giovedì 11 giugno 2015

I DANNATI DELL'EXPO

Roberto Ciccarelli

Storia dei volontari al grande evento, l'Esposizione Universale a Milano "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Ma non per chi lavora, o aspira a lavorare retribuito. Il modello del precariato del futuro. Estratto dal libro "Economia politica della promessa" (Manifestolibri) - pubblicato su Sciopero Sociale

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Come fai a "nutrire il pianeta" se non paghi i volontari che lavorano all’Expo? La domanda l’ha posta un giovane professionista milanese nel corso di un animato forum che commentava la campagna #IoNonLavoroGratisPerExpo nell’ottobre 2014, quando decine di ragazze e ragazzi, giovanissimi, hanno posato davanti ad un obiettivo con lo slogan scritto con un pennarello blu su un A4.
Tra le centinaia di commenti è spuntato quello di una giovane avvocatessa che ha ammesso di ricevere solo un modesto rimborso spese in uno studio “con la scusa del tirocinio”: “Ma come si fa a lavorare gratis – si è chiesta - per una manifestazione a scopo di lucro?”. Il lavoro gratis, sottopagato, volontario è una questione che colpisce più di una generazione. Di più: è una questione strutturale del capitalismo contemporaneo. E’ il caso paradigmatico dei “volontari” dell’Expo a Milano che ha previsto l’impiego di 18500 volontari che si alterneranno per due settimane in piccoli gruppi per cinque ore al giorno. A loro sarà delegato il ruolo di accoglienza e di guida turistica per i 20 milioni di turisti attesi (o meglio auspicati) per la kermesse milanese.

A quasi due anni dal 23 luglio 2013, quando i sindacati confederali e di categoria (Cgil, Cisl e Uil) hanno firmato un accordo con Expo 2015 spa accettando di codificare per la prima volta nel diritto del lavoro italiano il ricorso al lavoro gratuito, oggi il volontariato all’Expo è diventato una ferita che molti sentono di avere subìto nella propria vita. È come se un accordo come tanti, siglato per assicurare un modesto aumento dell’occupazione diretta nel “grande evento” (195 stagisti, 300 contratti a termine, 340 apprendisti under 29 e 18.500 volontari) avesse ispirato un’autobiografia collettiva in un paese dove centinaia di migliaia di persone vivono sulla propria pelle le conseguenze di una realtà inconfessabile: lavorare gratis con la promessa di conquistare un lavoro qualsiasi.

Uno status necessario per dimostrare di fare qualcosa, piuttosto che niente. Meglio schiavi a termine che poveri senza prospettive. Questa è la logica sociale che i sindacati hanno accettato, interpretando un certo senso comune: “Lavorare gratis, oggi, non è questione di essere lecchini ma è sperare in una futura assunzione”. Questo assioma, scritto in un altro forum di discussione, è la regola d’oro che oggi spinge ad accettare l’inaccettabile. Non solo all’Expo, ma in ogni momento della vita di giovani, adulti e anche over 50.


Precari nell’economia dell’evento
Il volontariato all’Expo è diventato una ferita che molti sentono di avere subìto nella propria vita. È come se un accordo in fondo modesto, siglato per assicurare un aumento dell’occupazione diretta nel “grande evento” (e 18.500 volontari), avesse ispirato un’autobiografia collettiva in un paese dove centinaia di migliaia di persone vivono sulla propria pelle le conseguenze di una realtà inconfessabile: lavorare gratis con la promessa di conquistare un lavoro qualsiasi.
Si aspira a uno status necessario per dimostrare di fare qualcosa, piuttosto che niente. Meglio volontari a termine che poveri senza prospettive. Questa è la logica sociale che i sindacati hanno accettato, interpretando il senso comune dilagante: “Lavorare gratis, oggi, non è questione di essere lecchini ma è sperare in una futura assunzione” ha spiegato un altro utente facebook nei giorni infuocati della campagna contro il lavoro gratis all’Expo. Questa frase traduce la regola d’oro che oggi spinge ad accettare l’inaccettabile. Non solo all’Expo, ma in ogni momento della vita di giovani, adulti e anche over 50. La promessa di un posto di lavoro in futuro corrisponde al dovere di mostrarsi disponibili, flessibili e occupabili in ogni mansione nel presente.

Non è sfuggito a nessuno che il 90% delle “assunzioni” dirette, tutte a termine, sia composto dai volontari. A rigore di termini, tale sproporzione sconsiglierebbe di parlare di un “accordo pilota sull’occupazione”, così venne festeggiato dalle massime cariche dello Stato come dalla maggioranza che reggeva l’allora governo Letta. L’economista milanese Andrea Fumagalli ritiene che “l’accordo sindacale sull’Expo può essere considerato come il laboratorio di sperimentazione della “garanzia giovani” e poi dell’attuale “Jobs Act” con i quali oggi si vuole affrontare l’emergenza della disoccupazione giovanile”.

È un auspicio tanto disperato, quanto impotente, che non esclude la definizione di un nuovo governo della forza lavoro, e dei suoi desideri, in un’epoca in cui l’occupazione è un’attività intermittente scandita da periodi di precarietà, disoccupazione e lavoro gratuito. L’emergenza disoccupazione non verrà risolta, in maniera significativa, nemmeno dall’impatto occupazionale atteso dall’Expo. Le perplessità degli economisti abbondano sotto questo aspetto.

Le hanno espresse Ermes Cavicchini e Livio Lo Verso. Il “grande evento milanese produrrà una “cospicua domanda di lavoro flessibile che tendono a generare opportunità lavorative, ma che non si traducono in forme di occupazione stabile perché si chiudono rapidamente”. Il grosso delle ricadute occupazionali si avrà prima dell’evento nei settori delle costruzioni e nel terziario. Ma dal 2015 al 2020 le previsioni sono deludenti. “Ci sono fondati dubbi che i consistenti investimenti operati in questi anni abbiano un effetto moltiplicatore adeguato, almeno per quanto riguarda il mercato del lavoro” concludono Cavicchini e Lo Verso. Chi si candida a un posto da volontario per trovarsi un posto di lavoro dopo l’Expo vivrà in questo contesto non certo incoraggiante.

Lavorare gratis non fa curriculum
All’inizio sono stati in pochi a intuire il senso del volontariato all’Expo e i suoi effetti sulle politiche del lavoro e nella rappresentanza del lavoro (precario) in Italia. La contro-informazione del centro sociale Sos fornace di Rho, dove c’è un punto San Precario, è stata fondamentale. Poi la consapevolezza è diventata patrimonio comune della rete dei movimenti “Attitudine No Expo”. Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha difeso lo status dei volontari, scambiandolo per uno dei tanti accordi con il terzo settore. “Il volontariato è un fenomeno diffuso nel nostro territorio” sostiene. Il problema è che fare il volontariato all’Expo non equivale a svolgere un’attività caritatevole per i poveri o a insegnare italiano ai migranti.

“Il compito dei volontari – hanno scritto giuslavoristi come Piergiovanni Alleva e Umberto Romagnoli in un appello pubblicato insieme ad altri da Il Manifesto nell’agosto 2013 - non è quello di assistere persone in difficoltà, ma di fornire un normale servizio di accoglienza per i visitatori della mostra. Il nome esatto in questo caso è lavoro gratuito: esempio plateale di un “agire comunicativo-relazionale” indispensabile al funzionamento dei grandi eventi ma del tutto svalutato. Riteniamo che un simile accordo rappresenti un pericoloso precedente che contrappone il lavoro ai diritti. Come le grandi opere depauperano il territorio, così il lavoro gratuito e l’iper-precarizzazione dei contratti frantumano il futuro delle nuove generazioni e demoliscono conquiste ottenute con anni di lotta”.

Alla luce degli arresti e delle inchieste giudiziarie per corruzione negli appalti Expo seguite alla data di pubblicazione di questo appello, la descrizione del grande evento può risultare addirittura inferiore alla gravità della realtà. Una realtà anticipata da Roberto Maggioni e dal collettivo Off Topic nell’inchiesta Expopolis (Agenzia X). Sono arrivati gli arresti a ripetizione per corruzione, i maxisequestri e le accuse di infiltrazione della ‘ndrangheta nei cantieri in cui sono stati investiti centinaia di milioni di euro. Una situazione che ha degradato l’immagine di Expo, facendo emergere lo scandalo del lavoro gratuito.

“In questa storia – ha scritto in un altro forum un padre che dice di avere una figlia laureata disoccupata – c’è una parte che si permette di vincere gli appalti e di portare avanti i lavori ad aziende ultra criminali, mentre si chiede di accettare contratti da fame a chi ci deve lavorare”. Corruzione e illegalità dei manager e della politica contro l’umiliazione di giovani e meno giovani che accettano di fare i volontari nella speranza di lavorare almeno per un giorno. Questa è l’enorme sproporzione che svilisce il tentativo di creare un’identificazione con i valori eco-compatibili dell’Expo ispirati alle mitologie olistiche del “made in Italy”, il buon cibo “slow” naturalmente commerciabile sul quale è stata costruita la più recente immagine della ristorazione.

Il coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato (Csvnet), a cui Expo spa ha dato il mandato di individuare i volontari, 7500 persone, due terzi in meno rispetto a quelle stabilite nell’accordo sindacali. Il 20% vive in Lombardia, il 55% in altre regioni. Il 62% ha un’età inferiore ai 24 anni e studia. Il 47% ha dichiarato di essere alla prima esperienza di volontariato e solo il 9% può essere considerato un “volontario seriale”. Tra loro ci sono anche ultra sessantenni e pensionati (il 5%). Il 13% dei candidati dice di essere inattivo, mentre gli altri studiano o già lavorano. Le stime finali hanno tratteggiato il profilo di un volontario medio con un’età media di 27 anni, per lo più studenti universitari, lavoratori e pensionati. E un 13% di “inoccupati”.

Al termine della selezione hanno seguito un corso on-line necessario per la trasmissione delle competenze e per interagire con milioni di turisti. Quindici ore per imparare una lingua.

Sull’attendibilità di un simile percorso formativo esistono molte perplessità. Le ha espresse Sergio Bologna in un appello che ha avuto una larga circolazione in rete: “Lavorare gratis non fa curriculum! Lavorare gratis significa accettare un’umiliazione. Vi dicono che conoscerete milioni di persone, che farete amicizia con il mondo, ma…fatemi capire… dovrete accogliere i visitatori o dovrete distribuire i vostri biglietti da visita e i vostri indirizzi mail per farvi contattare? Rischiate di prendervi qualche calcio negli stinchi”. L’invito di Bologna ai volontari è quello di scioperare contro il lavoro gratuito il 1 maggio 2015, data più che simbolica per la festa del lavoro e per la MayDay che si tiene da tre lustri a Milano.


Interposizione illecita di manodopera
La campagna contro il lavoro gratuito, e contro l’accordo sindacale siglato da Cgil-Cisl-Uil, ha conosciuto momenti di grandi intensità e dure polemiche. Nonostante la dichiarata e forse tardiva opposizione della Fiom – prima con il segretario lombardo Mirco Rota, poi con quello nazionale Maurizio Landini – i confederali hanno mantenuto un silenzio assoluto su una vicenda che li ha investiti con la forza di una contraddizione che stentano ancora a comprendere. Legittimare il lavoro gratuito in un mega evento commerciale non rappresenta un’eccezione innocua, ma fotografa la realtà del lavoro oggi in Italia. Quello sul quale non riescono a intervenire, e non è sindacalizzato.

Il Forum diritti lavoro, un'associazione composta da giuristi, avvocati e sindacalisti con sede a Roma, ha inviato un esposto all'ispettorato del lavoro di Milano contro l'intesa sul lavoro gratuito e in particolare contro l'articolo 5. Due i motivi dell'azione legale: l'accordo sindacale tra Expo Spa e Cgil-Cisl-Uil viola la legge quadro del 1991 sul volontariato e quella che vieta l'interposizione illecita di manodopera.

Nella nota tecnica dell'esposto viene spiegato che per volontariato s’intende un'attività “prestata in modo personale, spontanea e gratuita» per un'organizzazione «senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà». La società Expo 2015 che potrà attivare fino a 18.500 rapporti di lavoro volontario “non può essere considerata un ente solidaristico” scrivono i giuristi che riscontrano “l'assoluta assenza dei necessari fini di solidarietà” nell'esposizione milanese dedicata al suggestivo tema: «Nutrire il pianeta, energia per la vita”.

Per i giuristi si tratta di «un evento esclusivamente orientato a fini di lucro». I volontari verranno utilizzati per accogliere i visitatori all'ingresso, indirizzare verso le biglietterie e le aree di prenotazione, dare informazioni e distribuire materiali. I promotori dell'esposto ritengono che queste attività rientrino a pieno titolo nel contratto nazionale e rispondono ai compiti tradizionali assegnati a chi lavora nel settore dell'«assistenza fieristica» e sono sovrapponibili a quelle dei lavoratori subordinati.

A sostegno di questa tesi citano una sentenza della Corte di Cassazione (1833/2009) del 21 maggio 2008 che riguardava alcuni volontari inseriti formalmente in una cooperativa ma che, in realtà, prestavano il loro lavoro nell'ambito delle attività istituzionali di un comune. Praticamente lavoravano gratis, sostituendo il personale addetto. Sulla base di questa sentenza si ipotizza l'interposizione illecita di mano d'opera per l'accordo sindacale all'Expo. Uno dei passaggi della sentenza rappresenta, in maniera plastica, il senso dell’esposto, ma più in generale, anche quello delle proteste che l’accordo sindacale ha sollevato in un anno e mezzo: “Non è sufficiente il "nomen iuris" di volontario per escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro”.

Il Forum Diritti lavoro ha chiesto il riconoscimento della retribuzione e di tutte le altre indennità e tutele previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva ai «volontari». Le «attività ausiliari» dovranno essere retribuite come prevede la legge.

Il supplemento d’anima
La contraddizione è esplosa nel cuore di Expo quando il rapper milanese Francesco Di Gesù, in arte Frankie hi-nrg mc, ha scritto sulla sua pagina facebook: “Ho sbagliato e chiedo scusa. Ho sbagliato a prestare la mia immagine come ambassador di Expo 2015, confidando nel fatto che l’evento avrebbe dato voce anche a quelle realtà che nel mondo combattono la sfida del cibo con tenacia ed ingegno e che a volte vengono sconfitti. Purtroppo la loro voce praticamente non ci sarà». Per il musicista, autore della canzone-simbolo «Quelli che ben pensano», è inaccettabile «che migliaia di ragazzi vengano fatti lavorare gratuitamente (ricevendo in cambio il privilegio di aver fatto un’esperienza…) a fronte del muro di miliardi che l’operazione genera è una cosa indegna per un Paese che parla di “impulso alla crescita”.

Nel post su facebook, scritto poche ore dopo l’apertura di una nuova indagine sugli appalti dei lavori all’Expo da parte della Procura milanese, Frankie hi-nrg ha spiegato le sue ragioni: “La direzione che ha preso Expo è diversa da quella che (ingenuamente) avrei sperato, con reali tavoli di dibattito e non solo stand ultracostosi – scrive - Gli appalti abbiamo visto a chi sono stati (anche) assegnati e con quali modalità. 'Ndrangheta e compari già saltan fuori adesso, figuriamoci tra un po’… Alla luce di tutto ciò ho chiesto di essere rimosso dall’elenco degli ambassador di Expo 2015. Non voglio sostenere un’iniziativa che non mi rappresenta minimamente”. L’artista ha confessato di “avere firmato con leggerezza una liberatoria» dopo un’intervista sulla kermesse sul cibo e la natura «senza rendermi troppo conto di cosa si trattasse”. E ha precisato: “Non ho preso un soldo per questa cosa (per alcuni rappresenta un’aggravante…). Mi scuso con quanti di voi si siano sentiti traditi da me per aver accettato quel ruolo”.

Frankie hi-nrg ha scelto di partecipare ad un’iniziativa parallela all’Expo, l’“Expo dei popoli” promossa da Don Gino Rigoldi (fondatore di “Comunità Nuova” e ambassador dell’Expo) perché «ha un manifesto e dei sostenitori in cui mi riconosco molto di più». Si tratta di un’iniziativa che serve a “portare un po’ d’anima” dentro l’evento - questa è l’espressione usata dal cantante - e “va nella direzione del confronto e dell’accoglienza” in cui si riconosce. Esemplare di un intero assetto discorsivo all’interno della “sharing economy” e, più in generale, dell’economia della promessa, è stata la risposta al rapper dell’Ad Expo Sala: “Noi abbiamo la coscienza molto a posto. In tutti i grandi eventi i volontari fanno parte del contesto. Ai ragazzi regaliamo il palmare e la divisa”.

La sapienza linguistica di Frankie hi-nrg ha in realtà chiarito il ruolo cosmetico dei principi etici del volontariato, come della reputazione sociale di alcune personalità, nella sceneggiatura costruita da Expo. Più propriamente l’operazione realizzata attraverso i volontari rientra nel “social washing e green washing” rappresentata dall’Expo. È l’analisi dei Wu Ming che hanno spiegato che l’appropriazione delle virtù sociali ed ecologiste è finalizzata alla creazione di un’immagine mistificatoria che distoglie l’attenzione dagli effetti speculativi delle grandi opere e dal lavoro gratuito: “Per “gonfiare” il pallone del mega-evento e far comparire nel programma e in bilancio – abracadabra! – migliaia di eventi in tutta Italia – La macchina promozionale del megaevento provvede a ghermire il tutto. Dalla fiera del rutto diplofonico alla sagra del pidocchio fritto in olio di calli asportati”. Questa sarebbe la funzione del progetto «Anci per Expo”.

L’associazione nazionale dei Comuni italiani ha siglato un accordo con Expo permettendo ad ogni città di «segnalare un evento anche già programmato mettendolo in linea con i temi di Expo» per avvalersi del logo. In questo meccanismo si sono ritrovati, senza saperlo, anche i Wu Ming, coinvolti in un’iniziativa targata Expo a Vicenza nel settembre 2014. L’invito è stato rifiutato. “Nell’Expo da una parte c’è la sua voracità e la violenza sul territorio, punta di diamante dell’Italian Style del XXI secolo; dall’altra, la produzione di cibo nel mondo, l’agricoltura industriale, l’ambiente ha spiegato Pietro Paolini del collettivo “TerraProject”. “Ma questo a Expo non interessa – hanno commentato gli scrittori bolognesi – Expo ha fame, sta hungry! - e deve nutrire se stessa, altro che il pianeta”.

“L’Expo è una narrazione tossica” sostengono gli autori e i fotografi di un libro su “Genuino Clandestino”: “Ci ha colpito – hanno scritto in un comunicato – la presenza di nomi altisonanti della fotografia italiana e internazionale all’Expo”. I fotografi precisano di «non essere stati invitati». “Ma non faremo mai parte di Expo perché nel viaggio alla scoperta dell’Italia di Genuino Clandestino abbiamo visto e conosciuto chi nutre veramente il pianeta”. “Genuino Clandestino - aggiungono - mette in guardia dai tentacoli di un evento che sta “tentando di appropriarsi delle nostre pratiche e cooptare il nostro linguaggio, di comprare il consenso e la connivenza di tanti”. (...) L’agricoltura contadina, quella che sfama il pianeta, la si difende nei territori, giorno dopo giorno”.

I volontari non sono tutti uguali
Più che un mercato del lavoro, l’Expo è una fiera del dono. L’esercito dei volontari che doneranno il proprio tempo gratuitamente è composto da cerchi concentrici. C’è chi fa il volontario vero e proprio con un rimborso da fame. C’è chi invece dovrà pagare per farlo. Per condividere i valori Expo sulla bacheca della propria esistenza bisogna pagare.

Ai 7500 volontari del“Programma Volunteers”, promosso da Expo SpA, coordinato dal Ciessevi e dalla rete del CSVnet si sono aggiunti circa mille volontari per il padiglione dell’Unione Europea. Poi ci sono i volontari dei singoli padiglioni tematici, i “Civil Society Participants”, (come Save the Children, Caritas, Arci), i volontari del Servizio Civile Volontario (12 mesi), DoteComune Expo 2015 (6 mesi di prestazione) e i volontari del “Progetto Scuola” che coinvolge gli studenti per un intero anno scolastico.

Oltre a quelli stabiliti con i sindacati, il comune di Milano ha creato una sezione dedicata alle aziende partner dell’esposizione universale e a quelle aderenti alla Fondazione Sodalitas. Si chiameranno “volontari per un giorno” e dovranno offrire la disponibilità del proprio tempo per un lunedì a scelta durante i sei mesi dell’evento. Il modello è stato adottato anche dal Touring club con il progetto “aperti al mondo”. L’obiettivo è coinvolgere mille persone per la “valorizzazione del patrimonio culturale” il cui contributo gratuito servirà a rafforzare l’“offerta culturale” di Milano durante l’Expo. il volontariato eccede l’Expo ed è diventato un prototipo sociale utile anche per i beni culturali dove il Touring Club organizza dal 2005 il programma “Aperti per voi”, settecento persone impegnate nell’accoglienza nei siti culturali. Dopo un periodo di formazione , a questi volontari verrà chiesta la disponibilità di quattro ore a settimana per l’accoglienza, l’orientamento e il presidio al Duomo, nell’area archeologica della Basilica dei Santi Apostoli, nella casa di Manzoni, alla collezione Grassi-Vismara o al mausoleo imperiale.

Al vertice della piramide ci sono 140 ragazzi selezionati dall’Expo in un progetto di servizio civile. Riceveranno 433 euro mensili a testa per 12 mesi, secondo la legge sul volontariato. Sono stati divisi in due gruppi per assistere le associazioni e le delegazioni dei paesi che parteciperanno all’esposizione universale. Il costo di questa operazione finanziata da Expo con 800 mila euro crea un’evidente contraddizione.

Imponente è stata la campagna di affissione di volti sorridenti e giovani a Milano. È seguita una battente campagna con spot incentrati sull’ideologia della condivisione (sharing economy). Invece di dire ai volontari che eserciteranno una concorrenza sleale (a costo zero) contro le guide turistiche o gli interpreti di professione, sindacati autorità e manager hanno attratto queste persone con l’invito a “fare esperienza, amicizia, essere taggati e avere tanti mi piace su facebook” come nella vita. Se un “mi piace” aumenta la quotazione in borsa dell’azienda di Mark Zuckerberg, un volontario dovrebbe dare lustro all’Expo presentato come “il vero social network dell’anno”.

Uno slogan che riassume le politiche del lavoro nella nuova economia. Le attitudini umane non retribuite danno visibilità alle piattaforme economiche all’interno delle quali interagiscono, mentre al soggetto resta l’illusione di avere fatto tesoro di contatti con i quali arricchire il proprio “portfolio di competenze”. Con parole più banali: il curriculum. È una logica da reality show dove i ragazzi sperano che la loro dedizione gli procuri un’occasione, anche se è difficile immaginare come. Saranno circondati da una folla che non parla la loro lingua. E, una volta finito il “grande evento”, sarà un’impresa restare in contatto con i loro “tutor”. Anche loro sono a scadenza e cambieranno filiera alla ricerca di un altro lavoro. I volontari saranno costretti a inseguirli, sperando in un altro ingaggio.

La caccia ai volontari Expo è avvenuta nelle scuole milanesi, ma anche a Catanzaro o a Torino. In questi casi, l’obiettivo è portare giovani, e meno giovani, a Milano per due settimane, al massimo 28 giorni. Naturalmente a spese del volontario. L’importo è stato calcolato in 400 euro comprensivi del biglietto del treno e un minimo di 10 euro a notte per dormire in ostello. Sembra che l’organizzazione assicurerà solo un pasto al giorno. Il volontario dovrà pagarsi l’altro. Così il lavoro gratuito all’Expo si trasforma in un hobby costoso. Non c’è nulla di nuovo: mangiare in solitudine e a proprie spese accade a molti stagisti o ai praticanti. Questa sarà una corvée di rito anche durante una fiera in cui tutti parleranno di cibo e dei valori in un mondo giusto e commestibile. I volontari dovranno sfamarsi da Mac Donald’s e con una Coca Cola, sponsor dell’evento del cibo “etico”.

Sfamare i volontari è un altro punto controverso. Sembra infatti che per alcune categorie le spese saranno rimborsate con buoni pasto, viaggi (ma, sembrerebbe, solo fino a 100 euro) e alloggi nelle strutture convenzionate. Per altri, come il battaglione di 400 ragazzi bergamaschi, questa regola non vale. Dal primo maggio al 31 ottobre saranno presenti in coppia nei “punti Expo” suddivisi in tredici periodi da 14 o 15 giorni per due turni dalle 9,30 alle 15 e dalle 14,30 alle 20. La Commissione Giovani del comune di Bergamo ha chiesto un chiarimento. La risposta è stata netta: ai volontari saranno garantiti un “kit identificativo” (T-shirt, cappellino, badge) e un’assicurazione”. Il panino, e i trasporti da Bergamo, dovranno pagarseli da soli.

La teoria della porta girevole
Nel dibattito “ufficiale” si stenta ancora a capire la ragione per cui una manifestazione che ha ricevuto investimenti complessivi per oltre 13 miliardi di euro che produrranno 34 miliardi di valore aggiunto non abbia pensato di trattare tutti i volontari secondo la legge, assegnandogli la magra paga prevista. L’accordo sindacale è diventato, anzi, la ragione per giustificare il rifiuto assoluto di riconoscere il contributo ai volontari.

Questa immane sproporzione è la realtà del lavoro contemporaneo. Dall’alto non arriverà mai il reddito necessario alla sopravvivenza della forza-lavoro. A quest’ultima si chiede, inoltre, l’adesione ai “valori” etici olistici e incontestabili come “salvare il pianeta”, il buon cibo “bio” alla Slow Food, lottare contro la fame nel mondo. In basso, lì dove il lavoro non retribuito è diventato la regola, si distingue tra volontari e volontari. E poi tra volontari e precari, stagisti e apprendisti. A tutti è chiesto di “far vivere una bella esperienza a chi visita Expo” ha detto Marta Moroni, Project Manager Ciessevi del “Programma Volontari per Expo”.

È la teoria della porta girevole. Non è detto, infatti, che il volontario che assumerà il ruolo di stagista o apprendista con un contratto a termine in un altro evento tornerà un giorno a lavorare gratuitamente. Questa è la tremenda verità di un evento come Expo: non si va avanti, si resta nello stesso posto, dopo brevi o lunghe pause in cui si ha l’illusione di avere superato la fase zero. Ll lavoro gratuito è la regola. Quello precario è un’eccezione. Il settore non profit è lo strumento per governare questa nuova trasformazione del precario che non è del tutto assimilabile alla figura del lavoratore.

In questa cornice l’ambivalenza che circonda la figura del volontario è stata ormai superata. Il suo lavoro serve a “umanizzare” il logo di un grande evento e a completare l’offerta turistica o i servizi di accoglienza in un’economia culturale. L'impatto sull’occupazione è irrilevante, ma non per questo il volontario dev’essere liquidato. Il suo agire serve per creare un rumore di fondo utile per attrarre visitatori o informare i turisti che poi finanzieranno bar, alberghi, musei, fiere portando soldi agli altri, mai un reddito agli interessati. Ai volontari resta la speranza che, in futuro, questo ruolo tocchi ad altri, mentre loro saranno impiegati precariamente altrove.

*** Dossier: Expo Stato di eccezione ***

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