Il mio nome è rosso (CALL ME CASSANDRA @danffi)
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Lettera alle sorelle e ai fratelli precari. Abbiamo bisogno di quello di cui ha bisogno un essere umano. Ma non abbiamo bisogno di toglierlo a chi ce l’ha, e non abbiamo più diritto ad averlo di altri nostri simili, non cognitari.
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Sorella (o fratello) precaria, tu hai ragione. Hai studiato, sei bravissima, fai un sacco di cose fighe per lavoro, sei giornalista, oppure archeologa o cineasta, hai inventato un sistema fighissimo per insegnare il tibetano ai cavalli per fare la pet therapy. Avresti, anzi, hai diritto ad un riconoscimento economico del tuo lavoro. Questa società invece rifiuta di riconoscerti questo diritto, e dire che tu saresti disposto ad accontentarti – oVVoVe- pure un misero posto da insegnante.
Allora tu ti indigni, e fai bene! Scrivi un post per qualche rivista online più o meno figa, chiami il tuo amico giornalista e scrivete un pezzo di antropologia precaria in cui si dice quanto sei brava e che è uno schifo che in Italia non sei apprezzata per le tue competenze e che se ti vengono i 5 minuti te ne vai all'estero e quanto questo impoverirà il nostro paese.
Io ti leggo e sono d’accordo con te, anzi, sono proprio come te!
Ma in tutti questi post e articoli a mio avviso manca sempre qualcosa... manca l’analisi della situazione, o, meglio, la prospettiva per cambiare le cose, che troppo spesso si riduce in un elogio dell'autoimprenditoria e lo startuppismo travestito da autonomia (cioè precisamente quello che ha portato a questa situazione).
Ora, io non mi addentrerò in un’analisi politica, altre più brave e bravi di me lo fanno, mi limiterò a dare alcuni suggerimenti che possono, a mio avviso, aiutare a comprendere meglio la tua situazione del lavoratore cognitivo e aiutare a darci una prospettiva.
1) Impara a riconoscere i tuoi privilegi.
Molto probabilmente hai fatto studi avanzati, e i tuoi genitori ti hanno aiutato. Molto probabilmente hai viaggiato. Molto probabilmente vivi in una casa piccola ma caruccia, in una zona ex degradata, ora in via di “riqualificazione” (leggi gentrificazione) e ce la fai a pagare l’affitto, e quando non ce la fai hai a chi chiedere. Se hai figli vanno a una scuola montessoriana o steineriana, oppure fanno attività, in genere riesci a pagare la retta, e quando non ce la fai hai c’è chi si offre.
Questi sono privilegi!
2) Identifica il nemico.
Chi è il tuo nemico? Nei momenti di sconforto, quando devo lottare per un contratto di 2 mesi e sperare che passi al vaglio della Corte dei Conti, a me viene da pensare che il mio nemico è quella stronza dell’amministrazione che ha tredicesima, quattordicesima, la 104, l’articolo 18, cazzi e mazzi, che non è intelligente la metà di me e che se ne fotte se il mio contratto parte oggi o tra sei mesi, anzi che è per colpa sua e di quelli col culo parato come lei se il mio contratto ha tante restrizioni e se io non avrò mai la pensione.
Benché sia difficile ammetterlo, non è lei il mio nemico. Non è che i suoi diritti ledano i miei. Ragionare così significa auspicare una società dove i diritti non ce li ha nessuno. (anche se, incidentalmente, pure la stronza-dell-amministrazione potrebbe fare uno sforzo per capire che pure io non sono un nemico alieno che vuole rubarle “o’ post”).
3) Identifica i tuoi simili.
Fattene una ragione. Tu sei come il ragazzo di DHL che ti consegna i vinili che hai comprato su Amazon e il facchino di IKEA che ti viene a montare la cucina. Al netto dei tuoi privilegi, vivi la loro stessa condizione di precarietà. Il fatto che tu abbia studiato, che parli e scrivi un italiano forbito, non dovrebbe farti credere che tu sia migliore di loro e che i tuoi diritti vengano prima dei loro. Tu hai solo la possibilità e gli strumenti per dire la tua.
Ecco, per uscire da questa situazione hai bisogno di relazionarti con i tuoi simili.
4) Capisci cosa vuoi (e che lo vuoi per tutti e tutte)
Dopo che per anni ti hanno tolto qualsiasi prospettiva di vita, non pensare che, se ce l’hai fatta, è tutto merito tuo, anzi che il tuo merito vale doppio. Non guardare i tuoi simili rimasti indietro con compassione e mal celato disprezzo. Il darwinismo sociale non è una buona cosa, perché subisce un equivoco, come tutto il darwinismo, chi sopravvive non è il “più forte/il migliore” ma “il più adatto” (a questa società ingiusta, ndr).
Il successo individuale non dovrebbe essere l’obiettivo. Nella società precaria l’incertezza è strutturale, domani potresti tornare nel girone dei precari postulanti (non che te lo stia augurando, eh).
Acquisire dei diritti per tutte e tutti invece significa uscire dalla condizione di ricattabilità in cui si trova il precariato cognitivo.
In fondo cosa vogliamo? Di cosa abbiamo bisogno?
Per esempio di un reddito di cittadinanza universale che ci permetta di vivere nei periodi di non lavoro.
Abbiamo bisogno di una sanità pubblica che funzioni, e che non subisca tagli su tagli fino a diventare di fatto un privilegio per chi ha o i soldi o l’assicurazione sanitaria (spesso entrambe le cose).
Abbiamo bisogno di investimenti sulla cultura, sulla ricerca, sull’innovazione sociale.
Abbiamo bisogno di scuole e palestre pubbliche per i nostri figli.
Abbiamo bisogno di affitti calmierati e non in mano alla speculazione.
Abbiamo bisogno di sistemi previdenziali che tengano conto dell’intermittenza e dei diversi modelli di lavoro che affrontiamo nelle nostre vite (io ho bisogno, per esempio, di poter ricongiungere i contributi di gestione separata e quelli di lavoro dipendente)
Abbiamo bisogno di quello di cui ha bisogno un essere umano. Ma non abbiamo bisogno di toglierlo a chi ce l’ha, e non abbiamo più diritto ad averlo di altri nostri simili, non cognitari.
E, una volta capito questo semplice concetto, dovrebbe essere più semplice entrare nella giusta prospettiva per lottare per ottenerlo.
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Ripreso da Il mio nome è rosso
ci sono anche i cognitari senza famiglia benestante alle spalle. Devo dire che noi riconosciamo subito che il lavoratore/trice DHL, IKEA o simili sta come noi anche perchè sono nostro fratello o sorella
RispondiEliminaDavvero acuto. Vorrei poter tradurre questo post in inglese e diffonderlo. Si potrebbe?
RispondiEliminaAssolutamente si!
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