mercoledì 6 dicembre 2017
CAUTE!
Nel terzo libro dell’Etica Spinoza ha citato Cicerone. Per lui i «migliori» sono più di altri guidati dalla ricerca della gloria. Di tale fascino sono vittime i filosofi che mettono il nome sui libri che invitano a disprezzare la gloria. Così facendo smentiscono il loro stesso biasimo e firmano un libro che finirà per coltivare il generale desiderio di essere rinomati. Si può ottenere un riconoscimento anche ammonendo sui rischi dell’ambizione, da Spinoza definita cupidità immoderata, che porta ad essere visibili o a lavorare per esserlo.
In alternativa si potrebbe invocare la tradizione epicurea che invitata a vivere nascosti, o appartati (làthe biòsas). Un motto adottato dallo stesso Spinoza nel suo emblema: la rosa selvatica accompagnata dall’ammonimento latino «Caute!». La rinomanza produce nemici. E Spinoza, il più mite tra i filosofi, ne conobbe tanti: dalla comunità ebraica che lo espulse per le idee sovversive su Dio, alla Chiesa riformata d’Olanda che non gradiva la sua lettura della Bibbia.
C’è tuttavia una positività nel perseguire l’ambizione. Quando la gloria non corrisponde ad uno scopo personale, o religioso (la «gloria di Dio»), ma ad una passione collettiva. Il desiderio di fare il nostro bene, facendo il bene altrui. Unire gli uomini in un’amicizia politica. Soddisfare l’utile individuale a condizione di produrre una potenza comune. Ci sarebbe da gloriarsi di un’impresa che costruisce l’eternità sulla terra. Chi è animato da un simile anelito è virtuoso perché non intende suscitare l’ammirazione (e l’invidia) per una dottrina che porta il suo nome. Vuole praticare la gloria insieme agli altri. Quella dottrina la chiamavano comunismo. Oggi non è un’impresa che si costruisce in un format.
Roberto Ciccarelli
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