Sara Vian
Favoletta sull'albero dell'archivistica che cresce nel giardino delle professioni accanto a quelli dell'Archeologia, della Biblioteconomia, del Restauro, della Storia dell'arte. Con i saluti all'austera sequoia dell'Avvocatura e la splendida siepe di mirto che corre qui e là, il Giornalismo
***
Tra
le professioni dei Beni Culturali, l'Archivistica è quella più
eccentrica. E' l'unica incentrata su di un principio (la relazione tra i
documenti) e non su un oggetto (l'antico vaso, per dirne uno): per
questo, è applicabile trasversalmente a prescindere dalla natura o
dall'epoca del supporto documentale.
L'evoluzione sociale dell'ultimo
ventennio l'ha coinvolta profondamente, affiancandosi alla tradizionale
figura dell'archivista strutturato (dipendente negli archivi statali)
quella del libero professionista a committenza mista (archivi pubblici,
d'impresa, di studi professionali, di enti, ecc.); l'evoluzione digitale
ed i confini più labili tra i concetti di 'riordino' e 'gestione' hanno
imposto la ridefinizione dell'assodata cesura tra 'antichisti' e
'contemporanei', e di conseguenza tutto l'impianto formativo
tradizionale.
Uno sforzo caricato quasi completamente sulle spalle dei
freelance, per i quali ai sempre più alti standard di preparazione non
corrisponde una pari qualità di vita; per questo alcuni di essi, come
gli Archim-Archivisti in Movimento si sono uniti in una rete di
relazioni trasversali fuori categoria sui temi di lavoro, fisco e
previdenza, per ribadire l'assoluta necessità di una battaglia comune
per la sostenibilità delle professioni
C'era una volta, nel giardino delle professioni, il bell'albero
dell'Archivistica. Se ne stava piantato in una zona soleggiata accanto
al boschetto dei beni culturali, condividendone un terreno naturalmente
molto ricco; tale da poter avanzare le proprie robuste radici un po'
ovunque per un buon tratto. Il giardino, piantato da un gruppo d'appassionati
amici, era passato di mano in mano a famiglie rivali che anno dopo anno
avevano preso ad usarlo per mostrarsi alla società; e attribuendo al
proprio merito la robustezza delle radici - che si sa, se le radici son
buone i fiori vengono da sé - s'erano nel tempo lanciati in gara a chi
si produceva nella miglior concimazione. Pubblicavano le proprie formule
chimiche, si scambiavano metodologie d'applicazione, invitavano gli
amici a godere di quei frutti e della bella vista.
Purtroppo,
tutto quel concime nuoceva alle piante: col tempo i rami non
s'irrobustivano e i fiori si seccavano. Il mondo cambiò ed il giardino
passò in proprietà ad amministratori (alcuni amici dei proprietari,
altri no) interessati soprattutto a gestirne la rendita. Ognuno di essi
adottò un albero ed ognuno di essi, di fronte allo stesso problema,
elaborò soluzioni personali.
Ora non so cosa accadde agli
altri alberi; ma sembra che i responsabili del nostro non avessero
queste grandi cognizioni di giardinaggio.
Il primo, per
esempio, intuì come l'atrofia dei rami fosse dovuta al terreno, ma
attribuì il problema alle radici stesse; riuscì dunque con una barriera
chimica -plauso dei colleghi per l'ardimento- ad isolare la parte bassa
del tronco da quella superiore.
Il successore semplicemente
ignorava l'esistenza ed il ruolo delle radici in botanica: vedendo la
situazione peggiorare, ebbe l'idea di staccare i rami e si vantò
soddisfatto d'aver potato.
Ma l'albero stava morendo e qualcosa
occorreva farla; se non altro perché il peggioramento dell'estetica del
giardino ne diminuiva la rendita.
Così ne fu chiamato un
terzo. Costui, volendo arrivare a fine mandato con l'albero fiorito,
innestò sul tronco stanco i rami di un'altra pianta.
E
mentre il capostipite si rivoltava più e più nella tomba, quell'idea
produsse eco in tutta la società: tutti venivano ad ammirare ed imitare
la nuova chioma e le capacità di quell'amministratore. Sulla scia di
quel colorato successo nacquero i 'giardinieri delle cime', che
sforbiciavano, decoravano, ridefinivano e regolamentavano la botanica di
quel nuovo albero; l'anomalia di quei rami fioriti inzeppati sul tronco
fu superata felicemente ristampando i libri di giardinaggio con
immagini di sole chiome. C'era anche chi osservava che quei bei rami
sfiguravano su quella base malaticcia, e che sarebbe stato meglio
staccarli e piantarli dall'altra parte del giardino. Il tempo passò,
qualche ramo attecchì, e dopo qualche tempo si considerò gradevole quel
colpo d'occhio.
A guardarlo da dentro, l'albero faceva impressione.
Ogni
tecnico che ragioni sui fondamentali del giardinaggio -a non averli
dimenticati- sa che ogni buona crescita vegetale si deve al trattamento
del terreno ed alla circolazione della linfa. E' la linfa, non il
tronco, a fare l'albero. Si sarebbe compresa dunque la tremenda
sofferenza di quel gigante solo considerandolo dal punto di vista della
circolazione linfatica: era chiaro che l'eccessiva concimazione aveva
reso la linfa incapace di circolare, e che la cesura tra la base e la
chioma l'aveva ricostretta verso il basso ad ingolfare le radici, al
punto che molta di essa non era mai salita sopra il livello del terreno
ed il ciclo vitale era quasi fermo.
Cosa accadrà all'albero?
Non
so. So per certo che è inutile reclamare o piangere perché quel terreno
così buono è in quello stato pietoso; o puntare a ritroso il dito
contro i fanatici della concimazione o contro questo o
quell'amministratore; o ancora staccare i nuovi rami e conficcarli
dall'altro lato del giardino come fossero margherite. Fossi un
giardiniere -non lo sono; ma amo quell'albero e i fondamentali li
ricordo- direi che la prima cosa da fare sia depurare il terreno.
Alleggerire la concimazione, facendo attenzione a dosarne i componenti
per fornire un nutrimento compatibile all'intero ibrido, perché in fondo
i rami attecchiti li ha voluti la natura.
Rendiamo la linfa capace di
veicolarsi in ogni fibra dell'albero ed essa stessa, diluendosi,
faciliterà la depurazione del terreno; in più, il materiale biologico
originario degli innesti circolerebbe finalmente in basso fino alle
radici, dov'è destinato. Magari inizialmente sembrerà un po' strano da
guardare, e ci vorrà ben tempo per vedere dei risultati, e certamente
non si avrà lo stesso albero ch'era un tempo; ma in fondo l'ibrido è un
naturale step dell'evoluzione, e la vita vale sempre il tentativo
Nessun commento:
Posta un commento