mercoledì 3 ottobre 2012

REDDITO E DEMOCRAZIA: NEANCHE UNA COSTITUENTE EUROPEA POTRA' SALVARCI?




1. L'onda lunga (della riforma) del lavoro che non c'è. 

Circa dieci anni fa, nell'autunno del 2002 Mondadori diede alle stampe un libretto curato da Franco Debenedetti, titolato  Non basta dire no, con una serie di interventi di sinistri riformisti (il gioco di parole è sicuramente troppo facile) che se la prendevano con i NO della sinistra radicale (qui latitano anche i giochi di parole!) intorno alla “riforma del lavoro, soprattutto di quell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori che ne è il simbolo”. È “l'Italia a essere danneggiata rinviando il lavoro delle riforme”, sentenziava la quarta di copertina. È giù oltre duecento pagine di Tito Boeri, Pietro Ichino, Tiziano Treu e altri “riformisti”.

Ad essere scrupolosi avremmo dovuto osservare, già ai tempi, che una sostanziale riforma del lavoro il sinistro riformismo l'aveva già fatta: la  legge 196/1997, “in materia di promozione dell'occupazione”! E ci aveva pensato Tiziano Treu, accanto alla riforma delle pensioni del Governo di Lamberto Dini, che creò quel vaso di Pandora (per l'INPS!) della Gestione Separata per i “lavoratori atipici” (i lavoratori si badi, non i lavori, semmai, ma neanche tanto). Un bell'uno-due che se da una parte ha istituzionalizzato la precarietà senza diritti (altro che flessibilità!), dall'altra ha creato una tabula rasa dei diritti sociali per oramai due generazione di lavoratrici e lavoratori intermittenti, flessibili, indipendenti, autonomi: precarizzati, in una parola. Quel Quinto Stato composto da oltre sei milioni di persone, di fatto escluso non solo dalla cittadinanza, ma dalla possibilità di avere una vita degna. 

Con l'attuale, ennesima, riforma del lavoro Fornero, ma potremmo chiamarla Riforma Damiano-Treu, Relatori parlamentari della legge ed onnipresenti sinistri riformisti, camuffati nell'austero Governo delle larghe intese; anche se Damiano si offenderà dell'accostamento, poiché ci tiene a definirsi “laburista", quelle lavoratrici e lavoratori sono sprofondati in una condizione di Working Poor nel caso in cui siano riusciti a mantenere il lavoro o la commessa – se non di povertà a rischio di esclusione sociale – nei casi sempre più comuni di sospensione, e/o assenza, del lavoro o della commessa – non avendo la possibilità di accedere ad alcun “ammortizzatore sociale”. Sono biografie individuali e collettive saccheggiate da questo Governo, ancor prima che dal capitalismo finanziario.

2. Il reddito garantito e le protezioni universali per un nuovo Welfare contro l'austera depressione.
E allora è giusto rispondere oggi, ma già ieri e sicuramente dieci anni fa, a quei sinistri riformisti che non si dicevano solo dei NO, ma molti SI', da ribadire tuttora. A partire dall'esigenza, ieri e ancora più oggi, di protezioni universali, come la garanzia di un reddito di base. 

Il reddito garantito di base è una prestazione sociale prevista, in diverse modalità e tipologie, in tutti i Paesi UE, tranne Grecia ed Italia. È un nuovo diritto fondamentale alla vita degna, contro le condizioni di insicurezza sociale, peggiorate dalle politiche rigoriste imposte dalle dissennate classi dirigenti europee e nazionali, capaci di generare forme di povertà che consideravamo bandite dal nostro Continente.

Del resto anche in quel libretto di dieci anni fa, qualche voce ricordava che nel “Pacchetto Treu” (1995-97) “una delle questioni meno affrontate ha riguardato proprio gli ammortizzatori sociali comprensivi non solo delle forme di sostegno al reddito nel caso di sospensione del rapporto di lavoro, ma delle prestazioni spettanti ai cittadini in quanto tali nelle situazioni di bisogno” (Umberto Ranieri, Per un sistema di garanzie universale, in Non basta dire no, cit., p. 136). 

A quasi vent'anni dall'inizio di quel processo siamo ancora messi così: anzi peggio. Gli oltre sei milioni delle due “generazioni precarizzate” incontrano i milioni di disoccupati di lunga durata e i più o meno giovani neo-disoccupati, senza alcuna prestazione sociale che possa sostenerli. È un sciacallaggio sociale, in cui il Governo dell'austero rigore economico, mentre taglia in spesa sociale, parla di “generazione perduta", dopo essersi allarmato della tendenza NEET (gli oltre due milioni di giovani senza lavoro, istruzione e formazione, Not in Employment, Education, Training) e  prende letteralmente in giro milioni di lavoratori della cultura, conoscenza e formazione, precari, disoccupati, o inoccupati che siano. 

Per invertire questa tendenza che pare inesorabile c'è bisogno di pensare e praticare delle coalizioni sociali che suppliscano alle miserie umani e sociali di una classe dirigente co-autrice di una “rivoluzione restauratrice dall'alto” e promuovano dal basso una nuova idea di cittadinanza e di buona vita

È l'urgenza di imporre, dentro e oltre la crisi, nuove scelte di politiche pubbliche contro le speculazioni di un capitalismo finanziario i cui alleati sono seduti nei governi nazionali e continentali, che sempre più appaiono come degli “apostoli senza pentecoste”, in cui si rimane “sudditi di poteri sempre più lontani”, per dirla con le parole di un solitamente non certo “radicale” Giuseppe De Rita. E queste coalizioni devono avere la forza di porsi immediatamente in una relazione verticale con quei “pochi apicali regolatori” del capitalismo globale, in modo che si possa avere un nuovo rapporto con territori e realtà sociali che sono in movimento; perché, per dirla con Aldo Bonomi, “le contraddizioni che nei territori emergono non sono solo fibrillazioni di un mondo destinato a sparire, ma segnali di una trasformazione in atto, per quanto ancora acerba”. È l'imposizione dal basso di un radicale cambiamento sociale. 

È evidentemente un processo faticoso, che deve soprattutto fare i conti con quel  “deficit di democrazia” in cui “se non vi è equilibrio col debito, ci rimettono soprattutto i cittadini”, come ricorda Guido Rossi, osservatore anch'egli non certo troppo estremista, il quale insiste: “l'assenza o l'eccesso di denaro (nelle sue varie vesti di speculazione finanziaria, debito pubblico e austerità) è ora purtroppo protagonista delle scadenze elettorali di varie democrazie, o di fine dei mandati dei governi tecnici”. Con il concreto rischio che continueremo ad essere tutti paralizzati, dinanzi al terrore dello spread e del default

Eppure è questa l'occasione costituente che ci è data: nelle fasi di transizione si devono imporre nuove scelte di politiche pubbliche, che disegnino l'utopia concreta di una nuova idea di società e l'esigenza di protezioni sociali universali e di rilancio del Welfare, capaci di tenere insieme formazione, salute e autodeterminazione individuale e collettiva delle proprie scelte di vita. 

Da una parte questi embrioni di coalizioni sociali si stanno coagulando intorno alla riattivazione di tradizionali strumenti di partecipazione politica, come nel caso della campagna per una iniziativa legislativa nazionale intorno alla previsione di un reddito minimo garantito, per aprire un'ampia vertenza sull'introduzione in Italia di una qualche forma di reddito di base, non solo come forma di garanzia di una vita degna, ma anche come strumento di autodeterminazione esistenziale, contro i ricatti del lavoro a tutti i costi e della sua assenza. 

Dall'altra il livello europeo diventa quello decisivo, perché è lì che deve essere risolta la contraddizione per imporre un radicale cambiamento dell'ordine esistente delle cose. Anche al livello continentale si stanno aprendo una serie di  iniziative delle cittadinanza europee  per proporre alla Commissione europea l'adozione di atti normativi per l'Europa sociale, come nel caso di un reddito minimo garantito.

Ma, proprio a quel livello, bisognerebbe mirare ancora più in alto.


3. L'occasione costituente europea, ancora?
Appare evidente che ci sia un utilizzo strumentale della “crisi della Zona-Euro”, per imporre una ristrutturazione economico-finanziaria continentale della governance bancaria e finanziaria, evitando di intraprendere un percorso di riforma delle istituzioni e politiche pubbliche, che metta in campo l'ipotesi di un'Europa politica e sociale. 


Se volessimo dirlo con una battuta: è l'austera ortodossia monetarista del finanz-capitalismo europeo a matrice tedesca che impone una “transizione costituente”, facendo a meno degli strumenti di garanzia e di autodeterminazione politica del costituzionalismo democratico e sociale. É il funzionalismo tecnocratico che vince sempre contro il riconoscimento dei diritti e del controllo pubblico sui poteri, ignorando le domande di giustizia sociale delle cittadinanze. Così i Governi recepiscono al livello statual-costituzionale il Fiscal Compact: è la finanziaria dittatura commissaria degli Stati costituzionali e soprattutto di un Continente. 

Detta ancora più brutalmente: è una vendetta a sangue freddo delle élites finanziarie europee (tramite una classe dirigente tedesca che ha dimenticato non solo Adenauer, ma addirittura Kohl) contro l'incapacità delle forze politiche nazionali ed europee di realizzare un processo costituente continentale. E qui c'è una responsabilità storica nel fallimento dell'inedito processo convenzionale dello scorso decennio da addebitarsi ai sovranismi francesi ed olandesi e ai loro No al referendum sul Trattato costituzionale del 2005, rinfocolati non solo dal nazionalismo più bieco dei TAN Parties (Tradizionalisti, Autoritari e Nazionalisti, come il Front National; e c'è da temere un nuovo protagonismo nelle elezioni anticipate olandesi del 12 settembre), ma anche da parte dell'establishment del socialismo francese, come l'attuale Ministro degli Affari esteri Laurent Fabius, che giocò cinicamente il NO al Trattato costituzionale, per la sua lotta interna al PS francese, permettendo all'allora amministrazione statunitense di brindare a suon di Dom Perignon millesimato, la sera del 29 maggio 2005, mentre un'attonita Place de la Bastille vedeva sventolare bandiere francesi, nere e rosse contro l'Europa, facilitando l'ascesa di Sarkozy al post-Chirac.   

Ma ora siamo qui, autunno 2012, ancora e sempre di più dentro “la malattia dell'Europa”, per prendere in prestito le parole del genio compianto di Fabio Mauri: Che cos’è la Germania? E l’Europa? Che significa essere Europa? Non è stata Europa la Germania del ’30 e del ’40? Io credo lo sia stata. Credo che la natura (la cultura della natura) della Germania riguardi strettamente l’identità europea”. E dietro le domande di Fabio Mauri aleggia il cuore oscuro del Novecento europeo: l'Heidegger volutamente parodiato nel nostro titolo, la supina obbedienza all'autorità nella Germania e nell'Europa degli anni Trenta e Quaranta, le pulsioni identitarie e totalitarie iscritte nella formazione dello Stato-nazione.   

Europa e Germania, ancora. Non si è del tutto convinti che “al governo tedesco manchi il coraggio di andare oltre uno status quo divenuto insostenibile”, eppure l'ottimismo della volontà vorrebbe essere d'accordo con il proseguimento delle parole di Jürgen Habermas, quando fa un accorato appello per la Convenzione costituzionale continentale.

Ma chi si fa promotore di questa opzione semi-costituente in Europa? Habermas e gli altri due firmatari di quell'intervento ritengono debbano essere gli stessi partiti politici tedeschi.Varrebbe la pena buttare il cuore oltre l'ostacolo – che è rappresentato anche dall'inettitudine degli attuali partiti politici e dei loro leaders – e proporre l'opzione civica e costituente delle coalizioni sociali per un'Europa politica e sociale, dotata di un proprio bilancio, di istituzioni politicamente responsabili, sottoposte a controllo pubblico, di meccanismi di partecipazione politica continentale e autogoverno territoriale. Soprattutto che metta le cittadinanze d'Europa nelle condizioni di rifiutare il dogma monetarista, il funzionalismo delle istituzioni comunitarie e i danni umani e sociali del capitalismo finanziario. 

Che siano le cittadinanze attive, nella loro immediata pretesa di conflittuale verticalità sociale, politica e istituzionale, a proporre una costituente europea che rilanci il "sogno europeo" di un'Europa federale, democratica, libera e unita, per “riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro le diseguaglianze e i privilegi sociali”, ieri contro i fascismi, oggi contro il capitalismo finanziario, a partire dalla redistribuzione delle ricchezze saccheggiate, per una concreta alternativa di idea di società, progetto continentale, civilizzazione istituzionale e politiche pubbliche. Un'Europa politica e sociale che rifiuti la populistica e intollerante guerra tra poveri cui siamo costretti, a partire da un nuovo universalismo (non retorico e neutralizzante) delle tutele sociali e di processi di sviluppo territoriale e continentale che rispondano al principio di responsabilità individuale e collettiva, eguaglianza e libertà. 

L'Europa sociale del reddito di base e del nuovo Welfare: questa è l'idea e la prassi europea che sconfigge la subordinazione al terrore delle crisi


Giuseppe Allegri su Quaderni Corsari


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Oggi, 3 ottobre 2012, al teatro dell'orologio a Roma alle ore 19, via dei Filippini 17/A, presentazione del numero 1 dei quaderni corsari: 

Interverranno: Peppe Allegri, Il Quinto Stato, 
Alessandro Gilioli, blogger e giornalista dell’Espresso, 
Giuliano Santoro, blogger, autore di Un Grillo qualunque

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