lunedì 20 aprile 2020

GIUSEPPE GUARINO: RIFORMATORE RADICALE E DISINCANTATO


Giuseppe Allegri

Mancherà quello sguardo ironico, sorridente, schietto e al contempo sornione, che caratterizzava il modo di fare del grande maestro del diritto pubblico Giuseppe Guarino, classe 1922, nato a Napoli e una vita che ha attraversato il Novecento ed oltre e che se n’è andata proprio l’altra notte. Per noi studenti, e quindi dottorandi e ricercatori in formazione, tra Scienze Politiche e Giurisprudenza, nel passaggio della crisi repubblicana degli anni Novanta della Sapienza di Roma, era una presenza costante, anche nella pausa parlamentare governativa, tra lezioni, convegni, seminari, letture, scritture, commenti. Un altro grande, antico maestro di indipendenza che se ne va, come è stato per Mario Galizia qualche anno fa.



Radicale europeismo riformatore e solidarismo progressivo
In quegli anni si discuteva e commentava molto intorno alle trasformazioni delle istituzioni comunitarie e lo spirito radicalmente europeista e al contempo materialmente solidarista dello sguardo di Giuseppe Guarino era in forte tensione con la visione unidimensionale dei devoti della triste scienza monetarista, veri reazionari europeisti, perché fondamentalmente ancorati ad una cupa mentalità di mortiferi pregiudizi ultra-nazionalisti.

Europeismo riformatore e solidarismo progressivo, ecco. Si trattava di una postura che aveva attraversato le diverse stagioni dello studio e dell’esperienza politica di Giuseppe Guarino per il quale il diritto costituzionale era sempre stato pensato e applicato dentro il vissuto quotidiano dei rapporti sociali esistenti, per una loro trasformazione nel senso di maggiore benessere sociale, nel senso dell’inclusione e dell’equità. A cominciare dagli anni Cinquanta e Sessanta della ricostruzione repubblicana, quando il primo faticoso farsi del Welfare italiano comportò l’applicazione del neonato diritto pubblico e costituzionale repubblicano in molti ambiti, in particolare nel campo dell'economia, della gestione pubblica delle risorse energetiche, delle partecipazioni statali. Profili che proprio Giuseppe Guarino comincia ad indagare tra i primi, da costituzionalista e giuspubblicista, poi anche da consulente di settori strategici, pubblici e di alta amministrazione.

Incontro tra maestri
E mi ritrovai a parlare di questo comune maestro con Antonio Negri, negli anni Zero in cui pensammo la raccolta di saggi che prenderà il titolo di Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti ai movimenti della governance (ombre corte, 2009), ricordando come il rapporto tra il più giovane Negri e il riformista già disincantato Guarino fosse stato diretto, nato nell’ambiente universitario, ma proseguito nel confrontarsi sulle politiche riformistiche dei primi governi di centro-sinistra, sulle possibilità e le criticità della pianificazione economica, sul rapporto tra industrie, settore pubblico e forme della produzione e del lavoro. Era il versante del costituzionalismo più aperto a indagare i conflitti tra lavoro, capitale ed economia pubblica: aspetti che intercettano da una parte il nascente diritto pubblico dell'economia e dell'energia; ma dall'altra aprono alla definizione di nuovi rapporti tra giuristi, diritto costituzionale e sindacale, organizzazione del movimento operaio e forme, nonché luoghi, istituzionali di mediazione dei conflitti. E dentro questa grande trasformazione si muoveva Guarino e così mi piace anche ricordarlo, nelle parole che lo stesso Negri utilizzò nell’intervista che concludeva il succitato volume, dal titolo Dopo il Novecento: verso le istituzioni del comune. Una conversazione con Antonio Negri (spec. p. 218).

Il riformista senza illusioni
«E poi c'è Giuseppe Guarino: uno dei professori che mi porta in cattedra. Guarino è il riformista classico; ma un riformista senza illusioni, già disincantato. Mentre Guarino collaborava ad uno dei primi governi di centro-sinistra io scrissi un articoletto su Classe operaia titolato “Il riformismo si è fermato ad Agrigento” – riferendomi ad alcune iniziative legislative in materia urbanistica che Guarino aveva preso, iniziative minime, ma che non riuscivano a passare. Comunque lui cercava di capire, amava l’esperienza diretta. Una volta – ricordo – nel 1963 chiama per chiedermi come vedevo e cosa ne pensavo delle lotte operaie nel settore pubblico partite a Genova e Trieste. La separazione nella gestione delle fabbriche di Stato da Confindustria è l'esempio di come il centro-sinistra dei primi anni Sessanta potesse produrre un livello di conflitto inedito. Anche se sono tipicamente esempi di rottura all'italiana: sempre riforme parziali, marginali e timide che faticavano ad affermare una Costituzione materiale che si voleva “Costituzione della lotta di classe”.

E del resto il primo centro-sinistra ha un'efficacia particolare soprattutto perché rompe definitivamente con i residui della struttura amministrativo-istituzionale del fascismo e riannoda il filo rescisso con le speranze della Resistenza. In quegli anni si può seguire un tentativo di rinnovamento delle alleanze politiche in Italia, che provano a costituzionalizzare democraticamente il Welfare. C'è insomma una tendenza democratica che appare all’interno dell’ampia riflessione sulla Costituzione, sul parlamentarismo e sul ruolo dei partiti: si ha la consapevolezza che la rappresentanza partitica è estremamente in crisi e si tende a ripensarla in termini più efficaci (in senso democratico); e su questo sembra essere d'accordo la gran parte degli studiosi citati [in precedenza nella nostra chiacchierata NdA].

Vezio Crisafulli insistendo su una interpretazione progressiva dei princìpi costituzionali; Carlo Esposito in base ad una lettura realista nell'applicazione del diritto pubblico e costituzionale; i giuristi riformisti come Giuseppe Guarino (anche come uomo politico), o Gino Giugni (come giurista del lavoro) nell'ambito sia delle trasformazioni economiche, che in quelle del lavoro e delle relazioni industriali e sindacali. Questo è il quadro di innovazione che si va delineando e che cerca di demolire le feroci resistenze conservatrici, anche soprattutto rispetto al quadro costituzionalistico e giuspubblicistico à la Orlando da una parte e à la Schmitt dall'altra; cioè alle letture ancorate ad un organicismo ottocentesco, e a quelle sul decisionismo schmittiano, del teologico-politico prima e dell'autonomia del politico, poi».

Tra diritto costituzionale vivente e torpore della scienza giuridica
Quello era il quadro nel quale Giuseppe Guarino, in dialogo e confronto anche con Negri e con quanto accadeva nella società, operava dentro l’affermazione conflittuale di un diritto costituzionale vivente nella prima spinta costituente repubblicana che vedrà la sua crisi conclamata proprio nella transizione agli Novanta in cui Guarino sperimentò l’attività parlamentare e governativa diretta. Ma le cui antiche origini sprofondavano proprio nelle contraddizioni irrisolte dentro la crisi del Parlamento dei partiti di quei conflittuali anni Sessanta del Novecento, e dinanzi al successivo torpore della scienza giuridica, per dirla con l’altro grande maestro Massimo Severo Giannini, come si è provato a ricostruire altrove (Alle origini della infinita crisi repubblicana tra società, politica e magistratura. Gli anni Sessanta del Novecento).

Mancherà lo sguardo ironicamente provocatorio e fortemente riformatore di Giuseppe Guarino, tanto più nel periodo di questa quarantena contro il Covid-19, in cui la mancanza di una concreta solidarietà continentale sembra condannarci al persistere degli antichi pregiudizi nazionalistici, nel silenzio assordante di un qualsiasi dibattito pubblico minimamente consapevole dei rischi sociali, istituzionali e culturali che stiamo correndo.

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