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ERWIN WURM, 1954 |
Ti senti in carriera? Misuri il tuo tempo di vita sulla lunghezza del Curriculum? Compulsi annunci su LinkedIn come un disperato. E sei stanco di lavorare gratis? O di fare l'imprenditore di te stesso? Per tutti gli altri dubbi, esistenziali o professionali, c'è il numero di Aut Aut 365/2015: Intellettuali di se stessi. Lavori intellettuale in epoca neo liberale.
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Pubblicato su Doppio Zero: L'emergenza delle nostre vite minuscole.
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1. Ancor prima di essere una figura sociale, ispirata a una declinazione specifica del soggetto neo-liberale (“imprenditore di se stesso, l’Io S.P.A.) l’intellettuale di se stesso è una forma di intuizione. È un atto rivolto verso il conoscente e non è orientato verso l’altro, un oggetto, il mondo. Nel suo caso il conoscere si incarna in una forma di intuizione spirituale il cui obiettivo è l’auto-riconoscimento in quanto soggetto agente dell’intuizione. Intuendo se stesso, il soggetto di colloca presso di sé. In una società popolata da Sé atomizzati, questo è il primo atto di cittadinanza. Nel suo piccolo, l’intellettuale di se stesso compie un atto comune a chiunque voglia partecipare al gioco della cittadinanza neo-liberale: per dimostrare di esistere deve affermare che il proprio Sé esiste ed è produttivo. L’auspicio di una prossimità assoluta all’origine della percezione più intima di un essere umano fonda un’ontologia dell’essere presso di sé. Tale ontologia si forma nei dintorni di quel luogo oscuro, ma cogente e pienamente operante, del Soggetto. Un Soggetto che continua ad essere il mistero del discorso pubblico e culturale, pur essendo stato pienamente decostruito dalla filosofia critica o dalla genealogia di Michel Foucault, dalla differenza di Jacques Derrida, dall’immanenza nel pensiero di Gilles Deleuze.
Questo Soggetto è oggi l’argomento preferito della filosofia della mente, così come delle declinazioni locali e postume del pensiero debole, analitico, giuridico o variamente ontologico, psicoanalitico e antropologico, infine di quello antagonista o della filosofia radicale, a tal punto da dominare in maniera inesausta l’orizzonte delle scienze umane, sociali, giuridiche – quelle che un tempo si chiamavano “scienze dello spirito” – e ancor più di quelle epistemologiche, scientifiche o applicative – le “scienze della natura”. Questa rinnovata centralità è stata travolta da un’impetuosa corrente neo-scientista ispirata a paradigmi deterministi e imprenditoriali, indirizzati dal mercato accademico e implementati dal sistema della valutazione delle pubblicazioni scientifiche. Il dispositivo ha rafforzato il mistero del Soggetto attribuendogli una trasparente familiarità domestica. Il Soggetto – e il suo risvolto più immediato: l’Io – rappresentano oggi il sostrato allusivo, ma non per questo meno falsamente “oggettivo”, di questo orientamento.
Si è così sviluppata una nuova attitudine nel lavoro intellettuale che ha creato – o rafforzato – un’attitudine iper-individualista e fondamentalmente corporativa nell’esercizio della professione della ricerca, come nelle attività classificabili come “letterarie”. Al di là del banale, intramontabile e auto-evidente imperativo capitalista applicato in questi campi – “si scrive per vendere e vende solo chi possiede lo status di scrittore di successo o di opinionista leader” – al centro di questa generale trasformazione c’è l’intellettuale di se stesso. Il protagonista indiscusso, la stella polare della cultura neo-imprenditoriale applicata alla valutazione della ricerca, il cosiddetto sistema-Anvur, come quello della scuola incarnato dall’auto-valutazione degli istituti o delle prove Invalsi. Il capitale (di pubblicazioni, di status, di relazioni) accumulato nel “portafoglio” dei titoli e dei meriti costituisce la ricchezza dell’impresa personale. La forma è il contenuto del Soggetto poiché tale accumulazione consiste nel percepirsi come imprenditori delle proprie capacità, buone pratiche o intuizioni.