mercoledì 21 gennaio 2015

L'ALBERO DEGLI ARCHIVISTI

Sara Vian 

Favoletta sull'albero dell'archivistica che cresce nel giardino delle professioni accanto a quelli dell'Archeologia, della Biblioteconomia, del Restauro, della Storia dell'arte. Con i saluti all'austera sequoia dell'Avvocatura e la splendida siepe di mirto che corre qui e là, il Giornalismo

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Tra le professioni dei Beni Culturali, l'Archivistica è quella più eccentrica. E' l'unica incentrata su di un principio (la relazione tra i documenti) e non su un oggetto (l'antico vaso, per dirne uno): per questo, è applicabile trasversalmente a prescindere dalla natura o dall'epoca del supporto documentale. 

L'evoluzione sociale dell'ultimo ventennio l'ha coinvolta profondamente, affiancandosi alla tradizionale figura dell'archivista strutturato (dipendente negli archivi statali) quella del libero professionista a committenza mista (archivi pubblici, d'impresa, di studi professionali, di enti, ecc.); l'evoluzione digitale ed i confini più labili tra i concetti di 'riordino' e 'gestione' hanno imposto la ridefinizione dell'assodata cesura tra 'antichisti' e 'contemporanei', e di conseguenza tutto l'impianto formativo tradizionale. 

Uno sforzo caricato quasi completamente sulle spalle dei freelance, per i quali ai sempre più alti standard di preparazione non corrisponde una pari qualità di vita; per questo alcuni di essi, come gli Archim-Archivisti in Movimento si sono uniti in una rete di relazioni trasversali fuori categoria sui temi di lavoro, fisco e previdenza, per ribadire l'assoluta necessità di una battaglia comune per la sostenibilità delle professioni


C'era una volta, nel giardino delle professioni, il bell'albero dell'Archivistica. Se ne stava piantato in una zona soleggiata accanto al boschetto dei beni culturali, condividendone un terreno naturalmente molto ricco; tale da poter avanzare le proprie robuste radici un po' ovunque per un buon tratto. Il giardino, piantato da un gruppo d'appassionati amici, era passato di mano in mano a famiglie rivali che anno dopo anno avevano preso ad usarlo per mostrarsi alla società; e attribuendo al proprio merito la robustezza delle radici - che si sa, se le radici son buone i fiori vengono da sé - s'erano nel tempo lanciati in gara a chi si produceva nella miglior concimazione. Pubblicavano le proprie formule chimiche, si scambiavano metodologie d'applicazione, invitavano gli amici a godere di quei frutti e della bella vista.

Purtroppo, tutto quel concime nuoceva alle piante: col tempo i rami non s'irrobustivano e i fiori si seccavano. Il mondo cambiò ed il giardino passò in proprietà ad amministratori (alcuni amici dei proprietari, altri no) interessati soprattutto a gestirne la rendita. Ognuno di essi adottò un albero ed ognuno di essi, di fronte allo stesso problema, elaborò soluzioni personali.

Ora non so cosa accadde agli altri alberi; ma sembra che i responsabili del nostro non avessero queste grandi cognizioni di giardinaggio.

Il primo, per esempio, intuì come l'atrofia dei rami fosse dovuta al terreno, ma attribuì il problema alle radici stesse; riuscì dunque con una barriera chimica -plauso dei colleghi per l'ardimento- ad isolare la parte bassa del tronco da quella superiore.

Il successore semplicemente ignorava l'esistenza ed il ruolo delle radici in botanica: vedendo la situazione peggiorare, ebbe l'idea di staccare i rami e si vantò soddisfatto d'aver potato.
Ma l'albero stava morendo e qualcosa occorreva farla; se non altro perché il peggioramento dell'estetica del giardino ne diminuiva la rendita.

Così ne fu chiamato un terzo. Costui, volendo arrivare a fine mandato con l'albero fiorito, innestò sul tronco stanco i rami di un'altra pianta.

E mentre il capostipite si rivoltava più e più nella tomba, quell'idea produsse eco in tutta la società: tutti venivano ad ammirare ed imitare la nuova chioma e le capacità di quell'amministratore. Sulla scia di quel colorato successo nacquero i 'giardinieri delle cime', che sforbiciavano, decoravano, ridefinivano e regolamentavano la botanica di quel nuovo albero; l'anomalia di quei rami fioriti inzeppati sul tronco fu superata felicemente ristampando i libri di giardinaggio con immagini di sole chiome. C'era anche chi osservava che quei bei rami sfiguravano su quella base malaticcia, e che sarebbe stato meglio staccarli e piantarli dall'altra parte del giardino. Il tempo passò, qualche ramo attecchì, e dopo qualche tempo si considerò gradevole quel colpo d'occhio.

A guardarlo da dentro, l'albero faceva impressione.

Ogni tecnico che ragioni sui fondamentali del giardinaggio -a non averli dimenticati- sa che ogni buona crescita vegetale si deve al trattamento del terreno ed alla circolazione della linfa. E' la linfa, non il tronco, a fare l'albero. Si sarebbe compresa dunque la tremenda sofferenza di quel gigante solo considerandolo dal punto di vista della circolazione linfatica: era chiaro che l'eccessiva concimazione aveva reso la linfa incapace di circolare, e che la cesura tra la base e la chioma l'aveva ricostretta verso il basso ad ingolfare le radici, al punto che molta di essa non era mai salita sopra il livello del terreno ed il ciclo vitale era quasi fermo.

Cosa accadrà all'albero?

Non so. So per certo che è inutile reclamare o piangere perché quel terreno così buono è in quello stato pietoso; o puntare a ritroso il dito contro i fanatici della concimazione o contro questo o quell'amministratore; o ancora staccare i nuovi rami e conficcarli dall'altro lato del giardino come fossero margherite. Fossi un giardiniere -non lo sono; ma amo quell'albero e i fondamentali li ricordo- direi che la prima cosa da fare sia depurare il terreno. Alleggerire la concimazione, facendo attenzione a dosarne i componenti per fornire un nutrimento compatibile all'intero ibrido, perché in fondo i rami attecchiti li ha voluti la natura.

Rendiamo la linfa capace di veicolarsi in ogni fibra dell'albero ed essa stessa, diluendosi, faciliterà la depurazione del terreno; in più, il materiale biologico originario degli innesti circolerebbe finalmente in basso fino alle radici, dov'è destinato. Magari inizialmente sembrerà un po' strano da guardare, e ci vorrà ben tempo per vedere dei risultati, e certamente non si avrà lo stesso albero ch'era un tempo; ma in fondo l'ibrido è un naturale step dell'evoluzione, e la vita vale sempre il tentativo

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