giovedì 14 maggio 2015

UN LAVORO DA SCHIAVI NELL'ITALIA DEL JOBS ACT



Giuseppe Allegri, Roberto Ciccarelli

Pubblichiamo la prefazione al libro di Antonio Musella "Nuovi schiavi. Il lavoro nell'Italia del Jobs Act (Round Robin): "Quando la terra si solleva". Inchiesta su Partite Iva, addetti alla logistica, metalmeccanici, stagionali, freelance in un paese che vive nell'ossessione dell'impiego e nella dannazione della sua mancanza.

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Un lavoro da schiavi. Schiavi al lavoro. In un paese che vive nell'ossessione del lavoro e nella dannazione della sua mancanza. È il terribile ritratto che emerge dal reportage di Antonio Musella che si fa d'un tratto collettivo, un libro d'inchiesta in profondità condotta negli anni in cui l'Italia ha scoperto di essere povera, mentre i suoi nuovi poveri sono costretti a cercare, o strappare, un lavoro servile.

Questo è l'aspetto principale della crisi: non c'è solo la distruzione di un milione di posti di lavoro dal 2008 a oggi, ma la continua creazione di lavori inutili, senza identità, pagati una miseria, o addirittura gratis, che nascono e muoiono in pochi mesi. Le continue riforme del lavoro, come un certo uso politico della tecnologia, hanno influito pesantemente nella creazione di un paradosso contemporaneo.

A differenza di quanto ci viene detto dall'alto, oggi non è il lavoro a mancare. Ciò che manca è il reddito. Tale mancanza viene sostituita da un eccesso di offerta di occupazioni parziali – o servili, appunto – utili a piegare chiunque all'etica di un lavoro salariato che non c'è e alla promessa che – un giorno – esisterà o verrà pagato. In questo mondo ossessivo, e svuotato, nascono i racconti presenti in questo libro. Vite solitarie, invisibili, senza tutele, né un welfare universale capace di sostenerle.


Antonio Musella ne ricava una rappresentazione prismatica di ciò che oggi nel lavoro salariato resta e di ciò che potrebbe esserci oltre la sua crisi. Il suo prisma restituisce tutte le gradazioni di un lavoro che si è fatto più “grigio”: c'è il precario, l'intermittente, il flessibile, l'inoccupato, chi urla contro ciò che rende la vita insostenibile. In un Paese dove la tutela della dignità delle persone non sembra interessare le istituzioni pubbliche, rinchiuse nella loro mentalità corporativa, paternalista, burocratica e, nella migliore delle ipotesi, caritatevole.

La narrazione non è vittimistica, al contrario di quanto accade normalmente quando in Tv o sui giornali si parla di lavoro o disoccupazione. La si può considerare come una mappatura delle lotte di resistenza e di altre narrazioni possibili, raccolte in presa diretta in un tour nell'Italia scombussolata dalla Grande Recessione e dalle politiche di austerità.

Tra le righe dei molti incontri e interviste emerge anche un'urgenza: liberarsi dalla morsa di tempi di lavoro massacranti e dal rischio di esclusione nel caso di perdita del lavoro. Di solito, oltre questa scelta, nella nostra società non c'è futuro. O meglio: manca la rappresentazione del futuro. Il libro restituisce la sofferenza provocata dalla mancanza del linguaggio, dell'immaginazione o di un'utopia concreta in cui credere e vivere insieme. E tuttavia, proprio nella durezza di questa vita che ha perso le parole, può nascere l'intuizione di un altro tempo. E di un nuovo spazio.

Si può partire da una scelta banale, in fondo. Quella di mettersi insieme per accedere ad una possibilità alla portata di tutti. Ad esempio, creare coalizioni sociali, sui territori, in rete, o in entrambi questi ambienti sociali, per promuovere la cooperazione, il mutualismo, consorzi innovativi tra soggetti vicini e lontani, ma unificati dalla stessa condizione.

Sembra quasi di tornare alle origini del movimento operaio, quando non si lavorava ancora nelle cattedrali della siderurgia o nella pubblica amministrazione. E si guadagnava con la corvée o il cottimo. Noi viviamo in questo anacronismo, mentre la freccia del tempo ha riportato un passato immemoriale nel cuore del presente. La crisi oggi colpisce tanto il lavoro operaio tradizionale, quanto il ceto medio. Ampi segmenti di questa categoria, variamente incarnata e politicamente divergente, versano nella condizione di un proletariato contemporaneo.

Questo processo è il divenire quinto stato che vediamo emergere negli ultimi anni, e non solo in Italia. Una condizione in cui vivono milioni di persone al di là del contratto di lavoro che possiedono, o hanno perduto. Dipendenti, autonomi, lavoratori a termine, a contratto, a giornata, a chiamata o part-time, inoccupati o intermittenti: tutti precipitati ai margini della cittadinanza sociale. Questo libro racconta il modo in cui persone, e non le figure di un dramma sociale, o dati di una statistica sulla quale speculare, rappresentano una ricchezza incommensurabile. Una ricchezza fatta di pratiche e relazioni dalle quali ripartire. In prima persona, per ridefinire, ed estendere, i confini di una cittadinanza da cui la maggioranza – nativa, come straniera – è stata espulsa.

Nel tempo in cui, stancamente, si ripropone la vecchia e poco credibile ricetta per cui dalle riforme del mercato del lavoro nascerà nuovo lavoro, Schiavi è invece un appello a fare rete, a condividere, a organizzarsi nella zona grigia tra lavoro autonomo impoverito e lavoro subordinato marginalizzato, per conquistare visibilità e sperimentare forme associative che si riapproprino della ricchezza che esiste, ma resta ancora sospesa sulle nostre teste.

Il cielo non attende. La terra raggiungerà il suo zenith.

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