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Fino al 22 marzo la mostra del grande fotogiornalista Mario Dondero alle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma. Vita, foto, pensieri del grande fotogiornalista italiano nel video-ritratto di Marco Cruciani Calma e gesso - in viaggio con Mario Dondero, autofinanziato grazie ai contributi raccolti sulla piattaforma di crowdfunding Produzioni dal basso. Per Dondero il freelance è un giocatore di biliardo, un franco tiratore capace di carambolare tra angoli e traiettorie centrando il bersaglio. Nella città assediata del lavoro salariato, e della precarietà, il fotografo parla di un futuro che riguarda tutti noi - pubblicato su Alfabeta 2
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Sono
un franco tiratore, un freelance, dice di sè Mario Dondero. E’ la professione
del fotogiornalista: calma e gesso, come i giocatori di biliardo, attende il
suo istante. Poi il fotografo scatta, mentre il giocatore di biliardo colpisce
la palla, carambola, buca.
Questa
professione di sè, declinazione dell’identità di un fotografo e del saper fare
di un mestiere (la fotografia è sempre un mestiere per Dondero), si ascolta nel
video-ritratto di Marco Cruciani Calma e gesso - in viaggio con Mario Dondero, autofinanziato grazie ai
contributi raccolti sulla piattaforma di crowdfunding Produzioni dal basso, e
in parte proiettato nella mostra alle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma fino al 22 marzo. Dondero l’ha
disseminata qui e lì. Nelle interviste, in brevi e luminosi scritti, poi nelle
monografie a lui dedicate, infine nel libro con Emanuele Giordana Lo scatto umano .
Due
sono gli elementi che spiegano la sua “fotografia sociale”: la guerra e la
ricerca di libertà. Elementi che si trovano intrecciati in questa definizione
del freelance come franco tiratore. La tradizione del fotogiornalismo che l’ha ispirata
è quella degli ungheresi André Kertész, Brassaï, László
Moholy-Nagy, Martin Munkácsi, Simon Guttmann che nel
1928 creò la “Dephot”, l’agenzia berlinese madre di tutte le agenzie
fotografiche, Stefan Lorant fondatore del «Picture Post». Più di
tutti Robert Capa – Endre Ern Friedmann. Reporter di guerra che ha
inventato il reportage di guerra, con foto diventate mitiche. Capa raccolse
l’istante della morte del miliziano repubblicano caduto nella battaglia di
Cerro Muriano nel 1936 per un colpo dei fascisti di Franco.
Senza nazione, nè passaporto
Nato con la guerra, questo reporter freelance
rinasce - e incarna una certa origine della fotografia - in una delle figure
più irregolari, pericolose, e ambivalenti del conflitto corsaro, banditesco,
terrorista. Infine della guerra partigiana. Definirsi come franco tiratore
significa questo. Il contenuto dell’immagine trasforma dunque l’identità di chi
la scatta. E, del resto, coglie l’atmosfera propizia di una stagione creativa
del fotogiornalismo mondiale che Dondero non smette di rivendicare quando
racconta il suo lavoro.
Nella fotografia, dice Dondero, c’è una
venatura tzigana, uno spirito vagabondo, zingaresco, nomade. Tutto il contrario
di come il fotogiornalista è stato inteso in Italia: vieni qua a fotografare
l’onorevole, l’impresario, l’attore. Questa idea servile della fotografia
deriva, probabilmente, dall’idea che un bravo fotografo in fondo non ha nemmeno
una nazione, o non si sente legato a un passaporto. Questo induce i nativi, o i
dominanti, al disprezzo. Perchè non ha un lavoro, i suoi prodotti sono un
contorno della pietanza principale. Per il fotografo l’articolo che illustra.
Per i precari il lavoro salariato, o dipendente, che servono. Ma cosa succede
quando sono milioni di persone a trovarsi nella posizione del freelance, fino
ad oggi considerato come un’isola in un mare di normalità?
Storia di una lancia libera
“Un fotografo libero che preferisce la categoria
dei freelance perché non lega la fotografia a una testata di appartenenza e lascia
libero anche lo sguardo di poter vagare su ciò che più lo colpisce”. Così
Dondero spiega l’allegoria del franco tiratore: colui che colpisce o viene
colpito. Questa teoria del “colpo”, allo stesso tempo attivo e passivo, richiama lo “choc” percettivo di Walter Benjamin sul flâneur o sulla fotografia. Qui
non c’è solo un’assonanza, ma una linea di continuità. Tutto torna nella carta
di identità presentata dal fotogiornalista. Il franco tiratore colpisce, e
viene colpito. Dalla vita, dalle immagini, dalle persone.
A questo si può aggiungere la traduzione
letterale dell’espressione. Il freelance è una “lancia libera”. Lo è sin dall’origine,
visto che questa parola, diventata di uso comune anche in Italia, indica il
fante che dava la carica nello scontro tra gli eserciti. Il suo compito è di
andare avanti, sostenendo solo la sua lancia. Anzi, il fante è la sua lancia.
Come il fotografo è il suo scatto, prima ancora di essere la sua fotografia.
Sergio Bologna ha allargato, e attualizzato, il significato:
la “lancia libera” è il lavoratore autonomo contemporaneo a partita Iva. Tale
lavoratore può essere inteso come l’antico “soldato di ventura”. Assoldato da
un committente, come il fotogiornalista lo è da una redazione, da un capitano
di ventura, un signore, un monarca alla ricerca di un esercito personale. In
questa condizione si sono ritrovati tutti i lavoratori indipendenti fino alla
nascita dell’industrialismo e della manifattura capitalistica. Al termine di
questa lunga, e travagliata stagione, è ormai chiaro che la condizione del
lavoro torna ad essere quella dei “soldati di ventura”.
Lo choc della vita
Quando Dondero parla di sè come franco tiratore parla di un
futuro che riguarda tutti. Certo non tutti possono essere considerati
“freelance” - cioè puri lavoratori autonomi come i fotogiornalisti avventurieri
e nomadi che aspirano a percepire un reddito dignitoso esclusivamente dalle
loro attività di “lance libere”. Ma moltissimi oggi si trovano nella posizione
precaria di cercare una committenza, una corvée, un contatto, un’occasione per
potere mettere insieme il pranzo con la cena. Non è il ruolo che qui ci
interessa, ma la condizione che raccoglie una molteplicità di ruoli.
L’ambivalenza che il freelance deve affrontare sta nel suo
nome: free, infatti, può significare in inglese sia “libero” che
“gratis”. Il problema di chi è, o si ritrova in questa condizione, è il
pagamento delle prestazioni. Nel lavoro contadino, dove si è sofferto per
secoli il problema dell’intermediazione delle attività attraverso la mezzadria,
questo problema è stato il motivo scatenante delle rivolte. Nella crisi
attuale, la fine dell’intermediazione ha generato il problema opposto: il
rapporto personale con il committente è degenerato a tal punto da rendere
universale il ricorso al lavoro gratuito o volontario. Dalla violenza di questo
trattamento, il freelance di Dondero rifugge. Perchè ha il mondo a sua
disposizione.
Vita dura, quella del franco tiratore. Il fotografo è un
individuo fragile, è protetto pochissimo, assai meno del giornalista come
categoria (non certo come freelance, la maggioranza degli apolidi che la
costituiscono, ormai). Come i “banditi” è esposto alle peggiori sanzioni -
l’essere “bandito” dalla città - senza avere spesso nemmeno la solidarietà
delle testate per cui lavora. Ma la sua è una vita virtuosa. Il virtuosismo si
spiega nella metafora sul giocatore di biliardo.
Per Dondero la fotografia è un gioco di abilità,
un’affinamento della grazia, capace di carambolare tra angoli e traiettorie
sbilenche, per centrare imprevedibilmente - ma immancabilmente - la
buca-bersaglio-fotografia. Tutto questo è la vita del freelance, cioè
dell’apolide senza nazione, nè passaporto. Nella città assediata del lavoro
salariato e della retorica lancinante della competizione e della meritocrazia,
quella che abbonda anche nel campo dell’informazione ed è l’espressione
dell’egemonia del capitale finanziario.
Virtuosismo
Parigi, La Sorbona occupata, 1968 |
Approfondendo la metafora militare, il freelance - inteso
come franco tiratore - è un soggetto senz’altro attivo in un conflitto, e non
solo un’operaio di giornata. Egli difende, ed afferma, il suo virtuosismo, la
sua grazia. L’espressione “franco tiratore” è presente nella lingua italiana
sin dal 1870 e sembra sia stata importata dalla Francia dalle cronache
giornalistiche sulla guerra franco-prussiana. In origine, questa espressione
indica la guerra partigiana e, più tardi, il terrorismo urbano. I Franc-Tireurs
operarono nella regione dei Vosgi nel 1792, nel 1815 e nel 1870 secondo le
modalità della guerriglia, individuale o per piccoli gruppi, contro gli
eserciti regolari.
Rispuntarono nella Francia di Vichy negli anni Trenta e
Quaranta e tra le loro schiere c’erano molti italiani emigrati e fuggiaschi dal
fascismo. In seguito, questo modello è stato riadattato in Italia, a partire
dall’esperienza dei Gap. Per tutto il secondo Dopoguerra, questo modello di
combattimento è stato adottato nelle guerre di liberazione anticoloniale. Per
tornare ad essere adottata in Europa negli anni Settanta. In questi stessi anni
- potenza del linguaggio e dell’immaginario politico - il franco tiratore viene
declinato sia come “terrorista urbano” che come “cecchino parlamentare”. Da
eroe a nemico della nazione, e del consesso civile, in 150 anni. Il freelance,
cioè la figura contemporanea del lavoro indipendente, si trova nel mezzo. Ed
esprime un divenire.
Caccia alla Bestia
Ad arricchire ulteriormente l’allegoria del fotografo in
quanto franco tiratore e’è un’ultimo, e decisivo, significato. Viene dalla
letteratura, e in particolare dalla poesia di Giorgio Caproni. Nella raccolta poetica Il franco
cacciatore, da leggere insieme alle successive Il conte di Kevenhüller e Res Amissa, il poeta italiano elabora
la figura del “franco cacciatore”. La sua origine viene dall’opera romantica in
tre atti Der Freischutz, scritta da Johann August Apel e Friedrich Laun
e musicata da Carl Maria von Weber nel 1821.
Nella poesia di Caproni il “franco cacciatore” va alla caccia
di Dio, la “cosa mancante”. Il dramma è teologico, ma la poesia ha il merito di
aprire i significati di questa “caccia” (effettuata tra il bosco e un’osteria).
Ad essere cacciata è la “Besta innominabile” di cui parla il poeta francese
René Char, tradotto da Caproni. E di cui parla anche il filosofo francese
Maurice Blanchot, conosciuto da Caproni. In questo caso, la caccia alla Bestia
diventa un’allegoria del linguaggio, di una “parola che dona voce
all’assenza” . La Bestia è anche assassina: “che nessuno mai vide. / La
Bestia che sotterraneamente / – falsamente mastina – / Ogni giorno ti elide. /
La Bestia che ti vivifica e uccide… / Io solo, con un nodo in gola, / sapevo. /
È dietro la parola”. (Conte di Kevenhüller).
La Bestia è quella che Dondero definisce l’“irraccontabile”.
“I concerned
photographers, i fotografi di impegno civile - racconta - spesso hanno una
vita difficile: vogliono raccontare l’irraccontabile, quello che non si può o
non si deve raccontare. Devono affrontare censure e resistenze, sia quelle
delle istituzioni politiche sia quelle che esistono in seno alle stesse
redazioni dei giornali. Questo è il fotogiornalismo cui mi sento più vicino e
di cui mi piace parlare”.
Ciò che è fondamentale per la comprensione del nuovo soggetto
del lavoro contemporaneo è la “reversibilità” dei ruoli. L’allegoria la spiega
benissimo: per Caproni è quella tra il cacciatore e il guardacaccia: da un
lato, colui che vuole sparare a Dio, dall’altro lato colui che vuole impedire
la caccia di frode. Nella poesia di Caproni questi ruoli si confondono, sino al
punto di sovrapporsi in un’unità da cui sfuggire. Tale reversibilità rispecchia
la condizione del freelance in una zona grigia tra il lavoro autonomo e lavoro
eterodiretto dove il singolo può ricoprire, a volte contemporaneamente, il
ruolo di datore di lavoro e di lavoratore, cioè di controllore e di
controllato.
Scattare la vita
Per il freelance contemporaneo questo significa essere un
lavoratore autonomo, ma anche dipendere da un committente, a seconda degli
incarichi o dei progetti commissionati. Non solo: il freelance è anche libero.
Come lo è, con grazia, Mario Dondero. A livello individuale sperimenta il
virtuosismo, come si è detto. La sua fotografia tuttavia produce una relazione.
O meglio, sta nella relazione tra gli uomini e le donne: “A me
le foto interessano come collante delle relazioni umane - aggiunge Dondero - e
come testimonianza delle situazioni. Non è che a me le persone interessino per
fotografarle, mi interessano perché esistono”. Da qui nasce una teoria della
cittadinanza fatta dall’apolide-freelance-fotografo: “Sono un cittadino che guarda e un
essere umano solidale con altri che racconta la vita”.
Il fatto dell’esistere. Scattare la vita. La vita che scatta.
Da qui l’espressione: lo scatto umano. Lo scatto è quello della macchina
fotografica. Ma è anche lo scatto della vita, come slancio, energia, partenza,
ritorno. Avventura picaresca. Questa è la libertà di cui parla Dondero e in
essa si riconosce un bergsonismo naturale, intuitivo. Ma se ripensiamo questa
libertà in termini politici, torniamo a riflettere sulla potenza inquietante
del freelance come franco tiratore. Nel suo porsi, con grazia, nella vita Mario
Dondero indica una libertà inaccessibile al cittadino-lavoratore: la
reversibilità dei ruoli sociali.
Di questo parla la poesia di Caproni, in cui abbiamo trovato
il riferimento filosofico della definizione di Dondero. La reversibilità tra
cacciatore e guardiacaccia, così come tra la preda e il franco cacciatore, in
Caproni arriva al punto da smaterializzare la caccia, oltre che il viaggio nel
bosco necessario per cacciare. “Se non dovessi tornare/ sappiate che non
sono mai partito/Il mio viaggiare/è stato tutto un restare/qua, dove non fui
mai” (Il Franco Cacciatore).
Anche questa condizione ritorna anche nell’esperienza del
lavorare oggi. Il lavoro, in sè, è smaterializzato, come la “Bestia”. Non è
più, solo, una “cosa”, ma è una relazione. Una relazione con un oggetto assente
o sfuggente, che cambia continuamente. Come la vita che il fotografo
rappresenta. L’oggetto in questione è il tempo: il tempo delle relazioni, il
tempo necessario per eseguire un incarico; il tempo pagato o non pagato di una
vita messa al lavoro. Questo è il lavoro, oggi: assente, o in ritardo,
desiderato e cacciato. E chi lo cerca, resta nello stesso posto. E riparte.
Come un partigiano in guerra. All’attacco in un territorio che Caproni definiva
“disabitante”, cioè che si svuota progressivamente e si ripopola.
Spatriato
Ancora più interessante è la caratterizzazione del “franco
cacciatore” come “spatriato”. Scrive Caproni: “Lo hanno portato via/
dal luogo della sua lingua/ Lo hanno scaricato male/ in terra straniera./ Ora,
non sa più dove sia/ la sua tribù. E’ perduto/ Chiede. Brancola. Urla/ Peggio
che se fosse muto”. “E’ la condizione dell’uomo d’oggi - aggiunge Caproni
in una nota - sradicato dalle proprie origini e perduto nella massiccia
“società” metropolitana”. Lo spatriato, in questo caso, è il poeta.
Questa, oggi, è la condizione di tutti i lavoratori
indipendenti, e precari. E di un fotografo come Mario Dondero. Lo spatriato non
riesce a nominare più il suo lavoro. Non solo perchè è in atto da almeno
vent’anni un opera di continua deregolamentazione del lavoro, ma perchè il
lavoro in quanto attività produttiva non riesce più garantire uno scambio equo
e un reddito per la sopravvivenza a chi presta la sua forza lavoro.
Anche questa è l’esperienza del franco cacciatore sulle
tracce della bestia “metafisica”. Giorgio Agamben ha segnalato come il
cacciatore per eccellenza nella Bibbia sia il gigante Nemrod, lo stesso cui la
tradizione attribuisce il progetto della torre di Babele, la cui cima doveva
toccare il cielo. Nel Genesi Nemrod viene definito “robusto cacciatore di
fronte a Dio” e per questo Dante nella Commedia lo punisce facendogli
perdere il linguaggio. Nemrod è un artigiano che ambisce a costruire una lingua
perfetta per attribuire alla ragione un potere illimitato. Per questo viene
punito.
Nella stessa condizione si trova il freelance la cui
unica colpa è ambire ad essere autonomo in un mondo dove vige solo il lavoro
salariato, e la sua povertà. A questa condizione viene sottratto anche il nome.
Per definirla si ricorre a vuoti neologismi - come “precarietà” - o aggettivi
banali ispirati a dati di fatto- “la maggioranza invisibile”. Ciò che sfugge a
queste rappresentazioni, ispirate sia alla teologia (“San precario”) e comunque
ad un’antropologia negativa tipica dell’austerità (“debitori” ad esempio) è che
il freelancing è una caratteristica - non l’unica- della vita operosa di
tutti e di ognuno.
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