di riconoscere la trasformazione del lavoro oggi, questo legislatore ha pensato bene di non decidere. E con questo ha lasciato in sospeso milioni di persone. Anche il freelance nel giornalismo viene trattato da lavoratore autonomo, ma viene assoggettato alla continuità e alla coordinazione, tipiche del lavoro subordinato. Senza però i suoi diritti.




Venti, dieci, tre euro a pezzo li ottieni lavorando per anni per lo stesso committente, anche se non sei un suo dipendente. Sei un libero professionista, niente ti è dovuto. Il valore del lavoro è del committente, i suoi rischi di impresa sono tuoi. In questa situazione si trovano i giornalisti esterni alle redazioni che lavorano in condizioni di dipendenza sostanziale dall’azienda (lavorando con continuità e in regime di monocommittenza).

E' un meccanismo di concorrenza al ribasso: se non accetti queste condizioni, ci sono migliaia che aspettano fuori dalla porta. Forza lavoro intercambiabile. Turn-over altissimo. Non conta la qualità, ma quantità e velocità. Una situazione che travolge le attività dei "freelance puri", coloro che sono effettivamente autonomi. Non esistendo diritti, con le paghe da fame, o sei monocommittente oppure una "firma". Nel mezzo non c'è spazio. O sei schiavo, o sei ricco. E non importa che l'ipocrisia della legge tratti da ricchi gli schiavi. Perché accade questo ai precari e nessuno sembra comprendere il paradosso.

La rivolta
I freelance e precari conoscono le storture della legislazione del precariato che ha ridotto il lavoro indipendente ad una sottoclasse schiavizzata del lavoro dipendente. Hanno iniziato a battersi per mesi nella commissione per il nuovo contratto nazionale dei giornalisti affinché il sindacato - per la sua parte - affrontasse il problema. La proposta è quella di una contrattazione inclusiva che metta paletti giuridici e contrattuali per la tutela dei diritti sia dei collaboratori che dei freelance. Un'impresa. Le aziende, gli editori, non vogliono sentire ragioni.

A giugno 2014 la Fnsi sigla il nuovo contratto con la Fieg e scoppia la rivolta. Dei freelance, dell'ordine dei giornalisti, di Cgil Cisl e Uil e dell'Associazione Stampa Romana, la più numerosa e "pesante" del paese contro la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi). Un conflitto inedito, che ha provocato scossoni dentro il sindacato. Per la prima volta nella storia del giornalismo italiano, i precari sono diventati un problema politico. Non per i datori di lavoro, ma per il sindacato e i suoi organi.

Il testo dell'accordo è un concentrato di tutti i malintesi che lastricano la precarietà italiana sulla strada dell'inferno. In altre parole, di quella cultura che ha portato gli stessi sindacati a considerare il lavoro indipendente come una variazione di quello subordinato. L'esito paradossale è stato quello di ufficializzare l'esistenza di nuovi schiavi. Nessuno, in realtà, sa come tornare indietro.

Iniquo compenso
Il nuovo contratto introduce l'equo compenso, una delle richieste del movimento dei freelance. Ma a condizioni che hanno spinto in molti a parlare di "accordo-truffa".

Prevede 250 euro di minimo per i mensili, 67 per i periodici, 20,80 euro per i quotidiani, 6,25 euro per un lancio di agenzia o per una segnalazione sul web. I compensi, lordi, aumentano del 30% se l'articolo o il servizio sono corredati da foto e del 50% con un video. Per le televisioni locali il compenso, per un minimo di 6 pezzi al mese sarà di 40 euro l’uno, per i piccoli periodici locali di 14 euro ad articolo. Per le testate che ricevono il contributo per l'editoria, le norme sull'equo compenso saranno vincolanti, pena la sua cancellazione.
Se, ad esempio, un precario di un quotidiano riuscisse nell'impresa di scrivere 432 articoli in un anno, firmando più volte al giorno, Natale e Ferragosto compresi, secondo questo tariffario arriverebbe a guadagnare 6300 euro all'anno lordi. A questa cifra bisogna sottrarre, nell'ordine: la ritenuta fiscale (21%), il contributo alla previdenza per giornalisti Inpgi (10%), qualche centinaia di euro per l'assistenza Casagit e, se pensa alla pensione, altri spiccioli al fondo complementare. 
Sempre che poi la testata – o le testate – per cui lavora paghino regolarmente e non, come spesso accade, in maniera discontinua. In tasca al freelance resterebbero 4.437 euro, circa 370 euro al mese. Un compenso minimo, ritenuto equo da editori e sindacato, a cui bisogna sottrarre i costi vivi per telefonate, ore di studio e preparazione.

Tanta strada per tornare al punto di partenza. Questo è quanto guadagnano i precari dell'informazione oggi.

L’equo compenso non si applica inoltre a chi ha un reddito inferiore ai tremila euro annui, cioè a coloro che lavorano "a pezzo" in una giungla deregolamentata. "Un corposo sostegno agli editori ma non ai giornalisti precari" ha commentato l’associazione XX maggio.

Un Jobs Act a misura di giornalisti
E' importante leggere l'accordo perché segna la prima applicazione, in un contratto nazionale di categoria, della riforma Poletti dei contratti a termine. Istituendo la figura dell’apprendista, rivolta ai pra­ti­canti gior­na­li­sti dai 18 ai 29 anni, il contratto viene rinnovato per 36 mesi e non prevede la stabilizzazione. Questo vale anche per chi rientra in azienda dopo un periodo di disoccupazione. Può essere rinnovato. Ma fino a un certo punto. Si resta precari a vita. E si può essere licenziati senza moti­va­zioni, 

«È un pic­colo Jobs Act» ha com­men­tato il sottosegretario Lotti. Non ha tutti i torti. Questa sarà la realtà per tutti, una volta approvato il Jobs Act, quello "grande".

Candidato
Diffidente, e non ostile all'idea di sindacato, ma critico contro la cultura dominante dei sindacati italiani ed europei, ho accettato l'invito dei freelance a candidarmi per qualcosa a cui mai avrei pensato. Difficile cambiare il sindacato corporativo. Oggi però è possibile affermare una nuova cultura del lavoro e dell'organizzazione. Lo si può fare dai singoli, a partire dai luoghi più difficili della subordinazione. Le redazioni rientrano in questa categoria.

Per questo invito a votare la lista Informazione@futuro alle elezioni dei delegati dell'Associazione Stampa Romana e al 22° congresso della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi). Una lista che vede una grande partecipazione dei freelance che hanno iniziato a Roma questa lunga vincenda. 

Si vota il 28 novembre nella sede Rai di Saxa Rubra e dal 28 al 30 nella Parrocchia di San Lorenzo in Lucina in Via in Lucina 16a a Roma. E Questa è la piattaforma completa, al primo punto la cancellazione delle norme per i freelance.

1 commento:

  1. Una denuncia chiara e franca da far rabbrividire "qualcuno" ammesso che non abbia tanti strati di grasso nella coscienza, sul cuore. Da divulgare comunque e in ogni caso. Mai come nel V Potere vive la regola della strumentalizzazione per assoggettare,usare,portare ai margini,farne una povera vittima da consumo col volto del buon padre di famiglia che con misura "dona" mentre assogetta e si frega le mani. Bianca 2007

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