lunedì 20 febbraio 2012

Non partoriRAI: bufera sulla maternità precaria


Donna, giornalista, precaria. Alla Rai la sua vita è un trattato di funambolismo. Per lavorare all’ombra del cavallo di Viale Mazzini ha dovuto aprire una partita Iva e versare 600 euro all’anno al commercialista. 1200 è, in media, il reddito mensile per una collaborazione che dura per un ciclo di trasmissioni. Salvo poi scoprire una «clausola gravidanza» al punto 10 del contratto di consulenza che l’azienda offre a tutti i collaboratori esterni. Se questa lavoratrice dovesse restare incinta, o affrontare un infortunio o una malattia, la Rai si riserva il diritto di dedurre «i compensi relativi alle prestazioni non effettuate», oltre a quello di rescindere il contratto «senza alcun compenso o indennizzo».

In una lettera alla Dg Rai Lorenza Lei del coordinamento romano dei giornalisti freelance «Errori di stampa»,viene spiegato il doppio pregiudizio biopolitico diffuso in molte aziende italiane. Da un lato, l’azienda considera la gravidanza alla stregua di una malattia o di un infortunio. Dall’altro lato, realizza una discriminazione ai danni delle «consulenti esperte tecnico-scientifiche», così vengono definite le lavoratrici a contratto, rispetto ai loro colleghi uomini, anche loro a partita Iva. L’aberrazione di questa clausola ha suscitato le reazioni di Andrea Sarubbi (Pd) e di Silvana Mura (Idv) che su twitter hanno annunciato che porteranno il caso in Parlamento, mentre Vincenzo Vita ne chiederà conto in commissione vigilanza Rai.
«Fatti come questi – ha sostenuto il segretario generale Cgil Susanna Camusso – dimostrano che non bisogna mai cancellare le norme che tutelano i lavoratori contro le discriminazioni. Questo contratto è illegittimo». Nichi Vendola (Sel) ha chiesto la cancellazione delle «norme capestro per le giovani collaboratrici». Il coordinamento delle giornaliste freelance GIULIA lancia nel frattempo l’idea di un Libro Bianco.
In serata Viale Mazzini ha smentito l’esistenza di questa clausola per il lavoro subordinato. Quanto al lavoro autonomo «non si applica lo statuto dei lavoratori», anche se la Rai ribadisce di rispettare le lavoratrici. Ma alla fine Lorenza Lei si arrende: «Ho dato agli uffici competenti l’incarico di valutare interventi sulla clausola, anche se tengo a sottolineare che in Rai non c’e’ mai stata alcuna discriminazione o rivendicazione in merito, ne’ certamente sono mai emersi, fin qui, dubbi di legittimita».
«Non abbiamo notizia di licenziamenti, ma la clausola esiste ed è un modo per consigliarti di non restare in cinta – precisa Valeria Calicchio di “Errori di Stampa” – Questo uso della partita Iva è una foglia di fico che giustifica la mancata assunzione con un contratto regolare. Spero che questa battaglia civile spinga i media e la politica a non occuparsi di precariato solo in questi casi gravi. Oltre al riconoscimento del diritto alla maternità chiediamo quello alle ferie, alla malattia, alla previdenza e al pagamento equo».
Nella lettera di Errori di Stampa emergono altri particolari sulla filiera produttiva Rai. A spiegarla è la giornalista Paola Natalicchio: «La consulenza è un contratto ultra-leggero applicato ai giornalisti arruolati in produzioni come Agorà, Presa Diretta o Report – afferma – Sei una partita Iva, anche se di fatto svolgi il lavoro di un redattore con orari di lavoro fissi anche per 100 puntate». Se, per caso, il giornalista deve andare in video, allora è necessario cambiare la sua forma contrattuale con una scrittura aggiuntiva, quella di «presentatore-regista».
È il complicatissimo sistema dei contratti matrioska che regola il lavoro in Rai. «Questi contratti-truffa – aggiunge Paola – sono presenti in tutte le redazioni dell’azienda» e svolgono tutti i ruoli, dal caporedattore all’operatore di ripresa. Casi come questi sono diffusissimi nel lavoro autonomo, che in Italia si confonde sempre di più con la zona grigia del «lavoro parasubordinato». Così facendo, la Rai non solo nega le tutele fondamentali, ma impone a tutti i lavoratori il versamento dei contributi previdenziali alla gestione separata dell’Inps (dove oggi è confluito anche l’Enpals), e non all’Inpgi 2, cioè l’ente previdenziale dei giornalisti. Un altro modo per separare l’esercizio della professione, sempre più precaria, dai suoi diritti.
L’uso, e l’abuso, della partita Iva, e di tutta la vasta gamma di contratti atipici, riguarda almeno 1794 persone in Rai. Per Claudio Aroldi, Sergio Cusani e Paolo Pellegrini, autori di un rapporto sulla situazione economica dell’azienda presentato dalla Slc-Cgil il 1 dicembre scorso, questa cifra sarebbe anche più grande. Tra gli 11.501 persone inserite nel «personale in organico» ci sarebbero altri contratti di inserimento, di apprendistato o giornalistici biennali (il dato però non è scorporato). In base ad un accordo firmato da Lorenza Lei nel luglio 2011, queste persone dovrebbero essere stabilizzate entro il 2017 in tutte le sedi Rai.
La tendenza a ricorrere a queste forme contrattuali si spiega con la volontà delle aziende di scaricare sui lavoratori indipendenti l’intero costo previdenziale e assicurativo della loro attività. Se provassimo però a sollevare lo sguardo dalla Rai, allargandolo all’intero settore di riferimento, quello della comunicazione e dei servizi a Roma, scopriremmo che già tra il 2007 e il 2008 i cosiddetti «consulenti e liberi professionisti» rappresentavano il gruppo numericamente più forte tra coloro che, a Roma e in Provincia, operano con la partita Iva. Su un totale di 249.235 «autonomi» i «consulenti» in cui rientrano gli oltre 1700 «precari» della Rai erano 63.111.
Oggi, si sospetta, sono senz’altro di più. Se poi alle attività di consulenti e liberi professionisti aggiungiamo quelle affini dei “servizi avanzati alle imprese” e delle “attività editoriali” arriviamo al 32,66% della forza-lavoro attiva a Roma. In mancanza di un’inchiesta simile a quella condotta da Errori di Stampa, si può presumere che anche queste persone non godano affatto dei diritti sociali fondamentali.
A questo punto bisogna chiedersi se questa situazione sia esclusivamente il risultato della volontà delle aziende – elemento certamente incontrovertibile – oppure anche di un sistema che si regge sull’appalto e il subappalto, il lavoro a cottimo, informale e al nero, olrtre che sulla costante e implacabile cancellazione dei diritti fondamentali. Nell’accordo di luglio la Rai ha annunciato che le nuove assunzioni verranno effettuate attraverso il contratto di apprendistato, proprio come intende fare il governo Monti con la riforma del lavoro annunciata per marzo. In una situazione di arbitrio e confusione, questa soluzione non scalfisce di un millimetro la condizione degli indipendenti romani che, in media, hanno un’età superiore ai 29 anni, limite entro il quale un simile contratto può essere stipulato

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