lunedì 8 aprile 2013

SETTIS: "CULTURA E ISTRUZIONE SONO BENI COMUNI SU CUI INVESTIRE E DA OCCUPARE"

L'Italia è ultima nell'Europa a 27 per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte della media del 2,2%). È al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per la spesa in istruzione (l'8,5% a fronte del 10,9% dell'Ue a 27). La spesa pubblica destinata alla protezione sociale è sopra la media europea, anche se è sbilanciata sulle pensioni e diminuisce sulla casa, sulla disabilità, trascurando gli investimenti sulle politiche attive per il lavoro. 

«I dati dell'Eurostat sul finanziamento alla cultura e all'istruzione sono l'esito preoccupante di un'intera legislatura in cui le cose sono andate sempre peggiorando - afferma Salvatore Settis, storico dell'arte che insegna alla Normale di Pisa e autore di Azione popolare (Einaudi) - Seguono un trend condiviso di fatto dalla destra, dalla sinistra e dai tecnici, con un peggioramento netto con i governi di centro-destra. Ma non è che quelli di centrosinistra abbiano brillato molto. Gli ultimi tagli che sono stati apportati a tutto ciò che è cultura, ricerca, università e scuola sono il risultato della crisi. Come reazione alla crisi in Italia è prevalsa l'idea che la prima cosa da fare sia tagliare la cultura. Credo che sia importante sapere che questa è un'idea italiana, ma non di tutti gli altri paesi. Ci sono paesi come gli Stati uniti dove Obama ha detto che nei momenti di crisi bisogna accrescere la spesa per l'istruzione e la ricerca.


Mentre l'Inghilterra dei conservatori eccome se ha tagliato...
L'Inghilterra è il caso che ci somiglia di più. Ma in Inghilterra il punto da cui partivamo è rimasto molto alto. Al British Museum si continua ad entrare gratis ed è molto più finanziato dei nostri musei. L'ex ministro francese Valerie Pecresse, una giovane signora della stessa età della nostra Gelmini, ma molto meglio di lei - non ci vuole molto, lei mi dirà - lanciò nel 2009 un piano straordinario della ricerca di 21 miliardi in 5 anni. Di fronte a questo vorrei notare anche la contraddizione drammatica, anzi quasi ridicola, fra il continuo uso dello slogan sviluppo e crescita, crescita e sviluppo, e poi non si fanno le cose che servono ad entrambi. Le cito i dati istat sugli addetti alla ricerca e allo sviluppo. Nell'europa a 27 l'Italia gli addetti sono mediamente 3,7 ogni mille abitanti, contro una media di 5, in alcuni paesi come la Svezia sono 10. siamo al di sopra della Romania con l'1,2, ma ben al di sotto della Francia e della Germania. Se poi andiamo a vedere i brevetti, l'indice di intensità brevettuale che si calcola per milioni di abitanti las media è 111,6 brevetti, mentre ci sono paesi come la Svezia che ne ha 300. l'Italia ne ha 75. di quale sviluppo stiamo parlando?


Nel frattempo sono stati trovati i 40 miliardi per le imprese e gli enti locali. Perché all'emergenza dei tagli alla cultura, che certo non è dell'altro ieri, non è stata data una risposta altrettanto celere?
Le priorità stabilite dai governi italiani rispondono ad un'economia miope e non lungimirante che non contiene innovazione. Per carità il problema delle imprese e dei comuni è assai grave, ma il fatto che abbiano trovato 40 miliardi e nemmeno 1 milione per la cultura fa parte di questo ordine di priorità. La seconda ragione è che le imprese hanno maturato una capacità di pressione sulla politica per ottenere quello che vogliono, mentre la cultura non ha maturato la stessa capacità.


Il prossimo governo sembra che avrà un solo compito: la legge elettorale e, forse, un paio di finanziare, di cui una straordinaria. Poi il voto. L'emergenza cultura sarà rinviata alla prossima legislatura?
Io ostinatamente credo, e spero, che nonostante tutto da questo parlamento nasca un governo che non duri tre o quattro mesi, ma l'intera legislatura. E che possa godere di una spinta che viene obiettivamente da tutto il paese. Finché questa mia speranza non sarà uccisa dai fatti continuerò a coltivarla.


Ritiene che un governo del presidente possa affrontare questa situazione?
Non esistono governi del presidente. Esistono solo i governi della Costituzione. Spero sia possibile costituire un governo, su incarico del presidente della Repubblica, che sia in grado di formare una maggioranza contando sul fatto che i parlamentari neoeletti si ricordino che ciascuno di loro rappresenta l'intera nazione e non il suo capo partito.  

La convince l'idea che l'investimento in cultura sia il «petroloio d'Italia», com'è stato ripetuto anche di recente?
Non confondiamo il petrolio con il sangue. Il petrolio è petrolio e gli esseri umani sono esseri umani. Il valore metaforico di questo petrolio, che peraltro è una risorsa in esaurimento, non fa parte dell'armamentario delle metafore che uso. Credo che in Italia, come nel resto del mondo, l'economia e la società possano essere gestite con uno sguardo lungo nell'interesse delle generazioni future. L'innovazione è alla radice di qualsiasi forma di crescita e di sviluppo, ma essa non può esistere senza la ricerca e la ricerca non può esisteresenza una buona scuola e una buona università. Bisogna però capire che la competitività si basa sulla conoscenza e non sulla commercializzazione della conoscenza. Se non prendiamo questa strada il paese è condannato.


Da tempo lei, insieme a giuristi come Stefano Rodotà o Ugo Mattei e altri studiosi, sostiene il teatro Valle occupato a Roma e l'ex colorificio occupato di Pisa, oggi sotto sgombero. Uno stile inconsueto per un intellettuale italiano. Crede che la cultura si affermi anche attraverso queste esperienze di auto-gestione?
Beh come saprà io sono uno storico dell'arte e non un giurista (ride)... no, guardi io penso che un cittadino che voglia provare a fare dei discorsi che incidano sulla realtà senza mettersi a fare il parlamentare dilettante, cosa che non mi attira per nulla, debba informarsi su quali sono le norme, provare a capirle e parlarne con gli altri. Non da giurista, ma da cittadino a me sembra, che agendo sul continuum tra beni pubblici e beni comuni, e facendo leva su di esso, si può cercare di ricostruire un senso di cittadinanza, e quella sovranità del popolo prescritta dalla Costituzione che non è messa in pratica ma è il vero contenitore dei nostri grandi diritti, a cominciare dal diritto al lavoro, il più trascurato dei diritti come dimostrano le vittime della recessione come quei poveretti che si sono uccisi a Civitanova Marche o quello che si è ucciso a Trapani scrivendo le ragioni del suo gesto in un biglietto che ha messo dentro una copia della Costituzione. Cosa straordinariamente drammatica che dimostra che in un cittadino qualsiasi rimasto senza lavoro esiste una straordinaria consapevolezza che la Costituzione della repubblica avrebbe dovuto impedirgli di uccidersi dandogli la dignità che noi non sappiamo trovare. È quello che si sta cercando di fare attraverso gli esperimenti dei beni comuni che lei citava. Ognuno ha preso una strada diversa. Nella sola Pisa, dove vivo, c'è anche il teatro Rossi occupato, due esperienze molto interessanti ma diverse. Sperimentiamo questa diversità e troviamo una strada. Le norme le trovano i giuristi, ma eticamernte e politicamente questa è una strada molto interessante per riappropriarsi della cittadinanza.

Mettiamo che la cultura venga finanziata nella chiave che lei ha appena esposto. Mi potrebbe esporre il modello alternativo di gestione dei beni culturali? Perché non si può dire che questo paese li abbia gestiti in maniera trasparente...
Bisognerebbe portare indietro l'orologio e vedere da quando i concorsi sono stati basati non più su severissimi esami di merito com'erano fino agli anni Sessanta-Settanta, ma sono stati basati su quiz ridicoli. Le assunzioni sono bloccate da 25 anni. Il personale nei beni culturali è mediamente intorno ai 60 anni e non è stato assunto per anni. E continua a diminuire. A Pompei gli archeologi per fortuna ne sono arrivati recentemente 15 o 16, ma è un caos eccezionale, i custodi si sono dimezzati. Di gente che restaura mosaici non c'è nessuno. Una volta svuotato il personale e di fondi con il taglio di 1,5 milairdi di euro nell'estate del 2008 fatto dal governo Berlusconi, non si può certo pretendere che il Mibac funzioni. Detto ciò, per riattivare un processo virtuoso bisogna riguardare l'amministrazione, cercando di sburocratizzarla, eliminando per esempio le soprintendenze regionali, riattivando l'idea originaria di soprintendenza come luogo di ricerca e di conoscenza del territorio dal quale possa scaturire la tutela e la fruizione del pubblico. Questa dovrebbe essere la linea, le cose da fare sono chiare e facili. Il problema è che ci vuole qualcuno che le voglia fare e non ministri come gli ultimi tre che se ne infischiano.




 Roberto Ciccarelli
(versione lunga dell'intervista pubblicato su Il Manifesto ,7 aprile 2013)

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