#Storiedicassa: storie di ordinaria iniquità previdenziale. Gli avvocati della Mobilitazione Generale degli Avvocati (M.G.A.) indossano i panni dei menestrelli e raccontano le storie alla Cassa Nazionale Forense, l'istituto di previdenza e assistenza della categoria. Su medium hanno creato una narrazione collettiva sulle ingiustizie comuni a tutti i lavoratori autonomi: la crescita incontrollata di tasse e contributi non corrisponde ad alcun welfare, né alla tutela dei diritti, della maternità o della malattia.
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Mi chiamo Valeria, sono avvocato e titolare di studio legale.
Mi sono iscritta all’Albo nel 2000, e per fare esperienza e raccogliere un po’ di clienti sono rimasta a lavorare ancora per due anni, gratuitamente come durante la pratica legale, presso lo studio del mio maestro.
Mi occupo solo di diritto penale. Nel 2003 ho aperto il mio studio legale nella mia città di provincia del Sud, una stanza in affitto a 200 euro al mese (versate in nero, of course) in un appartamento in condivisione con altri colleghi. Avevo un po’ di clienti: tossicodipendenti, piccoli spacciatori; povera gente insomma, che non poteva pagarmi.
A quel tempo per poter assistere con il patrocinio a spese dello Stato erano necessari sei anni di iscrizione all’albo, e io non avevo l’anzianità necessaria.
Come il mio maestro mi aveva insegnato, decisi di lavorare anche per pochissimo, o alle volte per niente: per farmi conoscere nell’ambiente, per poter aumentare il numero di clienti, io, figlia di dipendenti statali, piccoli borghesi comuni, non avevo alternative.
Pian piano i clienti aumentarono, ma non i soldi. Lavoravo moltissimo al carcere. Per lo più stranieri senza permesso di soggiorno, dimenticati da tutti, incapaci di spiccicare una parola di italiano. Raggiunsi l’età per il gratuito patrocinio, ma ben presto mi accorsi che il meccanismo perverso mi costringeva a lavorare gratis per anni: tanto quanto dura un processo, perché solo alla fine si può chiedere allo Stato la liquidazione della propria parcella. E iniziano poi le attese kafkiane dei tempi dell’Erario: a tutt’oggi ho una fattura del 2008 (processo del 2006) di cui attendo ancora il pagamento.
Il succo: tempo di lavoro quotidiano, circa 14 ore, poco più poco meno.
Reddito annuo sotto i diecimila euro.
Fino a quando non fatturai, nel 2008 o nel 2009, se non ricordo male, 10.400 euro.
Avevo sforato di cento euro il limite che mi consentiva di non essere, secondo la normativa vigente, iscritta all’ente previdenziale.
Cassa Forense mi chiese, d’un colpo, 13.000 euro. Che ovviamente non avevo.
Chiesi una rateizzazione. La ottenni. Prima rata 2000 euro. Pagai. Bollettini successivi di 500 euro ogni 3 mesi. Cominciai a pagare. Nel frattempo dovevo pagare i bollettini trimestrali correnti per la previdenza, in continuo rialzo 700 euro ogni tre mesi. Poi divennero 800. Adesso sono 900. A prescindere dal mio reddito. Sono 4000 euro all’anno che devo alla previdenza a prescindere se io li abbia guadagnati o no.
Ho smesso di pagare i bollettini di Cassa Forense, non ce la faccio più.
L’abolizione del vecchio tariffario forense ha dimezzato le liquidazioni delle parcelle per i gratuiti patrocini, su cui mi reggevo. L a crisi galoppante ha fatto il resto. A quarantadue anni, per tagliare le spese, sono tornata a vivere da mia madre. Per fortuna non ho figli.
Non ho copertura per malattie che non siano gravissime, non ho nessun sostegno al reddito. Gli ordini professionali non hanno alcuna competenza e possibilità di intervenire in caso di difficoltà strutturale di un iscritto.
Dulcis in fundo, il Ministero sta per approvare un regolamento in base al quale gli avvocati non in regola con i contributi previdenziali saranno cancellati dall’albo, e quindi resi disoccupati. Bingo. Non si lavora più per avere un reddito, si deve avere un reddito per poter lavorare. La massima perversione.
Ognuno di noi è abbandonato a sé stesso.
Crediamo che anche i liberi professionisti abbiano diritto ad essere sostenuti in caso di calo dei redditi e ad avere una previdenza equa e commisurata al reddito effettivo.
E’ GIUNTO IL MOMENTO DI ALZARE LA TESTA, E’ GIUNTO IL MOMENTO DI AGIRE!
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Una storia tosta. Come quella di Raffaele, costretto dalla crisi economica ad indebitarsi:
Sono iscritto alla Cassa da parecchio oramai, al momento non so dirti da quando, so solo che l’epoca delle agevolazioni è terminata da tempo. Non ho avuto problemi fino al 2011. Nel 2012 la crisi si è fatta sentire anche da me; scoppiata nel 2008, per alcuni anni ho raccolto ciò che avevo seminato negli anni precedenti. Nel 2012 ho pagato, dando fondo ai miei risparmi per mantenere il mio tenore di vita, già piuttosto ristretto. Nel 2013 ho contratto un prestito per pagare la Cassa, nel 2014 ho pagato regolarmente, restando con poco più sul conto.
Preciso che mi ha disgustato la politica del potere, che ha raddoppiato la cassa in periodo di crisi, nel corso del quale, sempre per mal governo, per le innumerevoli modifiche amministrative, non riuscivo più a guadagnare quanto avevo guadagnato nei primi anni di professione. Io sono nato con difesa di ufficio e gratuiti patrocini, che costituiscono il 75% delle mie entrate, se non di più. Oramai so che gli avvocati sono solo una pianta da sfruttare. Parlo dei giovani, non di quella piccola percentuale che detiene gli affari più importanti. Siamo da sfruttare per la cassa, per l’assicurazione professionale, per la pec, per il processo civile telematico, per i corsi formativi, per la fattura elettronica: tutti ci chiedono soldi.
Il problema non è solo la Cassa, è la giustizia che non funziona. Lo Stato ancora non ha messo in condizione gli avvocati di recuperare i propri crediti professionali: l’anagrafe tributaria non è accessibile. Io vorrei stare un po’ tranquillo, per difendere le persone, invece lo Stato non fa altro che creare obblighi censuari”.
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E poi tocca a lei, a quella che ci piace definire una mamma coraggio che oggi si trova a dover combattere più del dovuto, per il proprio cucciolo e per la propria dignità professionale, quella che a noi piace definire un arcobaleno di colori alla cui fine splende sempre il sole… Annalisa …
Cara Cassa, ogni avvocato ha la sua storia, questa è la mia:
Dopo anni di praticantato non retribuito fatto di grandi sacrifici, umiliazioni e corse in motorino, conseguito il titolo cerco di farmi strada nella giungla dell’avvocatura e dopo i primi incarichi e qualche cesto natalizio, arriva il matrimonio ed una prima gravidanza interrottasi, purtroppo precocemente.
Dolore e smarrimento…mi rimbocco le maniche e cambio studio nella speranza di nuove prospettive e nuovi stimoli.
Arrivano le prime soddisfazioni e i primi piccoli riconoscimenti e poi una nuova gravidanza, anche questa “ a rischio”, che mi costringe a letto per i seguenti nove mesi.
Poi il momento più atteso nella vita di una donna, la nascita di un figlio.
Un figlio, si, la gioia più grande che porta con sè però un cromosoma in più, quel cromosoma che ti cambia la vita.
Cara Cassa, capirai bene che da quel momento le mie priorità sono cambiate, lascio il vecchio studio e comincio a prendermi cura di quell’esserino indifeso che assieme a tanto amore mi ha introdotto, tra le altre cose, in unanuova giungla, quella della burocrazia legata al mondo della disabilità, fatta di visite avanti a commissioni mediche per ottenere il riconoscimento dell’invalidità e dell’accompagnamento e continue revisioni, ricerca di centri riabilitativi e attese per l’ammissione, visite semestrali presso l’ Asl di competenza per il rinnovo delle prestazioni riabilitative, battaglie per ottenere le adeguate ore di sostegno, la costituzione di un’associazione di famiglie con bambini con Sindrome di Down…etc, ed è allora che ho capito quanto è importante per me essere Avvocato e difendere i diritti di mio figlio.
Per questo e per poter continuare a difendere i diritti di mio figlio,#iononmicancello
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#STORIEDICASSA continuano...
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